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Dragon Quest VII, recensione

Dragon Quest VII arriva finalmente anche in Europa nella sua versione per Nintendo 3DS

RECENSIONE di Christian Colli   —   13/09/2016
Dragon Quest VII: Frammenti di un Mondo Dimenticato
Dragon Quest VII: Frammenti di un Mondo Dimenticato
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Dragon Quest VII è una specie di paradosso temporale oggi come all'epoca in cui uscì per la prima volta. Era il 2000 e il titolo firmato Enix seguiva a ruota giochi del calibro di Final Fantasy IX, The Legend of Dragoon e Xenogears: mentre Squaresoft puntava a rinnovare il genere dei jRPG, Enix non si schiodava minimamente dalla sua posizione privilegiata.

Dragon Quest VII, recensione

In fondo, Dragon Quest lo aveva praticamente fondato, quel genere, e a quei tempi era praticamente il franchise più popolare in Giappone, grazie anche al contributo del character designer Akira Toriyama, cioè l'autore di Dragon Ball. Anche nel 2000, comunque, Dragon Quest VII aveva fatto inarcare più di un sopracciglio soprattutto dopo essere sbarcato in nord America: mentre i giocatori nipponici ne celebravano lo straordinario successo, quelli americani - e gli europei costretti a importare il gioco - faticavano a capire che cosa ci fosse di divertente in un jRPG graficamente vetusto in cui passavano anche delle ore tra un combattimento e l'altro. In un certo senso la storia si ripete anche oggi. Il remake di Dragon Quest VII sbarca in occidente (Europa compresa) a quasi tre anni dalla pubblicazione nipponica per Nintendo 3DS e iOS. Non solo: Frammenti di un Mondo Dimenticato arriva in tutta la sua classicità dopo che titoli del calibro di Bravely Default hanno cercato a tutti i costi di "smontare" il genere jRPG, rinnovandolo sotto pressoché ogni aspetto. Attesissimo soprattutto perché inedito nel Bel Paese, nonché sconosciuto alle nuove generazioni, Dragon Quest VII scommette contro tutto e tutti, vincendo a mani basse per un semplice motivo: è immenso.

Dragon Quest VII è la massima espressione dei jRPG vecchia scuola, nel bene e nel male

Tutti pazzi per i pezzi

Mettiamola così: per superare il prologo di Dragon Quest VII su PlayStation serviva una pazienza granitica e la curiosità di un gatto. In molti si arresero dopo un paio d'ore, ma chi persistette scoprì un'avventura semplicemente indimenticabile. Oggi, però, un'introduzione come quella originale, senza combattimenti né una direzione precisa, non sarebbe stata accettabile, e così Square Enix ha apportato qualche cambiamento per rendere le prime ore di gioco meno dispersive. Meglio così, secondo noi.

Dragon Quest VII, recensione
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Il merito è anche della nuova localizzazione - completamente in italiano, chiariamolo - che risulta molto più fedele allo spirito goliardico della sceneggiatura nipponica e abbandona i virtuosismi del primo adattamento in inglese: nel tentativo di rendere più seri nomi e dialoghi, i traduttori originali avevano snaturato la filosofia alla base del gioco. Dragon Quest VII non è la solita avventura epica in cui il prescelto di turno si mette in viaggio per salvare il mondo da chissà quale minaccia soprannaturale. In realtà c'è anche questo, ma la storia non comincia così: tutto inizia con una bravata. Il protagonista senza nome è un umile pescatore ma anche il migliore amico del principe Kiefer di Estard, un monello che fa disperare l'intera famiglia reale. I due cercano da tempo di intrufolarsi in un antico tempio che potrebbe nascondere i segreti del loro strano mondo, un oceano sconfinato in cui esiste unicamente la loro isola. L'occasione propizia si presenta quando il papà del protagonista trova in mare il frammento di una strana tavoletta: dopo aver indagato, i nostri discoli scoprono che ricostruendo le tavolette e collocandole sugli altari del tempio misterioso è possibile viaggiare nel tempo e visitare le altre isole che punteggiavano il mare prima che qualcosa o qualcuno le cancellasse per sempre. Il canovaccio di Dragon Quest VII ricorderà ai fan della serie quello di Dragon Quest IX: Le Sentinelle del Cielo, poiché non si tratta di una trama coesa e lineare ma di un carosello di microstorie quasi autoconclusive. Ogni volta che l'eroe e i suoi amici riescono a ricostruire una tavoletta - operazione agevolata dal nuovo radar che avverte il giocatore della presenza di frammenti nei dintorni - si sbloccano nuove isole da visitare: ognuna di esse ha i suoi problemi che si traducono in puzzle, dungeon e combattimenti. Risolta la crisi di turno, si può visitare l'isola anche nel presente per scoprire cos'è cambiato e trovare nuovi frammenti di tavolette: è uno schema che assomiglia non poco a quello di Chrono Trigger e che garantisce una certa libertà, anche perché a volte le nostre decisioni possono cambiare il destino di alcuni personaggi. Ogni isola, poi, arricchisce la mitologia di questo strano mondo, delineando la storyline principale e l'obiettivo vero e proprio dei nostri eroi. Chi cerca un jRPG guidato, lineare e ricco di colpi di scena scioccanti potrebbe trovare la formula di Dragon Quest VII a dir poco sconfortante, ma come abbiamo detto si tratta di un'avventura colorita che comunque non disdegna qualche commovente colpo basso e che offre una varietà situazionale davvero rara.

