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Quattro tartarughe da scontare

Dopo Transformers: Devastation, PlatinumGames mette le mani su un'altra licenza importante... ma fa un buco nell'acqua

RECENSIONE di Christian Colli   —   27/05/2016
Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutanti a Manhattan
Teenage Mutant Ninja Turtles: Mutanti a Manhattan
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Le Tartarughe Ninja e i Transformers hanno parecchie cose in comune. Una gigantesca schiera di fan, piccoli e grandi, che colleziona giocattoli vecchi e nuovi, tanto per cominciare. Un paio di serie animate recenti di valore e almeno una serie a fumetti a testa che la IDW pubblica con successo da anni.

Quattro tartarughe da scontare

Un'altra cosa che hanno in comune è il produttore dei loro ultimi adattamenti cinematografici: Michael Bay, il maniaco delle esplosioni da grande schermo che le ha portate con successo - del botteghino, non certo della critica - in tutte le sale del mondo. Ci piacerebbe dire che hanno in comune anche lo sviluppatore dei loro ultimi tie-in videoludici, ma non sarebbe del tutto esatto: la compagnia che se n'è occupata è sempre PlatinumGames, ma era stato il team responsabile di Metal Gear Rising a lavorare sull'action game dedicato ai Transformers lo scorso anno. Il fatto che lo sviluppatore nipponico famoso per i suoi titoli d'azione si stesse occupando delle Tartarughe Ninja aveva dipinto un sorriso enorme sui fan, ma quando si è scoperto che il team in questione era lo stesso che aveva firmato il mediocre The Legend of Korra del 2014, un'ombra di apprensione è calata come un sudario sull'intero progetto. E come abbiamo potuto constatare, gli scettici avevano pienamente ragione.

Le mitiche Tartarughe Ninja si meritavano un gioco nettamente migliore di Mutanti a Manhattan

Heroes in a half-game

Nell'intervista che abbiamo pubblicato un paio di giorni fa, il director di Mutanti a Manhattan, Eiro Shirahama, ha ammesso che sviluppare il gioco non è stato facile e che si è dovuto scrivere e riscrivere la storia e il codice in più di un'occasione. Completata l'avventura in cinque ore a malapena, possiamo dire di essercene accorti.

Quattro tartarughe da scontare
Quattro tartarughe da scontare

È chiaro che a mettere le mani sulla sceneggiatura è stato qualcuno che le Tartarughe Ninja le conosce bene di mestiere: Tom Waltz, lo scrittore della popolare serie a fumetti della IDW che in questi anni ha conquistato i fan vecchi e nuovi delle Tartarughe Ninja. I quattro fratelli mutanti del videogioco sono un'amalgama di tutte le loro controparti cinematografiche, fumettistiche e cartoon, fedeli alla tradizione che ha fatto innamorare almeno tre generazioni. Leonardo è sempre il leader calmo e saggio del quartetto, Raffaello è una scontrosa testa calda, Donatello è il nerd della situazione con un debole per la bella April O'Neal e Michelangelo è il buffone di corte, fortunatamente meno invadente di quanto temevamo. Come al solito, è grazie alla caratterizzazione dei protagonisti che la storia, banalissima e scontata, acquista un minimo di spessore: un'ondata di crimini sta attraversando New York, e i nostri devono dare la caccia ai loro storici nemici per scoprire che cosa stanno tramando Shredder e il generale Kraang. In termini di gameplay, ciò si traduce in un elenco di missioni che, superata la prima ed escluse le ultime tre, il giocatore può affrontare nell'ordine che preferisce. Ogni stage è presieduto da un boss, pescato direttamente nella mitologia del franchise: oltre agli immancabili Rocksteady e Bebop, i ragazzi di PlatinumGames hanno schierato facce un po' meno note come Armaggon e Wingnut, oltre a Karai, Slash e i già citati leader del Clan del Piede, per un totale di nove stage ambientati per le vie di Manhattan, nelle fogne, in cima ai grattacieli o dentro i laboratori dei cattivoni. Purtroppo i loro interventi si limitano a una manciata di battute, così come quelli di April e del maestro Splinter, mere comparse in qualche cinematica che introduce e conclude i vari stage del gioco. Inutile dire che chi compra un titolo PlatinumGames non lo fa certo per la storia, ma per il gameplay: quel misto di azione frenetica, tecnicità e spettacolarità che ha reso lo sviluppatore giapponese estremamente popolare. Purtroppo Mutanti a Manhattan fallisce anche su quel fronte.

