Wolfenstein: The New Order è figlio di una competenza e di una sensibilità di livello superiore. MachineGames ha confezionato uno sparatutto sostanzialmente moderno, che flirta con lo stealth, firma clausole di stile come quelle di progressione del personaggio e non rinuncia a spuntare tante altre caselle di quella checklist attraverso cui si definisce la concezione attuale del genere ma che quando va al dunque si rivela roccioso, rifinito e di carattere, grazie alla perspicace integrazione di molti precedenti degli sparatutto "old school". Il team svedese ha dimostrato di aver avuto un'educazione sana, venendo su con i classici, ma soprattutto di non essersela dimenticata, riuscendo a conservare un'immagine tutt'altro che sbiadita di cosa faceva grande un certo modo di intendere il genere ieri per renderlo compatibile con quello di intenderlo oggi.
The New Order è riuscito insomma a catturare in un modo nuovo lo spirito di Wolfenstein e più in generale di un patrimonio in cui fanno capolino i geni di altri nomi tutelari, come il Riddick con cui vanta una discendenza diretta e Half-Life 2. Il tutto sorretto da una forza immaginifica e un polso narrativo non da meno, in grado di rileggere quest'ennesima storia di lotta al Nazismo attraverso lenti caleidoscopiche, capaci di pizzicare nella maniera giusta tantissime corde diverse sposando il classico eroismo tutto d'un pezzo da film bellico americano del secondo dopoguerra a riflessioni da obiezione di coscienza, lancinanti incursioni in una dimensione dal cinismo estremo e disumanizzante fino alla dolce decompressione in sfere dove celebrare positivamente la vita e valori come l'empatia, l'amicizia e l'amore, sagaci riferimenti alla musica, al cinema e alla cultura pop ma anche ammiccamenti meta-referenziali sparsi qua e là, in maniera talvolta virale. E poi, al centro di tutto, lui, un William BJ Blazkowicz perfettamente figlio di queste istanze, devastante macchina di sterminio con mai troppi nazisti uccisi sul curriculum e mai abbastanza domande da rivolgersi. Non stupisce, dunque, se in molti abbiano salutato il debutto di MachineGames come uno dei migliori titoli del 2014 e tra gli sparatutto irrinunciabili degli ultimi anni. Quello che un po' stupisce è che la software house svedese continua a dimostrare competenza e sensibilità di livello superiore anche alla sua seconda volta, nel confezionare un'espansione stand alone, eventualità in cui è facile ritrovarsi a corto di idee o rimanere saldamente avvinghiati alle proprie conquiste, suonando stanchi e conservativi, dando invece ennesima prova di frizzante vitalità creativa.
Dopo l'exploit di The New Order, Blazkowicz ha saputo ripetersi con Wolfenstein: The Old Blood?
Ritorno al castello
The Old Blood è un prequel ambientato nel 1946 che racconta i fatti immediatamente precedenti The New Order, portando il giocatore lì dove tutto è cominciato: nel castello che dà il nome alla serie. L'occasione è stata opportunamente colta dagli autori per imprimere al gioco una caratterizzazione diversa, in grado di dargli la giusta dignità di esperienza autonoma. La direzione artistica si è fatta più "classica", tipicamente anni '40, sostituendo le tinte accese e decise dell'originale con una gamma delicata e pastellosa, che in taluni casi ricorda la fotografia (non il rendering, intendiamoci) di Dishonored.
