Solitamente la cancellazione di un videogioco in una fase avanzata dello sviluppo non è un evento che viene accolto da uno scroscio d'applausi, anzi, in passato è capitato più volte che fosse letto come un pessimo indicatore dello stato di salute di un determinato studio o di un grande produttore. Eppure, la notizia della chiusura del progetto multigiocatore realizzato da Naughty Dog nel corso degli ultimi anni - quello ambientato nell'universo di The Last of Us - si è trovato al centro di una vera e propria celebrazione: la sua caduta è stata infatti interpretata come un cambio di rotta dalle parti di Sony Interactive Entertainment, che secondo la frangia più ottimista del pubblico sarebbe in procinto di ritirarsi dal suo recente impegno nei giochi come servizi. Una deriva, questa, che non è mai andata giù all'utenza di PlayStation 5, desiderosa di vivere altre grandi avventure paragonabili a quelle che hanno segnato l'ottava generazione di console.
In realtà la questione che siede dietro la cancellazione è decisamente più complessa: in primo luogo perché, nel comunicato di riferimento, Naughty Dog parla di un progetto di straordinario valore che avrebbe tuttavia finito per dirottarla in maniera irrevocabile dal suo tradizionale percorso creativo. In secondo luogo perché l'atmosfera interna ad alcuni studi di SIE sembra ormai essersi fatta rovente: persino Bungie, il cui ruolo fondamentale dovrebbe essere proprio quello di supervisionare i giochi come servizi di casa PlayStation, si trova al momento nel centro di un uragano che potrebbe portarla presto a perdere la sua autonomia. The Last of Us Online è stato un videogioco sbagliato fin dall'inizio? Ripercorriamo la vicenda tentando di comprendere cosa stia accadendo dentro e attorno agli studi di Naughty Dog.
Un videogioco troppo bello e di successo per essere pubblicato
L'elemento più assurdo della situazione si nasconde nel comunicato stampa diffuso dalla stessa Naughty Dog. Stando alle parole dei portavoce dello studio, l'esperienza "è stata in pre-produzione fin dal periodo dello sviluppo di The Last of Us Parte 2, momento in cui è stata costruita in maniera unica e ha dimostrato un potenziale incredibile". Nel corso del tempo "il gameplay è stato rifinito ed è diventato sempre più soddisfacente", finché - quando si è trovata nel pieno della produzione - la compagnia ha dovuto fare i conti con un terribile verità: "Per rilasciare e supportare The Last of Us Online, tutte le risorse dello studio avrebbero dovuto riversarsi nei contenuti post-lancio per un numero indefinito di anni, impattando fortemente la creazione di futuri titoli per il giocatore singolo". In parole povere, la casa si è trovata di fronte a una scelta: "Diventare uno studio dedicato esclusivamente ai giochi come servizi oppure continuare a focalizzarsi sulle avventure narrative in single player che hanno segnato la storia di Naughty Dog".
Il "non-detto" di questo messaggio lapidario si potrebbe riassumere così: avevamo per le mani una specie di Grand Theft Auto Online, ma realizzarlo avrebbe significato dedicarsi a supportarlo per l'eternità. Probabilmente questa rappresenta la prima volta nella storia dei videogiochi in cui viene presentata una narrazione di questo genere, in cui si parla di un progetto talmente orientato al successo da rischiare di distruggere l'eredità della software house che l'ha costruito. L'esempio di Grand Theft Auto non è stato casuale, perché l'emersione dell'immenso GTA Online non ha assolutamente precluso ai Rockstar Studios l'opportunità di ampliarsi e presentarsi sul mercato anni più tardi con Red Dead Redemption 2. Diventa dunque estremamente difficile leggere in maniera chiara la situazione interna a SIE: si è trattato semplicemente un modo "elegante" per staccare la spina a un'operazione problematica? Possibile che la casa madre si sia resa conto di aver sottostimato le risorse necessarie per mantenere grandi giochi come servizi? Bisogna intenderla come una sorta di 'ribellione' di Naughty Dog al cammino tratteggiato da Sony, oppure come un semplice cambio di rotta della dirigenza?
Il videogioco di successo che il pubblico non vuole
Fin dall'istante in cui le prime informazioni riguardo il misterioso The Last of Us Online hanno iniziato a trapelare, la maggior parte del pubblico di Sony si è dichiarata apertamente avversa al progetto. L'emersione delle primissime indiscrezioni faceva pensare a una minuta appendice come la modalità Factions del primo capitolo - allora percepita come una gradita aggiunta - ma non appena è divenuto chiaro che lo studio fosse impegnato appieno in qualcosa di più grande, la musica è cambiata all'improvviso. Nonostante la forza del marchio di The Last of Us e le immense potenzialità di una rinnovata esperienza multigiocatore, la versione "Online" non è mai riuscita a convincere gli appassionati, trasformandosi in una sorta di emblema del nuovo sgradito ciclo spesso attribuito a Jim Ryan - ormai ritiratosi dalle scene - e Hermen Hulst, che siede ancora a capo degli studi di PlayStation.
Probabilmente si tratta di un problema di rappresentazione: Naughty Dog è senza ombra di dubbio il fiore all'occhiello di Sony Interactive Entertainment, lo studio che ha fatto da apripista ed è divenuto capofila della dimensione creativa impostasi durante l'ottava generazione di console. Un'epoca che ha visto tutti i maggiori successi di PlayStation ancorarsi alla formula del grande videogioco narrativo per il giocatore singolo, tramutandola rapidamente nel marchio di fabbrica della macchina. Quando Sony ha preso la decisione di mettere in cantiere ben 12 giochi come servizi orientati al multigiocatore, l'impiego di Naughty Dog sul nuovo fronte è stato recepito come la proverbiale goccia che fa traboccare il vaso. Stando alle parole scelte dai responsabili della comunicazione dello studio, The Last of Us Online era nel pieno della produzione, pertanto è plausibile ritenere che abbia impegnato gli sviluppatori ad alto regime nel corso degli ultimi quattro anni, ritardando enormemente i lavori sugli altri progetti che hanno comunque confermato di avere già sottomano.
