Crediamo sia compito di ogni essere umano chiedersi prima o poi cosa lascerà dopo la sua morte. Purtroppo questo nobile interrogativo ha preso derive inquietanti a causa delle nuove identità digitali. Pensiamo per esempio a come sembrino spesso fuori posto i messaggi di dolore e commiato scritti sulle pagine Facebook delle persone morte che, loro malgrado, lasciano un pezzo della propria vita, ora fuori controllo, sotto gli occhi di tutti. Fa venire i brividi solo a pensarci. Questa tensione verso l'immortalità da un lato e il voyeurismo morboso dall'altro hanno portato alla sviluppo di una tecnologia chiamata Soul Cloud. Grazie a questo software, le persone morte possono rivivere nel cyberspazio del Soul Cloud percorrendo in eterno i propri ricordi, che diventano veri e propri mondi visitabili da parenti, amici e conoscenti del defunto. Sapere questo vi aiuterà già molto nell'approccio con Master Reboot, un videogioco che fa leva sul senso di spaesamento del giocatore. All'inizio del gioco infatti sappiamo solo che ci troviamo in un mondo che sembra un incrocio tra un dipinto surrealista e un incubo tecnologico scaturito dalla penna di William Gibson. E le cose non migliorano procedendo nel gioco, anzi, gli ambienti si fanno sempre più inquietanti e sconvolgenti. In compenso le informazioni cominciano ad arrivare, trasmesse dalla forma stessa dei livelli.
Come nel caso di Gone Home, in Master Reboot è l'ambiente che racconta la storia. Capiamo così che ci troviamo dentro al Soul Coud e che disponiamo di un accesso riservato agli impiegati dell'azienda che lo ha creato. Purtroppo per noi non siamo soli: Serene.exe, l'antivirus del sistema, ci sta dando la caccia. Quello che non è chiaro è chi siamo e perché ci aggiriamo proprio tra i ricordi di una coppia di fidanzati deceduti. Solo seguendo la logica dei loro ricordi, fatta di simbolismo e astrazioni, arriveremo alla sconvolgente verità. Master Reboot incanala una serie di intuizioni brillanti e riesce quasi sempre a trasferirle nel gioco con risultati sorprendenti. Purtroppo, anche se mentre scriviamo è già stata rilasciata una patch, il gioco soffre ancora per la mancanza di pulizia nella struttura dei livelli. Le meccaniche proposte si sposano male con la visuale in prima persona e qualche ambiente stona per qualità e design rispetto agli altri. Soprattutto la sequenza finale avrebbe bisogno di una revisione. Ciò non toglie che gli sviluppatori di Wales Interactive abbiano un occhio straordinario per le forme e siano stati capaci di metterlo al servizio di un videogioco unico. Master Reboot spiazza il giocatore tenendolo sospeso tra meraviglia e inquietudine, per poi lasciarlo alla fine con molte domande cruciali per le quali non ci sono risposte facili.
Narrazione ambientale estrema e cambi di prospettiva vertiginosi vi aspettano in Master Reboot
Memorie in codice binario
Master Reboot è un'avventura dell'orrore con puzzle da risolvere. Descrivere la struttura del gioco nel suo insieme è difficile, perciò proviamo a isolare le tre parole chiave, avventura, orrore e puzzle, e a guardarle da vicino una per volta. Di avventura in Master Reboot ce n'è poca. All'inizio il piacere dell'esplorazione domina sugli altri elementi, ma dura poco. L'azione è molto frammentata, suddivisa per stanze dei ricordi, ognuna delle quali rappresenta un mondo a se stante, molto diverso per struttura e atmosfera da quello delle altre stanze. Questi mondi purtroppo sono definiti da un percorso chiaro e lineare, e ci lasciano pochissima libertà di movimento. Sarebbe stato bello alternare stanze così definite ad altre più libere, perché il senso di mistero e spaesamento degli ambienti è così forte da fare venire voglia di perdersi tra le forme e i colori dei ricordi. Invece non avviene. In compenso i puzzle dominano la scena. Ogni ricordo ci chiede infatti di risolvere uno o più enigmi, dopo di che ci propone una sequenza d'azione di qualche tipo, di solito legata a delle piattaforme su cui saltare. Questi sono i momenti più frustranti del gioco, perché la visuale in prima persona rende difficile calibrare i movimenti.
Nel finale non è escluso che qualche giocatore rischi la scomunica a furia di imprecazioni. C'è da dire che di questi tempi basta poco per spazientire i giocatori, abituati a essere imbeccati come pargoli spauriti, ma quando la difficoltà è dovuta ai controlli imperfetti, lamentarsi è lecito. Passiamo infine all'aspetto orrorifico del gioco, legato più al tema visivo delle stanze dei ricordi che a veri momenti di paura. In un paio di occasioni un balzo indietro lo abbiamo fatto, ma quasi sempre la tensione che si percepisce non si tramuta in una vera minaccia. In una stanza per esempio abbiamo sentito dei passi intorno a noi. Ci siamo perciò guardati le spalle. Se non che dopo poco abbiamo capito che i passi facevano parte del tappeto sonoro. Inutile dire che la paura è scomparsa e ci siamo messi in cerca di indizi senza fretta. Sebbene non ci abbia tenuto con i nervi tesi, Master Reboot ci ha comunque messo addosso un'inquietudine che si è manifestata dopo i primi minuti di gioco e non ci ha più lasciato sino alla fine, anche per colpa dell'aspetto da bambina indemoniata dell'antivirus Serene. D'altronde la bellezza di questo gioco è tutta nella sua atmosfera e nel modo in cui le immagini amplificano e danno forma a un tema potente.