Un'affinità elettiva suggerita anche dal design industriale, con macchinari e infrastrutture chiaramente ispirati all'inconfondibile lavoro che Viktor Antonov ha svolto per Arkane e, prima ancora, Valve. MachineGames sembra insomma aver deciso di riportare in vita il Castello di Wolfenstein ispirandosi all'architettura Combine, talmente è forte in certi passaggi la sensazione di ritrovarsi all'interno di una pertinenza archeologica della Cittadella di Half-Life 2. Ma questo è solo uno dei toni di The Old Blood, che gioca in maniera brillante e consapevole anche e soprattutto con il background dei fan della saga che ha preparato la rampa per il lancio nella stratosfera di id Software e un intero genere, sin a partire dall'emblematica funivia di accesso al maniero in Return of Castle Wolfenstein, di cui vengono rimmaginati molti altri luoghi, personaggi e tratti salienti. Tra questi non manca l'immaginario di riferimento, che si divincola dalle tematiche scientifiche e tecnologiche per tornare ad avventurarsi in un'altra delle folli ma affascinanti aree di interesse dell'impero di Hitler: l'esoterismo. Una vicenda dal gusto soprannaturale, dunque, che non ci si dimentica di onorare il padre fondatore, Wolfenstein 3D, con l'inclusione di un remake (questa volta completo) e di celebrare, divertito, la fratellanza di scuderia con The Elder Scrolls, Fallout e Doom. E non ci si dimentica di tratteggiare con la dovuta attenzione parabole umane simili a quelle che hanno aiutato a sentirsi tanto coinvolti in The New Order, tra comprimari verso cui provare affetto e nemici nei confronti dei quali instaurare un feroce e sentito antagonismo, compatibilmente allo sviluppo di un arco narrativo giocoforza più concentrato. Infine, chiaramente, c'è ancora lui, Blazkowicz, che si carica sulle spalle questo scalpitante fardello mutaforma, portandolo avanti tra prove di coraggio e segni di fragilità, ora procedendo come uno schiacciasassi, ora vacillando fino a perdere l'equilibrio e cadere fragorosamente al suolo, interrogandosi se valga davvero la pena rialzarsi, prima di trovare un filo di forza per riprovarci. Una figura in grado di far pensare, per la seconda volta di fronte ai titoli di coda, che se la guerra è una cosa ingiusta sarebbe giusto che a combatterla siano uomini come lui.
Violenza di spessore
The Old Blood non poteva che confermare la grossa ambivalenza del gameplay dell'originale, proponendo spesso e volentieri problemi affrontabili spianando le armi o infiltrandosi silenziosamente tra le minacce. Entrambi gli aspetti si presentano in gran spolvero, per merito innanzitutto di uno splendido lavoro in fatto di level design, che sembra il frutto di una scrupolosa riflessione su come rimarcare ulteriormente i punti di forza della formula di gioco.
Le aree si presentano tendenzialmente più ampie, più strutturate, più propense a stratificarsi su piani differenti o nei casi migliori tutte e tre le cose, offrendo un grandissimo quantitativo di spunti per entrambe le famiglie di approcci praticabili. Vengono in mente l'intreccio di passerelle, i corridoi delle guarnigioni e le molteplici digressioni approntabili a nuoto dell'Ingresso del Forte Wolfenstein, i punti di vantaggio e le chiavi di lettura alternative offerte dalle travi portanti della Dispensa della Taverna o l'intreccio di distanze di ingaggio e pianificazione dell'azione del Molo della Prigione. Ci sono poi sezioni che riescono a dispiegare simili qualità attorno a una forte idea di fondo, che appaiono come vere e proprie dichiarazioni di intenti sul quantitativo di cartucce che MachineGames ha ancora da sparare prima che possa far percepire qualsivoglia deja vu. Fanno parte di questo gruppo livelli come le Caverne, con la loro struttura spiroidale arroccata, le spaziose piattaforme sospese nel vuoto livellate una sopra l'altra della Stazione della Funivia e il cacofonico intreccio di sentieri tra i terreni smottati di Cimitero. Lo studio fondato da ex Starbreeze si conferma insomma come il team che meglio ha carpito l'estro di Valve nel dare spessore a sparatutto dalla progressione lineare.