Il caos regna sovrano

Bisogna dire che Eiro Shirahama e i suoi programmatori hanno avuto un'intuizione importante quando hanno deciso che sarebbe stato insensato proporre un action game su questa licenza in cui poter controllare una sola Tartaruga alla volta: ecco quindi che il gameplay schiera in campo i quattro fratelli contemporaneamente, affidandone uno al giocatore e gli altri tre ad altrettanti utenti o all'intelligenza artificiale.

Quattro tartarughe da scontare
Quattro tartarughe da scontare
Quattro tartarughe da scontare

In questo senso, è chiaro che Mutanti a Manhattan sia stato pensato come una specie di Turtles in Time moderno, un beat'em up arcade sofisticato ma al tempo stesso "ignorante", quasi un vero e proprio scacciapensieri. È un concetto che però cozza non poco con la filosofia alla base dei titoli PlatinumGames, in cui la tecnicità, il tempismo e i riflessi giocano un ruolo non indifferente. Il sistema di controllo, per esempio, vuole essere intuitivo ma finisce col contorcersi su sé stesso: ai tasti dedicati agli attacchi deboli, a quelli potenti e al salto si associano tutta una serie di combinazioni coi dorsali che permettono di scagliare gli shuriken, di eseguire le quattro mosse speciali assegnate a ogni Tartaruga, di usare gli oggetti e di cambiare personaggio al volo. Ci vuole qualche minuto per prendere confidenza coi controlli, ma per tutta la durata dell'avventura si avverte la sensazione che siano poco intuitivi e che rallentino l'azione, invece di favorirne la frenesia. Anche la schivata capace di innescare i tradizionali contrattacchi è stata ripensata in modo non proprio geniale: innanzitutto, possiamo schivare solo un certo numero di volte di seguito, pena alcuni secondi di fastidioso stordimento; inoltre, il frame iniziale dell'animazione funge anche da parata e per schivare effettivamente un attacco, e infliggere il potente contrattacco speciale, bisogna premere il tasto al momento giusto, un attimo prima che il nemico ci colpisca davvero. Qui casca l'asino, perché l'azione è troppo confusa e caotica: la telecamera di suo non aiuta neppure in lock-on e le altre Tartarughe offuscano la visuale con le loro combo e le loro mosse speciali, impedendoci di intravedere col giusto tempismo le animazioni dei nemici. È possibile ordinare ai nostri compagni di essere un po' meno aggressivi, ma il caos generale confonde le idee e ben presto appare evidente anche una certa incoerenza nella progettazione dei nostri stessi avversari: alcuni vanno giù con pochissimi colpi, altri sono fin troppo coriacei, e i letali attacchi stealth, implementati con una certa goffaggine, servono a ben poco dato che è decisamente difficile prendere i bersagli di sorpresa. La ciliegina sulla torta, purtroppo, sono i boss di fine stage, vere e proprie spugne per gli attacchi che ci hanno spesso costretto ad abbassare il livello della difficoltà per la frustrazione. A tratti ci hanno ricordato i boss dei peggiori MMORPG; spesso restano immobili a sparare o a effettuare i loro attacchi telegrafati in sequenza, mentre le Tartarughe si accaniscono su di essi senza riuscire a farli vacillare. Il giocatore resta quindi alla mercé dei loro colpi, specialmente quando scendono sotto una certa percentuale di salute e diventano letali quanto inarrestabili. Se questi scontri diventano una gara a chi muore prima, è chiaro che c'è qualcosa che non funziona.

Chiudi il becco, April!

Quattro tartarughe da scontare
Quattro tartarughe da scontare

Dopo una lunga, lunghissima attesa siamo finalmente riusciti a giocare in modalità multigiocatore con tre estranei, e così facendo siamo riusciti a vedere il meglio di Mutanti a Manhattan: quando ci si riesce a coordinare con qualcuno che controlla le Tartarughe a dovere, senza restare imbambolato di fronte ai colpi del nemico, consumando gli oggetti al momento giusto e utilizzando le abilità di supporto nel modo più opportuno, il titolo PlatinumGames assume una profondità decisamente maggiore. Resta però un'occasione più unica che rara a causa di una userbase decisamente contenuta, e la cosa non ci sorprende. Abbiamo parlato dei boss e del sistema di combattimento, ma abbiamo lasciato per ultime le nostre perplessità circa la struttura assolutamente insensata degli stage. Ciascuno di essi, infatti, è ambientato in una location ristretta in cui è possibile scorrazzare entro certi limiti in cerca di collezionabili da raccogliere per sbloccare abilità e potenziamenti passivi nella Tana delle Tartarughe. L'esplorazione è tuttavia interrotta a più riprese dalle chiamate di April, la quale ci assegnerà una missione casuale alla volta: dovremo sconfiggere un certo numero di nemici, disinnescare delle bombe, trasportare un'arma da un punto all'altro della mappa e via dicendo. Tra una missione e l'altra scorrono pochi secondi di libertà, dopodiché si ricomincia e, una volta completato un certo numero di missioni, finalmente si può affrontare il boss e chiudere lo stage. Si tratta di una soluzione curiosa che, però, funziona malissimo per via della ripetitività insulsa degli obiettivi. Anche soltanto trasportare un oggetto, assicurandoci che almeno due Tartarughe siano abbastanza vicine ad esso per mantenerlo sospeso a mezz'aria, è un'operazione macchinosa, ostacolata da nemici che appaiono casualmente e da un level design astruso a dir poco. Alcuni stage, come le fogne, sono un susseguirsi di corridoi da percorrere e tombini da aprire; altri, come i tetti nello stage di Wingnut, ci costringono a fare a pugni con meccaniche platform appena abbozzate.

