Non si tratta forse del survival horror più conosciuto di sempre, ma Fatal Frame si è ritagliato nel corso degli anni una buona fetta di appassionati, anche occidentali, che hanno chiaramente reagito con delusione alla mancata pubblicazione degli ultimi capitoli. L'arrivo di Project Zero: Maiden of Black Water in Europa rappresenta dunque un interessante cambiamento di rotta, una scommessa coraggiosa su cui però Nintendo non sembra aver puntato con grandissima convinzione, vista la mancanza di una qualsiasi localizzazione (il gioco è completamente in inglese, testi e dialoghi) e una distribuzione fisica limitata nel vero senso del termine. Si parla inoltre di censure su cui il publisher avrebbe spinto per rendere più digeribile il prodotto alle varie "classification board", da sempre piuttosto rigide quando si tratta di fan service e riferimenti sessuali. Le premesse, insomma, non sono entusiasmanti: al netto di queste difficoltà, com'è alla fine il gioco? Calma, ci arriviamo subito.
Project Zero: Maiden of Black Water è un survival horror "vecchia scuola", legnoso ma coinvolgente
Belle e dannate
La trama di Project Zero: Maiden of Black Water ruota attorno agli avvenimenti legati a un luogo misterioso e spettrale, il Monte Hikami, e a una serie di personaggi a esso legati in qualche modo. La prima è Yuri, una ragazza dotata della capacità di percepire i morti, che per via di tale maledizione in passato aveva deciso di togliersi la vita, solo per essere salvata all'ultimo momento da Hisoka. Quest'ultima è la proprietaria di un negozio di antiquariato, ma si occupa anche di investigare sulla scomparsa di alcune donne sfruttando a sua volta un'abilità speciale, quella di "leggere le ombre" e vedere dunque le tracce spirituali lasciate dalle persone nei luoghi che hanno visitato. Abbiamo poi Miu, una ragazzina che all'inizio figura fra i soggetti scomparsi sul Monte Hikami, dove si era recata alla ricerca della madre, e Ren, uno scrittore affascinato dal rapporto tra folklore e morte, accompagnato dalla sua inseparabile assistente Rui. Yuri, Miu e Ren si alternano come protagonisti all'interno di una campagna composta da un totale di quindici missioni, prologo incluso, e che può essere completata nel giro di sedici o diciotto ore, a seconda dell'approccio. Terminata la storia principale (che ha due possibili finali), il gioco consente di sbloccare non solo un nuovo grado di difficoltà (Nightmare) che va ad aggiungersi ai due già presenti, ma anche una breve campagna in cui vestiamo i panni di Ayane, l'abile ninja dai capelli viola che i fan di Dead or Alive conoscono molto bene. Senza voler rivelare troppo, possiamo dire che il gameplay che caratterizza le missioni con questo personaggio è diverso rispetto a quello con i già citati Yuri, Miu e Ren: laddove i primi seguono le tracce spirituali verso vari luoghi e affrontano eventuali nemici sovrannaturali che compaiono all'improvviso, Ayane deve puntare per lo più sull'azione stealth, sull'evitare di farsi vedere dai fantasmi anziché sconfiggerli, anche qui con l'obiettivo finale di ritrovare una ragazza scomparsa.
Tocchi (spettrali) di classe
Oltre all'energia vitale, in Project Zero: Maiden of Black Water dovremo tenere d'occhio anche un altro indicatore, quello che riporta lo stato di umidità del personaggio. L'acqua è nostra nemica, e bagnarci sotto la pioggia o passeggiando nei torrenti porterà a un moltiplicarsi di eventi spirituali casuali, come quelli che si manifestano quando ci chiniamo a raccogliere un oggetto. Potrebbe infatti apparire dal nulla una mano e afferrarci, sottraendoci un po' di energia: per evitarlo dovremo lasciare immediatamente il trigger destro, oppure divincolarci dalla presa agendo sugli stick analogici.
