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Anthem e il dramma dei giochi come servizi che devono durare dieci anni

C'è un dramma che serpeggia nell'industria dei videogiochi ed è quello dei titoli progettati per durare almeno dieci anni.

NOTIZIA di Simone Tagliaferri   —   21/02/2019
Anthem
Anthem
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Molti di quelli che hanno provato Anthem non parlano di un brutto gioco, ma di uno che non stupisce mai. Stai lì, fai le tue cose, personalizzi il tuo Strale, svolgi le missioni principali, che somigliano troppo a delle missioni secondarie di un qualsiasi MMO e fai gruppo con i tuoi amici. Le prime ore voli come un forsennato perché è divertente farlo, nel mentre cerchi nemici con cui combattere perché è divertente fare anche questo, ma quanto può durare? Nel senso che ben presto ti accorgi che mancano degli stimoli forti a ripetete all'infinito lo stesso ciclo di gioco. Essere gratificarti con dell'equipaggiamento sempre più potente funziona, per carità. In fondo è un sistema studiato sui ratti, quindi è validissimo anche per i videogiocatori, ma qualcosa comunque non torna.

Nonostante le esplosioni, nonostante l'ottimo lato tecnico, il sapore è sciapo. Tutto sembra essere al suo posto, tutto sembra funzionare, ma non c'è niente che faccia decollare l'esperienza di gioco o, meglio, che la renda memorabile. A pensarci bene è una sensazione provata spesso negli ultimi anni, con tutti quei titoli pianificati per durare a tempo indeterminato. Chiamiamolo il dramma della pianificazione a dieci anni, che volendo possiamo leggere come una forma di sterilizzazione preventiva dei prodotti che devono coinvolgere il più ampio pubblico possibile, ma senza mai stravolgerlo; possono raccontare storie ma non possono mai arrivare a un momento conclusivo, pena la perdita d'interesse con relativo calo dell'afflusso dei ricavi.

Si tratta di una sensazione che abbiamo già provato con innumerevoli giochi come servizi, che ci stanno trasformando in tanti vecchi che passano le giornate davanti ai cantieri: i giochi escono non finiti e noi stiamo lì a guardare i perenni lavori in corso aspettando che migliorino fino a quando non ci accorgiamo che siamo ormai stanchi e che quello che facciamo non sembra più essere nemmeno un gioco. Del resto non c'è un singolo Gaas con una storia che non sia meno che mediocre o, peggio, che non somigli a una telenovela di bassa lega. Non c'è niente che sciocchi o sconvolga, niente che valga davvero la pena raccontare fuori dal gioco. Si arriva sempre a un momento topico che si risolve con l'attesa di qualche aggiornamento che ci conduca fino al prossimo momento topico. Siamo dei prigionieri, non più dei fruitori.

In fondo sono giochi come servizi... è il nome stesso del modello economico ad aver tagliato fuori concetti come quello di esperienza e ad averne violentati altri come il coinvolgimento, diventato la misura sulla quale pianificare le strategie per trasformare gli utenti da giocanti a paganti. In effetti quello che fa più strano di Anthem è che sia stato realizzato da un team che ha costruito la sua fama sulle storie memorabili, dall'epica fantasy dei Baldur's Gate, alla grande rilettura dell'universo di Star Wars operata con Knights of the Old Republic, fino alla tragicità dei primi tre Mass Effect. Anthem funziona, come funzionava Destiny, come funzionava The Division e come funzionano quasi tutti i titoli di questo tipo, che in fondo hanno dei budget spropositati e non possono non funzionare. La tragedia è che a conti fatti non ce ne ricordiamo nemmeno uno. Sono servizi... chi si appassionerebbe mai a un autobus? Devono farti pagare il biglietto per almeno dieci anni, non entrarti nella coscienza.