Quattro tartarughe da scontare

I quindici minuti circa di ogni stage sembrano non passare mai e, quel che è peggio, abbiamo a disposizione tre tentativi: se falliamo tre volte, anche soltanto al boss, dobbiamo ricominciare tutto da capo. A quel punto è difficile immaginare di voler rigiocare uno stage soltanto per conseguire una valutazione più alta, ma ironicamente è tutto quello che c'è da fare in Mutanti a Manhattan una volta completata la campagna. Prima di rimandarvi al commento, è opportuno spendere due parole sul comparto tecnico del gioco, da noi testato in versione PC ai massimi dettagli: sul frame rate granitico ma bloccato a 30 fotogrammi al secondo si è discusso molto in questi giorni, tra notizie e analisi approfondite, e realisticamente si tratta di un compromesso davvero incomprensibile se si considera la pochezza dei dettagli, le ambientazioni spoglie e ripetitive e la natura evidentemente cross-gen del titolo PlatinumGames. Per fortuna fa da contraltare una buona rappresentazione visiva, "sporca" e netta al punto giusto, che richiama fortemente i fumetti delle Tartarughe Ninja della IDW sia nelle proporzioni, sia nell'aspetto dei quattro eroi e dei loro nemici. Il doppiaggio in italiano è poco convinto ma passabile, tuttavia abbiamo trovato praticamente insopportabili le tracce musicali ripetitive e generiche che accompagnano l'azione e, soprattutto, i combattimenti.

Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • Processore: Intel Core i7-2600k @ 3,4 GHz
  • Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 780
  • Memoria: 8 GB di RAM
  • Sistema operativo: Windows 10 64 bit

Requisiti minimi

  • Processore: Intel® Core™ 2 Duo E4400 @ 2.0GHz, AMD Athlon™ II x2 250 @ 3.0GHz
  • Scheda video: NVIDIA® GeForce® 8800 GT, AMD Radeon™ HD 4770
  • Memoria: 1 GB di RAM
  • Sistema operativo: Windows 10, Windows 8, Windows 7, Windows Vista

Requisiti consigliati

  • Processore: Core i3-3240 3.4GHz, Phenom II X4 40
  • Scheda video: GeForce GT 640 v3, GeForce 8800 GT
  • Memoria: 4 GB di RAM
  • Sistema operativo: Windows 7 64 bit

Conclusioni

Versione testata PC Windows
Multiplayer.it
5.0
Lettori (6)
4.5
Il tuo voto

Mutanti a Manhattan esce in un periodo un po' sospetto, e cioè a poche settimane dall'arrivo nelle sale cinematografiche di Fuori dall'ombra, il secondo episodio del nuovo adattamento cinematografico del franchise. Joypad alla mano, questi piccoli indizi ci hanno dato la fortissima sensazione che lo sviluppo sia stato condotto in fretta e furia per rispettare una scadenza complicata. Non vi sono altre spiegazioni che possano giustificare la piattezza e la ripetitività del level design, la breve durata dell'avventura, i problemi fondamentali del sistema di combattimento. I titoli firmati PlatinumGames solitamente si prestano a una forte rigiocabilità, ma in Mutanti a Manhattan passa la voglia di completare uno stage già la prima volta che si affronta. Non crediamo ci sia molto altro da aggiungere.

PRO

  • Bello lo stile a metà tra il fumetto e i cartoni animati
  • Un bel po' di fanservice
  • In cooperativa riesce a essere più divertente

CONTRO

  • Da soli è un gioco confuso, noioso e ripetitivo come pochi
  • Level design imbarazzante
  • Tecnicamente mediocre
  • È brevissimo e fa passare la voglia di rigiocarlo