Ti scatterò una foto
Il franchise di Koei Tecmo ha sempre trovato terreno fertile sulle piattaforme Nintendo, quantomeno sul piano della sperimentazione con i controlli, vedi ad esempio Project Zero 2: Wii Edition, caratterizzato da comandi a rilevazione di movimento, e il pur deludente spin-off Spirit Camera: Le Memorie Maledette per Nintendo 3DS.
Su Wii U è naturalmente il GamePad a svolgere un ruolo centrale, visto che possiamo sollevarlo e puntarlo verso lo schermo come se stessimo impugnando l'arma dei personaggi nel gioco, vale a dire la Camera Obscura, un'antica macchina fotografica capace non solo di imprimere l'immagine dei fantasmi su pellicola, ma anche e soprattutto di danneggiarli in tal modo. Quando ci imbattiamo in uno spirito durante l'esplorazione degli scenari, ci verrà dunque chiesto di sollevare il controller, inquadrare il nemico e "scattare" premendo il trigger destro, così da colpire il nostro bersaglio finché non scomparirà. Il sistema di combattimento è in realtà piuttosto sfaccettato, visto che gli scatti vanno ripetuti per inglobare il maggior numero di soggetti possibile, nello specifico i fantasmi e i loro "orb" svolazzanti, fino a incamerare l'energia sufficiente per mettere a segno un Fatal Frame, un colpo di straordinaria potenza, spesso risolutivo. A seconda del personaggio potremo inoltre contare su manovre ulteriori, rese possibili da altrettante lenti focali per la Camera Obscura: Yuri può montare tre diverse ottiche fra quelle disponibili, con la possibilità di eseguire attacchi speciali in grado di infliggere danni extra, stordire o rallentare gli spiriti, mentre Miu e Ren possono invece contare solo su abilità specifiche, nella fattispecie un colpo che rallenta il bersaglio e uno scatto multiplo in modalità "burst".
Tanto legno da aprirci una falegnameria
Come ben sanno gli appassionati di survival horror della prima ora, uno degli elementi caratterizzanti il genere è da sempre la legnosità dei controlli, spesso resi volutamente in questa maniera per trasmettere al giocatore un senso di impotenza di fronte alle minacce, l'impossibilità di sottrarvisi agilmente e come risultato un aumento della tensione e del coinvolgimento, fattori non di poco conto laddove l'obiettivo di un gioco è anche quello di spaventare e angosciare chi lo utilizza.
Ebbene, da questo punto di vista Project Zero: Maiden of Black Water fa fin troppo, adottando un sistema di controllo relativo allo schermo e non al personaggio, ma che spesso si "incastra" fra retromarce e visuale, facendoci passare dei brutti quarti d'ora, specie nelle fasi più avanzate della campagna, quando i nemici da combattere si moltiplicano. Purtroppo bisogna rapidamente riconsiderare l'uso del GamePad per azionare la Camera Obscura, visto che tale manovra richiede una disciplina difficile da garantire in tutte le occasioni: il controller memorizza la posizione dell'inquadratura e si deve dunque "attivarlo" solo quando è puntato verso lo schermo, non prima, oppure arrangiarsi con gli stick analogici per inseguire bersagli a cui il giroscopio non riesce a star dietro. Non osiamo immaginare come possa risultare intricato il boss finale in questa maniera, ma per fortuna dalle opzioni è possibile escludere tale possibilità e ripiegare su modalità di controllo tradizionali. Rispetto agli episodi precedenti della serie è stata aggiunta la possibilità di correre, peraltro senza doversi fermare a rifiatare, e ciò consente senza dubbio di affrontare il preponderante backtracking con più entusiasmo, anche e soprattutto grazie alle buone soluzioni adottate dagli sviluppatori in termini di design: non ci sono scontri casuali, ogni fantasma è legato a una determinata situazione o luogo, e dunque tornare in una zona già visitata non implica affrontare nuovamente nemici già battuti. Tiriamo un sospiro di sollievo: fare qualcosa di diverso in tal senso avrebbe inevitabilmente portato a episodi di grande frustrazione, considerato il puzzle solving basato per lo più sull'individuazione di parti dell'ambientazione. Sul fronte del bilanciamento della difficoltà, invece, la questione è spinosa: per tutta la campagna le "erbe curative" e le pozioni miracolose sono fin troppe, dunque è davvero raro imbattersi nel game over, ma ciò non influisce in alcun modo sulla durata dell'esperienza, evidentemente tarata per essere fruita proprio in questa maniera.
