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La guerra non è finita

Danger Close e Dice ci portano in Afghanistan, per il reboot di uno dei franchise storici degli sparatutto in prima persona.

RECENSIONE di Matteo Santicchia   —   12/10/2010
Medal of Honor
Medal of Honor
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Versione testata: PC

Avevamo lasciato Medal of Honor penzolare aggrappato a un paracadute tre anni fa nei cieli d'Europa in piena seconda guerra mondiale con Airborne, un titolo che tra pregi e molti difetti aveva avuto il coraggio di svecchiare il gameplay con un inedito approccio "libero" alle missioni, quest'anno si torna decisamente alla classicità, ovvero linearità e script, seppur in un contesto, quello del conflitto in Afghanistan che è tornato di drammatica attualità in questi ultimi giorni. Danger Close, il team interno di EA che si è dedicato completamente alla campagna single player, ha posizionato le dieci missioni che compongono il gioco nelle prime fasi dell'operazione Enduring Freedom, si parla quindi della fine del 2001, inizio 2002, in un lasso di tempo, se si esclude il prologo iniziale, di soli due giorni, con una scansione temporale serratissima, in cui seguiamo per quasi tutto il tempo le azioni delle forze speciali Tier 1. Quest'ultima rappresenta l'elite guerriera dell'esercito degli Stati Uniti, uomini abituati a combattere da soli dietro le linee nemiche, versati in atti di sabotaggio e infiltrazione, e come il titolo ci mostrerà più volte, decisivi per la designazione dei bersagli da bombardare.

La guerra non è finita

La prospettiva è però molteplice: in alcune missioni impersoneremo anche i Ranger, avremo quindi un tipo di gameplay più simile per certi versi ai canoni della serie, con i grandi numeri dell'esercito in campo, non solo poche - e silenziose - unità speciali, mentre l'unica concessione allo spettacolo fracassone, vero e proprio dazio da pagare sull'altare del realismo ricercato dai ragazzi americani è quando saliremo a bordo di un Apache, probabilmente la parte più debole del gioco, e francamente evitabile.

Fratelli in armi

Il titolo propone missioni in cui le azioni di un gruppo ricadono direttamente su quelle dell'altro, o meglio il raggiungimento di un obiettivo comune è raccontato attraverso due punti di vista diversi, in cui la sequenzialità è rafforzata anche dal fatto che spesso e volentieri vediamo, magari dalla lunga distanza, i nostri compagni, segno questo di un probabile cambio di protagonisti sulla scena. Essendo quindi quasi in presenza delle tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, che castrano il gioco sul versante della varietà delle ambientazioni, il ritmo e la bontà della messa in scena devono supplire a questa carenza, e per nostra fortuna il lavoro di Danger Close è senza dubbio eccellente. Gli sviluppatori, scegliendo il setting afghano hanno imboccato una strada impervia, perchè pur avendo alle spalle eventi realmente successi, e confidando nella collaborazione di coloro che sono stati effettivamente sul campo di battaglia, hanno di fatto messo alla porta il vero protagonista di titoli come i primi Medal of Honor e Call of Duty, ovvero la Storia, quella con la S maiuscola, e che riusciva a riempire il vuoto di una narrazione che serviva solamente da fil rouge tra i vari momenti topici delle fasi della seconda guerra mondiale. In quest'ottica solo Brothers in Arms ha cercato di svicolare da questa impostazione, raccontando tanto le fasi finali della guerra in Europa quanto la vita dei soldati, le loro speranze, i loro pensieri, il loro umore.

