The Last of Us 2, che vi abbiamo raccontato nel dettagli all'interno della nostra recensione, è stato concepito per dipanarsi attraverso un level design molto particolare, anche se non particolarmente nuovo se osservato nelle sue singole parti. Il capolavoro Naughty Dog, pur rimanendo essenzialmente lineare, può permettersi anche grazie al suo agilissimo engine di spaziare come non mai nella costruzione dei suoi mondi. Questo ha permesso al team di sviluppo di allestire situazioni sempre diverse, e mai involontariamente claustrofobiche, come avviene nella stragrande maggioranza di titoli impostati su tragitti dal punto A, al punto B.
Lineare fino a un certo punto
Anche se sempre più rari, i giochi lineari possono essere di diverso tipo: c'e una grandissima differenza nel level design di The Order 1886, Gears 5, God of War e del classico Half-Life 2, ma è proprio con quest'ultimo che The Last of Us Parte II ha più punti in comune.
The Order è chiaramente il più "dritto", e non permette di fare altro se non di seguire pedissequamente il suo gameplay, anche per fare in modo da poter sempre offrire la migliore resa grafica. Gears 5 e con le dovute differenze God of War schierano delle zone piuttosto open, da cui si diramano viaggi molto più rigidi nella forma e nella sostanza; una scelta classica per dei giochi che potrebbero tranquillamente offrire situazioni più ariose, scegliendo però di affidarsi a un design classico proprio per non ledere i loro gameplay così ben calibrati. Anche quella dei giochi Valve e Naughty Dog è una scelta, i loro engine come i loro gameplay non avrebbero avuto problemi con una struttura più sfacciatamente open, ma invece di osservare scrupolosi una griglia precisa, sfruttano questa libertà per costruire diverse forme di level design in base alle necessità della trama.
Direzioni
Un approccio che dona a The Last of Us Parte II una varietà che fa chiaramente la differenza, esattamente come l'ha fatta sedici anni fa Half-Life 2. Le diverse aree che compongono l'ultima avventura Naughty Dog sono costruite partendo da un approccio che la stessa software house definisce wide linear, ampio e lineare, ma questo è soltanto uno degli ingredienti di quella che gli americani chiamerebbero secret sauce, l'immaginaria salsa segreta capace di rendere speciale qualsiasi cosa. In The Last of Us Parte II in realtà vengono utilizzati tantissimi stili diversi consecutivamente, per una lunga corsa verso l'obiettivo finale che a volte ha i ritmi di uno sprint, altre da maratona, e altre ancora del trekking più riflessivo. Diverse velocità per diversi level design che l'avventura usa in lungo e in largo, proponendo continuamente sezioni totalmente diverse tra loro.
Liberi di costruire
Come anticipato anche in fase di recensione, The Last of Us Parte II inizia in modo piuttosto canonico, come fa il prequel e un Uncharted qualsiasi, prendo poi direzioni che mai ci si aspetterebbe né dal genere di appartenenza, né tantomeno da Naughty Dog. Ci sono parti in cui l'avventura di Ellie diventa molto, molto simile a un vero open world anche se non parliamo affatto di hub, una zona di partenza nella quale tornare ciclicamente, bensì di segmenti che lasciano presto o tardi spazio ai successivi che, almeno nella maggior parte dei casi, seguiranno anche nuove regole. E no, non parliamo di situazioni come quella che in Uncharted 4 ci vede impegnati sulla jeep, ma di macrolivelli ben più strutturati e funzionali.
In altre zone, The Last of Us Part II non ha paura a tornare alle sue origini, ma anche in questi casi non si ha mai l'impressione di essere alle prese con un level design necessario per far funzionare il progetto: là dove la linearità prende il sopravvento lo fa per esaltare un certo tipo di scontro, di emozioni e mai obbligando in una direzione soltanto. I livelli più lineari di questa eccelsa avventura portano tutti verso un'unica uscita, come vuole la regola, ma il loro interno è fatto di spazi, bivi e tante opportunità diverse che permettono all'utente di agire sempre a sua completa discrezione, o almeno a farglielo credere.
Nemici come checkpoint
In The Order, o in un Devil May Cry, la battaglia successiva è sempre lì davanti a te, e occupa l'intero spazio in quel momento calpestabile proprio come fosse un checkpont di Outrun. Questa è un regola che si riscontra in tutto il gioco perché sia il gameplay che il motore grafico sono tarati per funzionare così. Nel caso di The Last of Us Parte II, gli avversari sono utilizzati anche in questo modo, se vogliamo più classico, ma è soltanto uno dei possibili arrangiamenti che Naughty Dog, nella sua straordinaria mise en place di tool e middleware, si può permettere di utilizzare. Ecco perché il gioco ci spingerà ad esplorare dal basso verso l'alto e dall'alto verso il basso, cambiando direzione strada facendo senza dimenticare l'orizzontalità che non è mai pianura, ma sempre un naturale scorcio di verità. Tutto questo dimostra anche che non è vero che i giochi lineari sono acqua passata, e che la soluzione a tutti i male è sempre e solo l'open world. Siamo arrivati oramai a una maturità tecnica tale che certi limiti, certi muri, stanno fortunatamente crollando e quando questo accadrà del tutto, ogni videogioco potrà essere tutti i videogiochi che vuole, anche nello stesso momento.
E se non avete capito nulla di quello che vi abbiamo provato, non senza una certa difficoltà, a spiegare senza spoiler, state tranquilli che tutto diventerà più chiaro dal momento in cui, anche voi, avrete una copia installata di The last of Us Parte II sulla vostra console.