Pimp my camera
La Camera Obscura è la nostra arma in Project Zero: Maiden of Black Water, e come tale potremo potenziarla. In che modo? Scattando foto agli spiriti, anche e soprattutto quelli "estemporanei" che compaiono sullo sfondo, e che vanno ritratti con prontezza, guadagneremo punti spendibili per migliorare la velocità di ricarica del flash, la potenza dello scatto e il raggio d'azione, oltre a migliorare le singole lenti equipaggiate.
La vecchia generazione
Gli sviluppatori di Project Zero: Maiden of Black Water hanno fatto un lavoro eccezionale per rendere al meglio la bellezza delle protagoniste, in alcuni momenti davvero mozzafiato. Si era parlato dell'uso della tecnologia di Dead or Alive per enfatizzarne le forme, ma non si notano "sballonzolamenti" né trasparenze eccessive, sebbene ciò possa essere frutto dei tagli di cui abbiamo parlato in apertura. È sorprendente anche come tale fattore si raccordi con una conta poligonale tutto sommato modesta, andando dunque a coprire eventuali limiti dei modelli (che comunque vengono fuori durante alcune sequenze, vedi ad esempio quando si procede carponi per superare un ostacolo) e ottenendo il miglior compromesso possibile. Abbiamo persino apprezzato l'animazione della corsa, che nel caso delle ragazze è decisamente "giapponese", l'arrancare buffo di chi è andato a esplorare una montagna vestendosi con una minigonna e le zeppe. Diverso è il discorso dei nemici e degli scenari, nonché la regia dal punto di vista del fattore "spavento", quasi del tutto assente. Nel corso della campagna si aprono decine e decine di porte, eppure mai una volta che ciò si traduca in un salto dalla sedia, mai una porta che si spalanchi all'improvviso o qualcosa che esca fuori da un armadio. Gli episodi del genere si contano sulle dita di una mano e purtroppo non colpiscono, e dire che abbiamo giocato quasi sempre di notte e con le luci spente. Sulle ambientazioni bisogna dire che c'è un eccessivo riciclo, si torna spesso nelle stesse zone e quindi non è stato fatto un enorme lavoro in tale ambito, benché in termini di narrazione la cosa è stata gestita bene e le uniche fasi davvero noiose sono quelle in cui, nei panni di Ren, abbiamo il compito di controllare la videosorveglianza del palazzo dove abitano le ragazze per individuare eventuali anomalie e intervenire laddove necessario. Il sound design è stato ben realizzato e dona la sensazione di trovarsi effettivamente nei luoghi che vediamo sullo schermo, così come i dialoghi in inglese appaiono recitati con la dovuta convinzione.
Conclusioni
Nonostante i controlli straordinariamente legnosi, la mancanza di una localizzazione in italiano e l'uso problematico del GamePad, gli appassionati di Project Zero non rimarranno delusi da Maiden of Black Water, ed è probabilmente questo ciò che conta di più. Il gioco fa ben poco per innovare la serie, anzi per molti versi rimane legato a meccaniche obsolete, ma c'è da dire che neppure produttori più blasonati hanno saputo trovare la quadra in tal senso, operando scelte discutibili in nome del progresso e perdendo di vista quelli che dovrebbero essere gli elementi cardine di un survival horror. La storia è molto bella e le ispirazioni al cinema horror, all'immaginario e al folklore giapponese sono tantissime, il che dovrebbe rappresentare un fattore preciso per valutare l'acquisto.
PRO
- Bella storia, bella regia, tutto molto giapponese
- Campagna lunga, due finali e un capitolo extra
- Protagoniste bellissime...
CONTRO
- ...ma poche ambientazioni e qualche svarione sulle texture
- Controlli davvero macchinosi, col giroscopio ancora di più
- Tutto in inglese, i tanti testi vengono a noia