Frederic Gemus è un veterano con alle spalle quindici anni nello sviluppo di videogiochi. Ha iniziato in Ubisoft Montreal, ma nel 2020 si è spostato in Tribute Games, dove ha lavorato su Panzer Paladin e Teenage Mutant Ninja Turtles: Shredder's Revenge. Proprio quest'ultimo, per lui, collezionista sfegatato con migliaia di giochi stipati in casa e cofondatore di un sito e un podcast dedicati al retrogaming (RetroMTL e Rétro Nouveau), era un po' il progetto dei sogni.
L'idea era di creare un qualcosa che potesse fare da seguito spirituale per i giochi dedicati alle Ninja Turtles negli anni Ottanta e Novanta ma che fosse allo stesso tempo indipendente, slegato dall'eredità delle produzioni Konami, e del resto prodotto in collaborazione diretta con Dotemu e Nickelodeon, non con il publisher giapponese. Ma era comunque inevitabile e anzi desiderabile confrontarsi con i classici di Konami, ricordati con amore da tutti per il divertimento che sapevano regalare, per la grafica stellare e per la capacità di riprodurre contenuti derivati dalla serie animata così popolare all'epoca. Come è stato affrontato questo compito improbo? L'ha raccontato Gemus alla Game Developers Conference.
Ricordi vs. Realtà
Gemus e lo studio di sviluppo hanno guardato al passato in ogni sua sfaccettatura, analizzando non solo i classici da sala giochi, ma anche le versioni per console casalinghe che, pur limitate, contenevano spunti interessanti. E l'obiettivo era di provare a cogliere il cuore di quei giochi, scegliendo cosa conservare e cosa aggiungere per ottenere un risultato che sintetizzasse non tanto come erano letteralmente, ma come ce li ricordiamo. Tra l'altro, il progetto è nato quando la Cowabunga Collection non era ancora disponibile, quindi l'approccio iniziale era basato solo sui ricordi.
Quello dei ricordi è stato, come detto, un punto nodale. Di quei giochi ci si ricorda il piacere della cooperativa a quattro partecipanti, il modo in cui la grafica riproduceva il cartone animato e un po' tutti i suoi personaggi, l'azione continua, i momenti spettacolari e la loro natura di adattamenti fedeli. Di contro, la nostra memoria affettuosa tende a dimenticarsi i limiti: il gameplay mirato a spillare soldi, le poche abilità a disposizione dei personaggi, la ripetitività, il ritmo completamente sbilanciato, che alternava situazioni di caos totale e altre di calma piatta, i limiti tecnici, chiaramente amplificati nelle versioni casalinghe.
Messa così, sembra facile: prendi quel che c'è di buono, ignori o sostituisci il resto. Ma chiaramente si tratta di un'impresa più complessa e sfumata, che richiede un'analisi approfondita delle meccaniche e la capacità di riarrangiarle e ristrutturarle per ottenere il risultato voluto. In questo senso, è stato interessante confrontare le versioni arcade e casalinghe degli stessi giochi. Le prime, per esempio, avevano nemici molto semplici da abbattere ma estremamente numerosi, quindi il fulcro del gioco diventava la capacità di gestire le folle, il cosiddetto "crowd control". Di contro, le versioni casalinghe tendevano a ridurre il numero di nemici per assecondare i limiti hardware. Conseguentemente, per provare a replicare la sensazione di essere sotto attacco continuo che davano le versioni arcade, proponevano avversari molto più aggressivi e tosti da gestire singolarmente. Inoltre, i giochi pensati per le console tendevano ad avere un ritmo e un bilanciamento migliori, perché non c'era il bisogno di strappare gettoni dalle tasche dei giocatori.