15 anni fa si giocava così

Come abbiamo già detto, Dragon Quest VII è un jRPG atipico nel senso che non gliene frega niente di catapultare il giocatore in un combattimento il più presto possibile per dimostrargli quanto è figo e divertente picchiare i nemici. Passerà un bel po' di tempo prima che possiate affrontare il vostro primo Slime e quando arriverà quel momento potreste restare comunque interdetti. I fan della serie sapranno già cosa aspettarsi dai primissimi scontri, quando il party potrà soltanto attaccare fisicamente, difendersi o scappare, nonostante l'interfaccia anticipi la possibilità di scegliere tra incantesimi e tecniche speciali di tipo offensivo e difensivo, ma il sistema di combattimento di Dragon Quest VII ci mette davvero parecchio tempo a ingranare e le prime ore potrebbero apparire non solo noiose, ma anche frustranti.

Dragon Quest VII, recensione
Dragon Quest VII, recensione

In questa versione per Nintendo 3DS i nemici appaiono sullo schermo e possono essere schivati, anche se nei corridoi dei dungeon manca spesso lo spazio di manovra e si finisce per ricordare un po' troppo spesso i vetusti agguati casuali. Il problema è che fin dal principio il party si trova spesso in minoranza e la penuria di armi, di denaro e di oggetti curativi rende ogni scontro decisamente impegnativo: bisogna centellinare i punti magia, capire quando è il caso di darsela a gambe e concentrare gli sforzi sui nemici più pericolosi. Se si perde non c'è Game Over e si ricomincia dalla chiesa più vicina con metà del denaro che si era accumulato, ma considerate che anche rianimare i membri del party ha un prezzo, quindi bisogna davvero essere cauti. Tutto è destinato a cambiare, anche se forse ci vogliono troppe ore, ma quando finalmente si sbloccano le vocazioni Dragon Quest VII cambia drasticamente faccia e diventa uno dei jRPG più completi, profondi e appaganti che avrete mai la fortuna di giocare. Il sistema ricorda quello di Final Fantasy V o appunto di Dragon Quest IX, coi personaggi che possono cambiare classe in qualsiasi momento presso l'apposito santuario. Combattendo si aumenta il livello della vocazione di turno e quando un personaggio raggiunge un determinato rango in certe vocazioni, ne sblocca di nuove e più sofisticate: guerrieri, paladini, sacerdoti, evocatori, pirati, domatori di bestie... chi più ne ha, più ne metta. Ogni vocazione aumenta diverse statistiche a ogni level up, perciò è possibile alterare le predisposizioni dei vari eroi e provare un'infinità di combinazioni diverse, approfittando delle sinergie tra le varie abilità in un gioco che premia enormemente la strategia e la cautela soprattutto nelle fasi avanzate dell'avventura o nei dungeon casuali che i giocatori possono generare e scambiare attraverso StreetPass. L'ultima funzione - ovviamente esclusiva a questa edizione per Nintendo 3DS - ricorda le Mappe del Tesoro viste in Dragon Quest IX, anche se è molto meno sofisticata: ciò nonostante, aumenta nettamente la longevità di un gioco che, a scanso di equivoci, contenutisticamente è quasi senza rivali. Tra casinò pieni di minigiochi, mostri da catturare e villaggi da ricostruire e personalizzare è facile intuire come il contatore delle ore possa superare tranquillamente le ottanta prima di arrivare ai titoli di coda.

L'effetto 3D

Godetevi l'effetto stereoscopico finché potete, poiché in Dragon Quest VIII non ci sarà. Qui per fortuna è molto piacevole e aumenta il coinvolgimento durante le esplorazioni; inoltre, è possibile scegliere due tipi di intensità per rendere i combattimenti ancora più spettacolari.