La guerra non è finita

All'epicità di uno sbarco in Normandia, o dell'assalto al Reichstag Danger Close, non potendo contrappore momenti di battaglia storici, visto che la guerra è ancora in corso, ma soprattutto perché il conflitto è troppo controverso per farci nascere un'epica solida, ha fatto la saggia scelta di renderci protagonisti di "piccole" operazioni, e di renderci sempre e costantemente in pericolo, legando tra di loro le vite dei vari operatori delle forze speciali, facendoci diventare parte di "una famiglia", sensazione corroborata anche dalle cutscene in cui il comandante sul campo litiga aspramente con il generale in doppio petto a 150000 miglia di distanza, reo di non capire o di non voler capire le vere esigenze dei soldati. L'epicità è quindi data non da pirotecniche esplosioni, da gigantesche scene di invasione o da adrenaliche scene di inseguimento, momenti presenti comunque, ma dal senso di fratellanza, che emerge tra i vari Tier 1. Non si perde comunque tempo in chiacchiere, nel costante radio chatting al massimo c'è spazio per una battuta veloce, gli uomini che combattono (abbiamo sempre due/quattro compagni a copririci alle spalle) non sono semplici manichini mossi dall'intelligenza artificiale esenti dal fuoco amico, ma sono compagni a tutti gli effetti, e il drammatico crescendo finale, sempre più epico e struggente ne è la conferma. A partire dal secondo giorno quasi tutto andrà storto, non c'è speranza di vittoria, non ci sono bandiere da piantare, nè statue in piazza da abbattere, ma solo morti da piangere e, eventualmente da vendicare. Raramente insomma un videogioco americano di guerra è stato così "poco americano" e anti retorico, la potenza della macchina bellica viene mostrata sì in tutta la sua spettacolarità, il supporto aereo guidato da terra non manca, ma più in generale si respira un'aria estremamente realistica, credibile nel mettere in scena le vicende di uomini sempre sul punto di morire, che fanno il loro lavoro e basta rispondendo solo a sè stessi, cercando solamente di salvare la pelle dei propri compagni.

Equilibrio perfetto

Pad alla mano tutto ciò si traduce in missioni che pur non portandoci in giro per il mondo, e rimanendo quasi sempre ancorate alle aspre montagne afghane, riescono a non essere mai noiose, alternando fasi "stealth" ad altre più "esplosive", con improvvisi cambi di gameplay, mai a compartimenti stagni insomma. C'è tutto il repertorio di titoli di questo genere, assalti frontali a basi ben fortificate, combattimento urbano, infiltrazione notturna, lunghe scampagnate al chiaro di luna su quad, impegnative sessioni di cecchinaggio a un chilometro di distanza, e l'immancabile C-130 con il quale martellare i talebani, Medal of Honor non inventa nulla, ma riesce a creare un'alchimia quasi perfetta, con pochissime fasi di stanca, anche grazie a un level design decisamente ben implementato, pieno di ripari e luoghi dove nasconderci (inserita per questo la scivolata per raggiungere velocemente la copertura), nonostante una linearità e uno scripting marcato. Sembrerebbe un titolo perfetto, ma questo reboot della serie non è certamente esente da difetti. Il primo, quello che ormai è un vero marchio di fabbrica di tutti gli FPS bellici degli ultimi anni, è la sua brevità. Cinque ore, seppur intensissime e bellissime da giocare, sono oggettivamente un quantitativo troppo esiguo, alla luce anche del fatto che la tipologia di gameplay non inviterebbe certamente a rigiocarlo solo per il gusto di provare un diverso approccio all'azione.

La guerra non è finita

Inoltre il titolo va esclusivamente giocato a livello difficile, medio è davvero troppo facile, si muore solo in quei momenti in cui, e sono piuttosto frequenti, i nemici ci prendono alle spalle, ma non per una propria iniziativa tattica, ma perché appaiono in un punto che dovrebbe essere sicuro, cosa questa simile al barare. Secondariamente l'intelligenza artificiale dei nemici oscilla tra il basilare e lo stordito: si alzano e si abbassano dalle coperture, hanno buona mira, ma non si è mai assistito a movimenti di concerto per prendere alle spalle il giocatore, e nonostante la loro "fissità" qualche volta hanno il brutto vizio di cercare il centro della scena, con l'unico risultato di farsi foderare di piombo. Di tutt'altra pasta invece quella dei nostri compagni, che rispondono sempre al fuoco, non soffrono di particolari problemi di pathfinding e riescono spesso e volentieri a trarci d'impaccio nei momenti più concitati. Una campagna tutt'altro che perfetta, con un paio di vizi strutturali piuttosto pesanti, ma che riesce a coinvolgere il giocatore, e a farsi ricordare nei mesi a venire.