Una scuola di pensiero di cui è valido osservatore anche riguardo al modo con cui si valorizzano momenti non interessati dall'"azione standard", da molti oggigiorno trattati come spazi inutili da riempire con cutscene, setpiece o camminate in collegamento radio, e che qui invece vengono colti per offrire giocabilità con qualche twist di gameplay (come certi puzzle integrati nello stealth in apertura del gioco), il Laderoboater (protagonista dell'immancabile sezione a bordo di un mech implementata in maniera nettamente più versatile e soddisfacente rispetto all'equivalente di The New Order) o il generale tentativo di mantenere gratificante l'esplorazione. Gli svedesi, naturalmente, non perdono inoltre occasione di offrire forme di narrazione più attiva della media, di cui son maestri sin dai tempi di Riddick e The Darkness, tra cui spicca la rilettura di una certa scena in incognito del predecessore che gioca con le aspettative di chi l'ha vissuta. Purtroppo, non tutto si dimostra ispirato alla stessa maniera. Alcune sezioni sui binari potevano essere benissimo tagliate visto quanto si rivelano scontate, tediose, senza nulla da dire, mentre un boss secondario del Capitolo 4 è un autentico disastro di progettazione ed esecuzione: le regole per affrontare la situazione che lo riguarda non vengono esposte in alcun modo, i suoi movimenti si rompono ogni due per tre, salvo recuperare sul giocatore con effetti-elastico plateali, e i suoi attacchi hanno un range e un danno incostanti, arrivando anche a colpire compenetrando i muri . Sicuramente il punto più basso della giovane carriera di MachineGames.
Schiaccia il nazista con lo schiacciapatate!
The Old Blood porta in dotazione nuovi gingilli e qualche nuovo brutto muso su cui applicarli. Il primo è una coppia di Tubi che è possibile sfruttare tanto in termini offensivi che a fini esplorativi. Sebbene si possa anche scegliere se usarli combinati in un unico lungo corpo contundente o separati, con tanto di mosse e usi ambientali differenziati, in definitiva non si rivelano granché:
come strumento di lotta finiscono per assolvere una funzione quasi del tutto sovrapponibile al coltello, mentre il loro sfruttamento per scalare mura, spaccare certe pareti o lanciarsi in velocità sui cavi è perlopiù predeterminato, non ponendosi quindi come tassello per rendere l'azione di fatto più versatile. Se non altro grazie alla loro introduzione si è guadagnato molto in termini di verticalità nella strutturazione dei livelli. Sicuramente più convincente la Kampfpistole, una rivoltella caricata a colpi esplosivi che fa danni esagerati, riuscendo a nebulizzare anche intere formazioni avversarie, di cui si ha la costante sensazione di non trovare mai abbastanza colpi. Ottimi anche il Bombenschuss, un fucile bolt-action molto gratificante e versatile, grazie alla sua ottica ibrida, e lo Schockhammer, antesignano del Fucile Automatico di The New Order dagli effetti altrettanto brutalizzanti. Oltre a qualche boss di cui preferiamo non anticiparvi nulla, se non che fortunatamente sono spanne più riusciti di quello citato poco sopra, l'esercito del male saluta l'ingresso di un paio di variazioni del Supersoldaten, uno che per motivi di autonomia non si può staccare dai cavi di alimentazione e uno più mobile ma con le celle di energia ben esposte, che permette un approccio più elastico e di fino rispetto ai modelli da sfondare ricorrendo a una potenza di fuoco superiore visti nel predecessore.
Ma la parte del leone, a un certo punto, la fanno i Tremanti, chiusura del cerchio dei rimandi a Return to Castle Wolfenstein che arricchisce a più livelli la ricetta del Wolfenstein di nuovo corso. Si tratta di nemici che con il loro fare sciamante integrano alla perfezione quel pressing degli spazi che rappresenta il miglior pregio dell'intelligenza artificiale nemica, andando a rivestire un ruolo, quello dei corridori, in grado di tenere ulteriormente sulle spine il giocatore impegnato a cavarsela nella contesa territoriale con i nazisti. La cosa bella è che sono ostili anche nei confronti delle truppe connazionali, il che li pone come variabile per aumentare il fattore emergente dei combattimenti, con l'instaurarsi di lotte "a tre fronti", senza contare che a certe condizioni un soldato regolare viene riconvertito in Tremante, per cui può essere sfruttato a proprio vantaggio come arma o diversivo. Il disegno si completa con i Talenti, presenti in forma ridotta ma non senza qualche novità interessante, tra cui vanno segnalati Ricarica Furiosa (che permette di agire attivamente sul tasto per cambiare caricatore sbrigando la procedura) e Rotazione Rapida (che concatena una classica svolta a 180 grandi con il puntamento automatico del nemico più vicino).