In ultima analisi, l'aspetto forse principale da riprodurre e reinterpretare era la gestione del ritmo, delle apparizioni dei nemici e della loro disposizione. A conti fatti, erano giochi non troppo diversi dagli sparatutto dello stesso periodo, con l'apparizione dei nemici che detta il ritmo del gameplay andando a influenzare le azioni del giocatore. Insomma, la ricetta per Shredder's Revenge era stata sintetizzata nell'idea di creare un gioco corretto nei confronti dell'utente, con nemici gestibili e per i quali il metodo d'ingresso in battaglia era sostanzialmente più importante rispetto al loro effettivo modo di combattere. E poi, ovviamente, bisognava conservare il focus sul multiplayer e la fedeltà all'universo narrativo delle Teenage Mutant Ninja Turtles.
Modernizzare i classici
Come ragionare per ottenere un gioco che fosse allo stesso tempo approcciabile, leggibile, ma anche profondo e capace di dare soddisfazione sulla distanza? Durante lo sviluppo, il team ha iniziato a sperimentare sulle varie funzionalità, introducendo per esempio l'idea di assegnare le mosse speciali e la schivata a tasti supplementari, per renderle più semplici da eseguire. Per un po', si è pasticciato con l'idea di caratterizzare i personaggi in maniera molto significativa, con tempi di recupero diversi o mosse specifiche per ognuno di loro, ma il team si è poi reso conto che avrebbe significato complicare troppo le cose e perdere di vista la semplicità che un'esperienza del genere deve conservare. Si è allora seguito l'approccio dei giochi classici, con un sistema di controllo unificato per tutti i personaggi ma che genera comportamenti diversi. Si è poi deciso di confinare i nemici all'interno della schermata, senza permettere loro di uscirne come accadeva nei giochi di una volta, per mantenere l'azione sempre viva. E poi il team ha aggiunto una serie di novità al sistema di combattimento, per esempio con il juggling e con un lieve accenno di mira automatica sull'asse X.
Nel gestire il comportamento dei nemici, sempre in un confronto coi giochi degli anni Ottanta e Novanta, è stata migliorata la loro capacità di mira e si è cercato di renderli meno prevedibili, per esempio introducendo l'idea di cerchio di combattimento: i nemici si posizionano attorno al giocatore ed evitano di ammassarsi su di lui. Inoltre, è stato usato un sistema di gettoni per gestire l'ordine di attacco. Quando un nemico "vuole" attaccare un giocatore, chiede un gettone e parte all'attacco solo quando lo riceve, cosa che permette di gestire il numero massimo di attaccanti in contemporanea, anche grazie a un tempo di ricarica dei gettoni. Tutte queste variabili, per altro, sono anche molto semplici da organizzare per gestire il livello di difficoltà.
Pur essendo fondamentale riprodurre i cardini dei vecchi giochi da cui si traeva ispirazione, è stato importante anche trovare soluzioni nuove e varianti efficaci. Per esempio, nel rivedere le meccaniche di combattimento, si è deciso di abbandonare il sistema in base al quale gli attacchi speciali facevano perdere energia vitale. In Shredder's Revenge, gli attacchi speciali vengono usati molto spesso a causa della quantità di nemici, e quel sistema non avrebbe avuto senso, perlomeno in un contesto che non vuole essere punitivo come quello della sala giochi. D'altro canto, bisognava conservare una qualche forma di rischio o di costo. E allora il team ha optato per un sistema in cui realizzare combo fa accumulare l'energia necessaria a utilizzare le mosse più potenti, un po' in stile Tony Hawk's Pro Skater. Quindi più picchi i nemici, combatti e giochi, più ottieni mosse per continuare a farlo in maniera efficace, secondo un bel circolo virtuoso. In aggiunta, c'è il tasto per provocare i nemici, che permette di ricaricare la barra delle special e costituisce un bel compromesso, perché si tratta di una mossa rischiosa. Quello che in Tribute Games non si aspettavano, è che questa idea avrebbe rovinato l'esperienza in multiplayer, perché molti giocatori, dopo aver eliminato i nemici, si mettevano lì a premere a raffica il tasto della provocazione per ricaricare la special, con gli altri che dovevano stare fermi ad aspettarli... E quindi hanno risolto la cosa con un aggiornamento, introducendo fra l'altro anche una modalità che esclude la provocazione. E a proposito di multiplayer...