Tier 1

Oltre alla campagna single player, troviamo l'immancabile ventaglio delle possibilità multigiocatore. Oltre al gioco multiplayer vero e proprio Danger Close ha inserito la modalità online Tier 1, che ci vede rigiocare le missioni inserite però in un contesto "arcade" in cui il punteggio finale si basa sul tempo impiegato (abbiamo un par in minuti per ogni livello), e sulla nostra abilità col fucile. In pratica ogni headshot, colpo melee, killstreak ravvicinata sottrae un tot di secondi al computo finale, dai due ai cinque secondi. Finito il livello si accede alla classica finale in cui oltre alla medaglia premio è possibile tenere sott'occhio tutta una serie di statistiche come la kill dalla distanza maggiore, uccisioni a mani nude e con le granate e così via. Siamo invitati a rigiocare il gioco più e più volte per scalare la classifica, con alcune limitazioni però rispetto alla campagna principale: non è presente la possibilità di rifornirsi dai propri compagni, cosa fondamentale visto che il calibro dei proiettili non è uguale per tutte le armi, di conseguenza è sempre meglio conservare quelle di partenza, anche perchè nell'ottica del realismo ricercato dagli sviluppatori quelle dei nemici non sono tecnologicamente evolute e non presentano ottiche di supporto. Inoltre non ci sono mirini, nè indicatori di pericolo, ogni sessione va portatata a termine spingendo in continuazione senza morire mai, e il livello di difficoltà sembra essere quello più elevato. Non si può perdere tempo dietro le coperture, bisogna essere veloci e soprattutto infallibili, sapendo usare bene la scivolata per arrivare il più vicino possibile ai nemici, vuoi per facilitare l'headshot, vuoi per l'uccisione istantanea a mani nude. Cambia in pratica l'approccio al gioco che diventa hardcore, si gioca decisamente più attenti e meno rilassati, Tier 1 quindi funziona come modalità alternativa al breve single player, fermo restando che potrebbe non interessare tutti, offrendo un approccio intedito, ma non qualcosa di tangibilmente diverso rispetto alla campagna principale.

La normalità del multigiocatore

Sul versante multiplayer come ormai tutti sanno Danger Close ha lasciato il posto a DICE (il team alle spalle della serie Battlefield), i quali hanno impresso il loro marchio tanto visivamente quanto da un punto di vista del gameplay. Subito si nota lo stacco grafico tra i due comparti, il team svedese ha implementato il suo motore proprietario, il Frostbite versione 1.5 al posto dell'Unreal Engine, utilizzato però tenendo a freno la sua caratteristica peculiare, la completa distruttibilità dell'ambiente, visto che Medal of Honor non può essere un clone di Bad Company, e che qui è limitata a quelle parti dello scenario che possono essere fatte a pezzi in virtù delle scelte a monte degli sviluppatori, come staccionate, sacchi di sabbia e via dicendo, nonchè alcune sezioni importanti ai fini della progressione della partita, come fortificazioni, portoni e via dicendo. Il numero massimo di giocatori che possono partecipare alle battaglie è di ventiquattro, distribuiti su otto mappe per quattro modalità di gioco principali, alle quali si aggiunge quella hardcore, in cui nessun tipo di aiuto è presente sullo schermo, dove con un colpo si muore. L'impressione avuta tornando a giocare contro avversari umani non ha fatto altro che confermare le recenti sensazioni riscontrate nella lunga prova avuta direttamente negli studi DICE di Stoccolma, e cioè dei buoni passi avanti rispetto alla poco esuberante beta PlayStation 3 di questa estate, confermati da quella PC ora in corso.