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- Processore: Intel Core i5 2500K@4.4 GHz
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 970 OC
- Memoria: 8 GB DDR3 1600MHz
- Sistema operativo: Windows 7 64 bit
Requisiti minimi
- Processore: Intel i3-2500 3.3 Ghz/AMD FX 8320 3.5 GHz
- Scheda Video: GTX 560/Radeon HD 6870
- Memoria: 4 GB
- Spazio su disco: 38 GB
- Sistema operativo: Windows 7/8 64 bit
Requisiti consigliati
- Processore: Intel i7 3.4/AMD FX 8350
- Scheda Video: GTX 660/AMD R9 280
- Memoria: 8 GB
- Spazio su disco: 38 GB
- Sistema operativo: Windows 7/8 64 bit
Trasfusione
Composto da otto capitoli, The Old Blood ha una durata dichiarata ammontante a circa la metà di The New Order. Una stima corroborata dalla nostra prova sul campo che a livello Sono il Mietitore! ha richiesto otto ore abbondanti per giungere ai titoli di coda. Oltre che per la naturale propensione della formula di gioco ad essere spolpata a più riprese, vuoi per sperimentare altri profili d'azione con una nuova passata a livelli di difficoltà superiori, vuoi per scovare a tappeto segreti e sbloccare tutti i Talenti, a sostegno della longevità interviene anche una graditissima modalità Sfide, con cui affrontare ad libitum dieci dei più interessanti scenari della campagna ed essere valutati con un punteggio.
Si tratta sicuramente dell'aggiunta ideale per sviscerare a puntino e migliorarsi con il gameplay, godendoselo davvero in fondo, spronati dall'inclusione di statistiche dettagliate e di una classifica online. Niente sembra essere stato lasciato al caso nemmeno in ambito tecnico, con l'inclusione di un novero di Opzioni Avanzate sensibilmente superiore. Peccato che, nonostante gli sforzi, questo finisca per essere l'aspetto più criticabile del pacchetto. Rispetto a The New Order, The Old Blood presenta un comparto grafico più rifinito, specie per quanto riguarda le texture e la resa di certi materiali, associato a una direzione artistica in grado di capitalizzare sui pregi e attenuare i difetti dell'id Tech V con più continuità. Sfortunatamente l'ultimo ritrovato di Carmack continua a rivelarsi una tecnologia problematica, incastrata tra troppi compromessi trans-generazionali ed esigenze di sfruttamento commerciale, incapace di offrire prestazioni commisurate alla qualità e alla mole di roba mossa a video. Stuttering e cali di frame-rate sono problematiche che hanno puntellato la nostra esperienza di gioco con una frequenza leggermente superiore rispetto al già tutt'altro che oliato The New Order, accompagnati anche da sgradevoli novità come la mancata visualizzazione delle sequenze di intermezzo precalcolate e qualche estemporaneo crash del gioco.
Conclusioni
Chi temeva che il Blazkowicz di MachineGames fosse una meteora può dormire sonni tranquilli: The Old Blood conferma infatti il nuovo corso di Wolfenstein come una stella più che mai brillante. Tutti i motivi che avevano reso The New Order un astro nascente degli sparatutto single player sono ancora qui, a partire da una stoffa da primi della classe, grazie a cui la formula originale si presenta in grande spolvero, protagonista di un nuovo circolo di rimandi tra attualità e tradizione che orbita attorno a uno dei capitoli più amati della saga, Return to Castle Wolfenstein, rendendo giustizia a entrambe.
PRO
- Vena creativa briosa
- Ottime variazioni sul tema
- Le Sfide inspessiscono gustosamente la longevità
CONTRO
- Performance ancora non ottimali
- Un boss davvero mal riuscito