Il gioco di squadra al centro di tutto
Un aspetto fondamentale di Shredder's Revenge è chiaramente quello del multiplayer e una grossa differenza rispetto agli anni dei giochi Konami è che oggi multiplayer significa giocare online. E lo significa a maggior ragione quando si parla di un gioco sviluppato durante la pandemia. Chiaramente, sviluppare un multiplayer online significa dover affrontare tutta una serie di problemi aggiuntivi in termini di riproduzione della partita per tutti i giocatori, lag e un po' tutte quelle cose che, secondo Gemus, la gente riassume e semplifica dicendo "netcode". Replicare l'esperienza in modo fedele per tutti i partecipanti è una questione molto delicata e non semplice per un'opera dal ritmo veloce come Shredder's Revenge. Essendo sostanzialmente impossibile ottenere una replica impeccabile, il team si è concentrato sugli aspetti su cui si fissa lo sguardo del giocatore, cercando per esempio di replicare in maniera perfetta il nemico sotto attacco e non il resto. Insomma, il punto era dare un'esperienza soddisfacente senza far notare le incongruenze.
Un tema importante era quello della difficoltà in relazione al multiplayer. Si è infatti voluto evitare di variare la difficoltà semplicemente aggiungendo o diminuendo il numero di nemici in automatico. E quindi la cosa è stata curata "a mano", magari rimpiazzando due nemici con uno solo più potente, cercando di fare in modo che tutti i giocatori avessero sempre qualcosa da fare. Alla fine, si è optato per tre possibili configurazioni: per giocatore singolo, per due o tre giocatori, per più di tre giocatori, tarandole anche tenendo conto della confusione estrema che si genera con più di quattro partecipanti. Più in generale, come detto, la gestione dell'online non è stata semplice e per esempio ha costretto il team a limitare il numero e l'occorrenza delle combo in cooperativa, divertentissime in multiplayer locale ma un incubo da far funzionare online. E poi hanno aggiunto la possibilità di "resuscitare" i compagni abbattuti e altri piccoli accorgimenti.
Con tutto questo focus sul multiplayer, però, è stato importante anche non dimenticarsi del gioco in singolo. Per questo sono state implementate due modalità separate: quella arcade, molto vicina all'esperienza da sala giochi di una volta, e lo Story Mode, che prevede salvataggi e missioni opzionali. Chiaramente, le side quest intese in senso classico sono poco adatte a un gioco basato su questo ritmo così rapido, senza contare che la storia racconta di un inseguimento e avrebbe poco senso metterlo in pausa per occuparsi d'altro. Per questo hanno ideato il sistema di missioni opzionali incentrato sulla raccolta di collezionabili.
Missione compiuta
Una volta giunto sul mercato, Shredder's Revenge ha raccolto qualche critica da parte degli appassionato hardcore, che non lo ritenevano abbastanza difficile e sufficientemente fedele ai cliché del genere. Ma il rovescio della medaglia è che ne è venuto fuori un gioco accogliente, che non aliena chi è poco avvezzo a questo tipo d'esperienze. E in ogni caso, con gli aggiornamenti post lancio, il team ha aggiunto una modalità extra con una serie di variabili che è possibile attivare o disattivare per complicare (o semplificare!) vari aspetti dell'esperienza. Questo aggiornamento, tra l'altro, ha aiutato a riportare il gioco sotto i riflettori nel periodo natalizio, garantendo quindi un po' di vendite aggiuntive. Nel complesso, comunque, Teenage Mutant Ninja Turtles: Shredder's Revenge può essere considerato un successo: la comunità dei fan l'ha apprezzato con decisione, su Metacritic c'è un soddisfacente 85 e nella settimana di lancio ha venduto oltre un milione di copie.
Insomma, cowabunga!!!