Quando The Witcher 3: Wild Hunt è arrivato sul mercato nel corso della prima metà del 2015, le voci del capolavoro annunciato si rincorrevano ormai da anni. La fama dello strigo e del suo team di sviluppo si era andata innalzando proprio durante lo sviluppo del terzo capitolo della saga. I ragazzi polacchi di CDProjekt avevano tentato la difficile strada dello sviluppo videoludico tripla A partendo proprio dal primo capitolo di questa serie, datato 2007. Uscito su PC e caratterizzato da un'estetica interessante ma ancora fortemente grezza, il gioco non era riuscito neanche lontanamente a raggiungere il grande pubblico. Diversamente il secondo capitolo tentava di ammodernarsi, avvicinando il gioco anche al mondo console e tentando di affiancarsi ad altri grandi esponenti del genere.
Gli anni che hanno separato The Witcher 2: Assassins of Kings e il suo diretto sequel sono stati vissuti con grande trepidazione. Le prime rivelazioni del gioco mettevano in mostra una qualità estetica totalmente fuori di testa per quegli anni, al punto che già in anticipo si era parlato di un probabile, forte downgrade. Dopo quattro anni ed un paio di ritardi annunciati, Wild Hunt è arrivato sugli scaffali fisici e digitali di tutto il mondo, riuscendo a raccogliere una quantità di appassionati oltre ogni più rosea aspettativa.
La furbizia dell’incipit
La grande furbizia degli sviluppatori, in grado di avvicinare alla serie anche chi fino a quel momento non aveva preso in considerazione l'opera derivante dai libri di Sapkowski, si è contestualizzata nella scelta di dare al terzo capitolo una cornice dedicata a due personaggi finora tralasciati dalla trasposizione videoludica. Sia la Caccia Selvaggia che Ciri erano infatti stati tenuti ai margini dei primi due giochi, citati solo in maniera più o meno diretta nei flashback del secondo capitolo. Mentre la seconda diventa addirittura personaggio giocabile in alcune situazioni, il primo raccoglie la sfida di diventare sottotitolo diretto della chiusura della trilogia.
Questo binomio importante resta al centro dell'azione per la totalità della quest principale, messo da parte solo (si fa per dire) dall'infinita quantità di sotto trame tessute dai ragazzi di Varsavia. La Caccia Selvaggia nello specifico non rappresenta un villain classico. Derivato anche nella serie letteraria dalle leggende medioevali che in qualche modo toccavano anche il ciclo di re Artù, in The Witcher rappresenta un gruppo di cavalieri spettri - in origine facenti parte di una dinastia di elfi - che si manifestano come presagio di disgrazia e morte. Geralt capisce ben presto che la sua apprendista è in qualche modo in pericolo e decide di mettersi sulle sue tracce, a parecchi anni dal loro ultimo incontro.
Ciò che fa sorridere di questo incipit è che la trama principale rappresenta probabilmente l'elemento narrativo meno riuscito di The Witcher 3. Al contrario lascia a bocca aperta ancora oggi e rende l'opera un tassello imprescindibile nella carriera di qualsiasi videogiocatore, la straordinaria capacità di unire il gameplay e l'esplorazione all'approfondimento del background del mondo di appartenenza, così come la voglia di scavare nella psicologia di una quantità di NPC esorbitante. Tornare a giocare The Witcher 3 oggi, come abbiamo fatto noi in occasione dell'uscita su Nintendo Switch, consente di apprezzare ancor di più un lavoro sulla scrittura dei dialoghi che, dopo quasi un lustro, non conosce ancora rivali.
