Ogni fine anno c'è un momento particolarmente rivelatore nel mondo dei videogiochi, che è quello delle classifiche dei titoli più giocati sulle varie piattaforme. Si tratta del classico bagno di realtà che dice molto, ma insegna poco e che viene dimenticato nel giro di pochi giorni. Dopo altri 365 giorni passati a discorrere di questa o quell'altra esclusiva, per la piattaforma X o la piattaforma Y, di quanto fosse bello il gioco Z e di quanto fosse deludente S, la classifica pubblicata da Sony negli scorsi giorni, relativa ovviamente al consumo di videogiochi nel mondo PlayStation (PS4 e PS5), ci dice per l'ennesima volta che il videogiocatore medio è come le vecchine che guardano Amadeus: abitudinario e poco curioso. Magari spende centinaia di euro per addobbare la cameretta e mostrarsi in streaming (o imitare quelli che lo fanno), ma alla fine della fiera gioca sempre agli stessi giochi e si guarda poco intorno. Gli bastano i vari , Call of Duty, GTA, FIFA e poco altro per sentirsi integrato e potersi definire "gamer", parola che ormai è diventata una mera categoria merceologica, un po' come quella "nerd".
Massa e potere
Al videogiocatore medio dei videogiochi come medium non interessa. Non gli interessa della loro storia o della loro evoluzione. Non gli interessa scoprire le idee che emergono dalla scena indipendente o seguire i progressi di studi o di singoli autori, anche quelli più affermati. Ciò che lo coinvolge sono i fenomeni, quelli che gli consentono di sentirsi parte di una massa, dentro cui disperdersi.
Scriveva Elias Canetti in Massa e Potere: "Solo tutti insieme gli uomini possono liberarsi dalle loro distanze. È precisamente ciò che avviene nella massa. Nella scarica si gettano le divisioni e tutti si sentono uguali. In quella densità, in cui i corpi si accalcano e fra essi quasi non c'è spazio, ciascuno è vicino all'altro come a se stesso. Enorme è il sollievo che ne deriva. È in virtù di questo istante di felicità, in cui nessuno è di più, nessuno è meglio d'un altro, che gli uomini diventano massa."
Evidentemente i videogiocatori partecipano degli stessi processi che regolano il resto del genere umano (non c'era da dubitarne, ma per qualche tempo abbiamo sperato che non fosse così, ingenuamente). Del resto quanto godimento si manifesta nel momento in cui i dati di vendita o di coinvolgimento di un determinato gioco ne mostrano il successo, ossia la crescita della massa che ne fruisce, quindi il diminuire del rischio che si disgreghi? "Solo l'incremento della massa impedisce ai suoi membri di tornare a strisciare sotto il peso dei loro carichi privati," e di dover cambiar canale... pardon, gioco, aggiungiamo noi.
Eppure, nonostante tutto, ogni anno c'è stupore. Ogni anno quei dati che dovrebbero far capire immediatamente il perché di certe tendenze di mercato e di certe scelte azzardate fatte dagli editori più grossi (pensate all'inseguimento dei live service di Sony) vengono commentati come se fossero incredibili e inattesi, per essere ignorati il giorno dopo, come se davvero le sorti di console ed ecosistemi videoludici fossero determinate ancora dai giochi classici e non da qualcosa che ci rifiutiamo di guardare negli occhi; un mondo dei videogiochi che magari non ci appartiene, ma che ci ha comunque marginalizzati, perché è lì che si fanno i soldi ed è lì che vanno le nuove generazioni.