La materia di cui sono fatti i remake

Anche se sono passati ben tre anni dall'uscita nipponica di Dragon Quest VII, il remake sviluppato da ArtePiazza si difende benissimo e offre un eccellente compromesso tra quanto offerto dal Nintendo DS in Dragon Quest IX e la naturale evoluzione tecnica della serie cui abbiamo assistito con Dragon Quest VIII su PlayStation 2. In effetti, l'impostazione di Dragon Quest VII ricorda moltissimo quella de L'Odissea del Re Maledetto: il mondo e le isole sono divise in macro aree che possiamo esplorare in terza persona, passando dai campi esterni alle città e agli interni degli edifici.

Dragon Quest VII, recensione
Dragon Quest VII, recensione

Generalmente è possibile anche ruotare la telecamera intorno all'asse verticale, anche se spesso i dungeon impediscono di farlo per una questione di puro e semplice level design. Nonostante qualche brutto effetto di pop-up durante le esplorazioni, specie per quel che riguarda gli alberi o le strutture che appaiono all'improvviso quando ci avviciniamo ad esse, lo strambo mondo di Dragon Quest VII restituisce perfettamente quel colore e quell'entusiasmo che caratterizzano i suoi abitanti e le loro storie, grazie anche alla mano del sempre prolifico Akira Toriyama: è vero che i suoi personaggi si assomigliano un po' tutti, ma sono buffi e pieni di carattere. ArtePiazza, inoltre, è intervenuto in due sensi per aggiornare il comparto tecnico agli standard moderni. In primo luogo, una volta selezionate le azioni in combattimento, la telecamera indietreggerà o ruoterà per mostrare le animazioni dei nostri eroi, abbandonando parzialmente la visuale in prima persona caratteristica della serie per abbracciare un modello a metà tra i già citati Dragon Quest VIII e Dragon Quest IX. Inoltre, quando avremo finalmente sbloccato le vocazioni, scopriremo che l'aspetto dei nostri eroi cambia insieme alle loro classi, definendoli ulteriormente dal punto di vista visivo: il nostro protagonista potrebbe abbandonare la calzamaglia verde per vestire un'armatura da guerriero vero e proprio con nostra grande soddisfazione. Lo stesso vale per le armi, dato che godono tutte di modelli poligonali diversi, anche se la varietà in fatto di equipaggiamenti è decisamente minore rispetto a quanto visto in Dragon Quest IX, anche perché in questo settimo episodio non c'è alcun sistema di "crafting" dietro al quale perdere il sonno. L'ottima realizzazione tecnica è affiancata dall'eccellente colonna sonora del sempreverde Koichi Sugiyama, compositore storico di Dragon Quest che ancora una volta ci accompagna sulle note di motivetti iconici, spensierati o inquietanti all'occorrenza. Dal punto di vista tecnico, insomma, Dragon Quest VII non delude affatto anche se ha già qualche anno sulle spalle, ma purtroppo dobbiamo ammettere che avremmo decisamente gradito uno svecchiamento dei menu e dell'interfaccia: lenta, macchinosa e spartana, ci ricorda perennemente che la serie (Square) Enix cammina sempre in bilico tra due epoche, anche se forse il suo fascino è proprio quello.

Conclusioni

Multiplayer.it
ND
Lettori (1)
8.5
Il tuo voto

Dragon Quest VII: Frammenti di un Mondo Dimenticato è semplicemente la quintessenza dei jRPG vecchia scuola: un'avventura affascinante, colorata e stimolante che ci ha ricordato ancora una volta perché amiamo tanto questo genere videoludico. Nonostante tutti i suoi pregi, è importante sottolineare che le nuove generazioni cresciute a pane e Bravely Default potrebbero faticare a digerire il ritmo lento e dispersivo della narrazione, per non parlare dei menu sgraziati e dei combattimenti che, all'inizio, offrono ben poca varietà. Alla fin fine si tratta di stringere un po' i denti: le decine di ore di gioco a seguire ne varranno decisamente la pena.

PRO

  • È un remake ma è fedelissimo all'essenza dell'originale
  • È incredibilmente lungo e pieno di contenuti
  • Il sistema delle vocazioni garantisce una profondità eccelsa

CONTRO

  • Le prime ore sono un po' pesanti
  • I menu avrebbero bisogno di una bella svecchiata
  • Alcune dinamiche di gioco sentono tutto il peso degli anni