Espandere un universo
Tutto ciò che di buono CDProjekt era stata in grado di creare per il gioco base, l'ha poi ulteriormente rifinito grazie al lavoro sulle due grandi espansioni uscite nel giro di un anno. Vendute ad un prezzo che definire onesto è un eufemismo, hanno rappresentato per molti il biglietto d'ingresso definitivo in un universo espanso eccezionale. A dire il vero conosciamo più di una persona che, dopo gli eventi così psicologicamente importanti per Geralt raccontati in Heart of Stone; o dopo l'aver potuto apprezzare l'estetica e la cultura del ducato di Toussaint in Blood and Wine, ha deciso di approcciare anche la serie scritta, ammaliato dalla quantità di dettagli.
I due DLC (seppure fatichiamo anche a chiamarli così) hanno vinto nel momento stesso nel quale hanno messo da parte la narrazione principale. Riprendere in mano ciò che lo strigo è per eccellenza: ovvero un cacciatore di mostri e un mercenario, ha permesso di approfondire da una parte la sua figura e le sue paure mai davvero affrontate e dall'altra di fare la conoscenza di una porzione di mondo separata, simile in qualche modo a come George R.R. Martin ci ha raccontato Dorne e le sue maniere esotiche. Il pacchetto completo dell'esperienza di The Witcher 3: Wild Hunt oltre ad essere contenutisticamente spaventoso, è anche la punta di diamante di un modo di produrre ed autocelebrarsi che è quanto di meglio l'industria videoludica possa raccontarci oggi.
Ed è per questo che alla fine si perdonano alcuni scivoloni, seppure grossi, apprezzando la schiettezza e la trasparenza con la quale il team polacco ha raccontato è messo sul mercato il proprio capolavoro. Parliamo di scivoloni perché chi scrive non ha mai comunque davvero apprezzato un sistema di combattimento scialbo e svogliato, manchevole di un feedback del colpo e di una profondità che al giorno d'oggi ci sembra fondamentale. È difficile pensare ad un action rpg in terza persona a tema fantasy, senza affiancarlo ad un riuscito sistema di combattimento. The Witcher 3 in questo pecca dannatamente, finendo per sporcare una produzione che altrimenti si rivelerebbe al limite della perfezione. Come già detto tutto si perdona e, con il tempo, si finisce addirittura per apprezzare un approccio fortemente legato all'approfondimento dell'alchimia e dei mutageni, ma seppure stiamo tessendo le lodi di un'opera mastodontica, vogliamo restare coerenti e obiettivi.
L’eredità che si lascia dietro
Ad oggi non sappiamo se The Witcher 3: Wild Hunt si rivelerà l'ultimo capitolo della serie ambientata nell'universo di Sapkowski. In più di un'occasione i ragazzi di CDProjekt ci hanno tenuto a far comprendere come potrebbero decidere di tornare in quelle terre, con nuove storie ed eventualmente anche nuovi protagonisti. Attualmente sono però nel bel mezzo della rifinitura di Cyberpunk 2077 e, per quanto si tratti di un titolo diametralmente opposto nell'ambientazione e nella maggior parte delle meccaniche, vive per forza di cose della luce riflessa di The Witcher 3.
L'eredità che si lascia alle spalle è il nome stesso che si porta dietro il team che lo ha realizzato. Esattamente allo stesso modo è la capacità di aver fatto conoscere al mondo una saga quasi unicamente relegata al proprio paese d'appartenenza, arrivando tramite un videogioco a spingere anche un grande colosso come Netflix ad accaparrarsene i diritti per realizzare una serie tv, ormai in dirittura d'arrivo. Restando all'industria d'appartenenza, The Witcher 3 è quanto di più alto il genere abbia messo sul piatto nel corso di questa generazione ormai agli sgoccioli. Chiunque decida di realizzare un gioco di ruolo d'azione occidentale è costretto a fare i conti con l'importanza e la maestosità di quanto questo titolo è stato in grado di creare nonché per le sensazioni che è riuscito a generare in ogni giocatore. L'unico consiglio che possiamo darvi è quello di recuperarlo, nel caso in cui non l'abbiate fatto, o di fustigarvi, magari chiamando uno strigo che sappia mettervi in riga.