Emozioni da abitare
Se spogliamo gli ambienti di Master Reboot e ci concentriamo su quello che stiamo facendo scopriamo che per la maggior parte del tempo siamo impegnati a risolvere puzzle ambientali molto semplici, simili a quelli con i quali giocano i bambini piccoli. Parliamo quindi di oggetti da ordinare secondo una certa logica, colori da abbinare, melodie da riprodurre con i tasti di un pianoforte, palline colorate da trovare e altri compiti di questo genere. Le azioni basilari di qualunque videogioco: raccogli, ordina, segui il ritmo, mira, colpisci. Solo che in Master Reboot queste azioni rimangono ferme alla forma primitiva. Ci stupisce scoprirlo perché non è affatto evidente; nel mondo di Master Reboot, anche le azioni più semplice diventano complesse. Senza indizi o indicazioni di sorta, un problema elementare può diventare fonte di ansia e spaesamento nel Soul Cloud. Certo ci sono casi rari in cui la soluzione di un enigma è talmente bizzarra da rappresentare un ostacolo solo per la mancanza di logica, come nel caso del parco giochi abbandonato. Ma quando capita gli ambienti sono così piccoli e gli oggetti talmente pochi e riconoscibili che si trova il punto d'interazione anche solo lasciandosi attirare dalle forme.
In sostanza
Come avrete notato finiamo sempre a parlare di ambienti e rappresentazioni. D'altronde l'esperienza di Master Reboot si gioca davvero tutta sugli spazi e gli oggetti che li riempiono. Con variazioni radicali di scenario e atmosfera da una stanza dei ricordi all'altra. Una delle nostre preferite è la stanza del bambino. Qui le proporzioni sono invertite e tutto sembra gigantesco. Possiamo perfino visitare la casa delle bambole come se fosse un condomino, mentre il camion dei pompieri a confronto ci appare enorme. Ma è solo un esempio. C'è di tutto dentro il Soul Cloud e non potrebbe essere altrimenti, perché ogni ricordo è illuminato da emozioni diverse. La paura per esempio prende la forma di un aereo nel quale Serene è un'hostess malvagia che pattuglia il corridoio e che dobbiamo evitare muovendoci furtivamente (ancora una volta con meccaniche grezze e minimali). Il ricordo di una bella giornata al mare è invece una spiaggia assolata sulla quale dedicarci a una rilassante caccia al tesoro. Rilassante per modo di dire: in ogni momento sappiamo che qualcosa non va e che stiamo vivendo i ricordi di una persona morta. Gli esempi potrebbero continuare per ogni stanza. Pensate che abbiamo scattato foto a quasi tutti gli ambienti, indecisi su quali scegliere per questa recensione. Inutile proseguire oltre su questo punto. Rimane solo un dettaglio che merita di essere citato. Il simbolo che più si ripete nel corso del gioco è quello di una paperella di plastica. Se ne trovano di colore azzurro sparse nelle stanze dei ricordi. Ci sono anche paperelle giganti di colore giallo e paperelle bianche stilizzate in due dimensioni. L'idea che ci siamo fatti è che la paperella sia un simbolo del Soul Cloud come l'uccellino che cinguetta è il simbolo di Twitter. E infatti le paperelle hanno sempre un qualche frammento di vita associato, a volte una fotografia, altre un foglio scarabocchiato o uno stralcio di comunicazione via chat. Se invece vi state chiedendo perché proprio una paperella azzurra, be', per quello forse un motivo logico non c'è. A nostro parere è solo un'intuizione estetica geniale che si accompagna meravigliosamente con lo stile grafico del gioco.
Conclusioni
Chiunque miri ad avere una cultura dei videogiochi dovrebbe giocare a Master Reboot, perché è un esempio ammirevole di come un autore possa trasmettere il suo pensiero con le forme e le azioni. Ogni frammento di gioco suscita un'emozione diversa e tutti si collegano tra loro come scalini di una spirale che porta verso il cuore di un tema potente. Peccato che il sistema di gioco sia ancora molto grezzo rispetto alla forma estetica. Muoversi tra i sogni e gli incubi di Master Reboot è macchinoso, a volte frustrante. Se anche l'ossatura fosse stata levigata come la rappresentazione, sarebbe stato impeccabile. Ciò non toglie che l'esperienza di questo gioco tocchi in profondità e, per quanto spigolosa, meriti di essere vissuta.
PRO
- Tutti gli elementi lavorano insieme per creare un mondo avvolgente e credibile
- La trama si svela con l'esplorazione
- Una varietà di situazioni che lascia storditi
- Concetto di gioco brillante
CONTRO
- Controlli grezzi e talvolta inaffidabili
- Momenti di frustrazione gratuita
- Alcune scelte nel sistema di gioco vanno contro il buon senso
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- La redazione usa il Personal Computer ASUS CG8250
- Processore Intel Core i7 2600
- 8 GB di RAM
- Scheda video NVIDIA GeForce GTX 560 Ti
- Sistema operativo Windows 7
Requisiti minimi
- Processore Intel Core2 Duo, AMD Athlon64 x2 o superioree
- RAM 2 MB
- Scheda grafica compatibile con Shader Model 3
- DirectX: versione 9.0c
- Sistema operativo Windows XP, Vista, 7