A prescindere da quali siano le reali motivazioni della cancellazione - la paura del successo o un ripensamento in seno al management - il vero grande sconfitto della vicenda è la modalità Factions del primo The Last of Us. Sono definitivamente finiti i tempi in cui uno studio poteva dedicare una piccola quantità di risorse alla creazione di una minuta e curata esperienza multigiocatore pensata per arricchire il pacchetto base: l'epoca del tutto o niente ha colpito anche il fianco di Naughty Dog, costretta o volenterosa di andare all-in sulla classica formula del gioco come servizio pensato per monopolizzare l'interezza del tempo degli appassionati, nel tentativo di generare tonnellate di profitti nel lunghissimo periodo.
Senza dubbio questo preciso istante rappresenta un bivio fondamentale nella storia di Sony Interactive Entertainment tutta: probabilmente non conosceremo mai la verità su The Last of Us Online, senza dubbio non sapremo mai se si sarebbe rivelato un successo paragonabile al gigante di Rockstar Games, e a onor del vero è difficile immaginare un destino simile per un progetto che finisce per esser cancellato. Quel che resta è il nuovo status quo: Naughty Dog non farà più parte della batteria di studi impegnati nei giochi come servizi e, viste e considerate le moderne tempistiche di sviluppo, non tornerà a graziare gli scaffali dei negozi ancora per molto tempo. Oggi per gli appassionati è un giorno di festa: The Last of Us Online non s'aveva da fare e alla fine non si farà, le grandi avventure per il giocatore singolo sono salve, ma le ombre proiettate da questa comunicazione sono tutt'altro che rassicuranti.
I giochi come servizi di Sony
Scendono così a 11 i videogiochi come servizi in sviluppo dalle parti di Sony Interactive Entertainment. Hiroki Totoki, il successore temporaneo di Jim Ryan, ha affermato lo scorso novembre che il numero di titoli del genere previsti entro la fine del 2025 è calato a 6 al fine di "rispettare le elevate aspettative dei giocatori"; vale la pena notare che nella stessa occasione Totoki ha voluto rimarcare come "quella dei giochi come servizi rimarrà una politica immutata per la compagnia, che nel medio e lungo termine mira ad allargare questo genere di iniziative". Anche Hermen Hulst si era recentemente espresso sulla questione, dicendosi "fiducioso nel track record di PlayStation e nella sua capacità di creare mondi e storie che gli appassionati possano amare".
Per il momento, fra i titoli live service in sviluppo si può ricordare Fairgame$, il videogioco basato su rapine del team Haven Studio supervisionato dalla rediviva Jade Raymond; accanto a lui c'è il misterioso Concord di Firewalk Studio, l'ultima fucina acquisita da Sony proprio nel corso del 2023; stando agli annunci di lavoro si dà poi ormai per certo che dalle parti di Guerrilla Games sia in sviluppo un'esperienza online nei confini del franchise di Horizon, mentre London Studio sembra aver abbandonato definitivamente le sponde della VR per dedicarsi a tempo pieno alla produzione di un'avventura cooperativa ambientata in una versione fantasy di Londra. Chiude il cerchio dei progetti noti l'enigmatico reboot dl Marathon di Bungie, uno studio che in questo preciso momento rappresenta il più grosso elefante nella stanza di Sony Interactive Entertainment.
I padri di Destiny 2 sono infatti finiti al centro di un tifone mediatico quando, dopo aver tentato di smentire per mesi le voci di un rinvio dell'espansione 'finale' La Forma Ultima, sono stati costretti ad ufficializzare il ritardo, annunciandolo proprio in concomitanza di una grossa ondata di licenziamenti. Oltre a essere molto complessa e sfaccettata, la questione interna a Bungie è a dir poco cruciale per i piani futuri di Sony: dopo averla acquisita per 3,5 miliardi di dollari, SIE l'ha investita del compito di supervisionare tutti i lavori sul fronte dei giochi come servizi, salvo poi vederla crollare per prima sotto il peso del suo quasi decennale sparatutto fantascientifico. E se la mente in controllo delle fatiche live service si trova in questo stato, non si può dire che sia un buon inizio.
Il fatto stesso che la cancellazione di The Last of Us Online sia stata accolta con entusiasmo proietta un'ombra inquietante sul futuro prossimo di Sony Interactive Entertainment, che dal canto suo non aveva mai avuto la benché minima intenzione di smettere di produrre grandi avventure per il giocatore singolo. Di certo le circostanze dell'annuncio sono fra le più strane che ci sia mai capitato di incontrare: da una parte c'è un creatore impegnato a lodare la sua creazione, apparentemente spaventato dal potenziale successo del suo progetto, volenteroso di 'salvare i videogiochi' sacrificando facili guadagni sull'altare della coerenza artistica; dall'altra c'è la realtà dell'industria contemporanea, una dimensione nella quale è impossibile si possa verificare un'eventualità di questo genere. The Last of Us Online non s'aveva da fare e alla fine non si farà: gli appassionati sono in festa, ma si tratta del preludio di un'effettiva retromarcia oppure di un semplice incidente di percorso che indossa una maschera?