La guerra non è finita

Delle quattro tipologie di gioco, quella più peculiare è certamente Combat Mission, che ha il pregio di voler legare i diversi obiettivi all'interno delle enormi mappe in un contesto narrativo, o meglio di dare un nesso logico ai diversi momenti di attacco e difesa. Funziona e diverte, dal ritmo più lento e "ragionato" rispetto alle altre. Chi invece cerca un'azione più frenetica e convenzionale può giocare, oltre al classico deathmatch, a Sector Control e Objective Raid, con mappe più piccole, mezzi e più in generale un bel level design a esaltare le varie classi a disposizione del giocatore, che possono evolvere acquisendo nuove armi, gadget, bonus e ottiche varie, con un sistema di esperienza simile ai grossi calibri del settore. Per una disamina completa della parte multiplayer mappa per mappa il nostro consiglio è quello di leggere il corposo provato, in definitiva però le sensazioni avute rimangono le stesse, ovvero di un'offerta di gioco "media", che si posiziona idealmente tra Modern Warfare e Bad Company, e proprio per questo potrebbe far storcere il naso agli appassionati di entrambi, ma che alla fine della fiera funziona, pur senza i fuochi artificiali delle altre produzioni DICE e Infinity Ward.

Parte tecnica

Da un punto di vista cosmetico il lavoro svolto da Danger Close e da DICE è sicuramente di alto livello, ed entrambi offrono un buon impatto, capaci di mandare a schermo degli scorci mozzafiato, soprattutto nella campagna single player, in cui si è praticamente sempre in alta montagna, immersi nella fitta boscaglia o negli impervi sentieri ad alta quota. Più in generale il gioco riesce benissimo nel ricreare un credibile e realistico campo di battaglia, facendo da perfetto contraltare al piglio adulto e dolente della due giorni della modalità principale; Danger Close in questo senso è stata impeccabile nel mettere in scena momenti davvero epici e drammatici, emozionandoci e immergendoci appieno nell'azione senza eccedere in esplosioni e fuochi artificiali.

La guerra non è finita

Degli ottimi effetti speciali non mancano, i particellari abbondano, soprattutto nelle missioni dei Ranger, e l'HDR ci acceca quando finalmente si riesce a guadagnare la cima delle montagne, facendoci tremare quando una figura nera si staglia contro il sole armata di RPG. In riferimento alla modalità storia è davvero alto il dettaglio dei compagni, così come buone sono le animazioni, un pò altalenanti invece texture e modellazione dei fondali, che si attestano comunque su un buon livello senza però mai eccellere. Avendo provato il gioco su PC molte delle perplessità sul lavoro DICE sono decisamente scemate rispetto a quanto provato poco tempo fa su console e cosa più importate non si è assistito insomma a texture impastate sugli elementi più lontani dello sfondo, cosa questa che rende gli ingaggi dalla distanza decisamente più agevoli, potendo sfruttare al meglio il certosino level design messo in campo dagli sviluppatori svedesi.

Conclusioni

Multiplayer.it
8.5
Lettori (436)
7.9
Il tuo voto

Medal of Honor ci riporta alle origini del franchise di Electronic Arts e pur perdendo il supporto emozionale che la Storia, quella studiata sui banchi di scuola, riusciva a darci, riesce a colpirci con l'asciutto ma potente racconto delle vicende degli uomini in guerra, che pur essendo dei super soldati, sanguinano e muoiono come tutti gli altri. Una campagna tesa, senza cali di ritmo, varia pur con poche ambientazioni ed emozionalmente "impegnativa", con momenti davvero memorabili, ma purtroppo brevissima, intorno alle cinque ore, che ci lascia con la sensazione di terminare sul più bello, piuttosto facile e gravata da un'intelligenza artificiale non troppo sviluppata. Interessante la modalità Tier 1, che può essere una buon mezzo per tornare a giocare in modo diverso la campagna, e ben congegnato il multiplayer, che però paga dazio in termini di personalità ponendosi a metà tra il fratello più grande Bad Company e l'acerrimo nemico Modern Warfare.

PRO

  • Epico, adulto e realistico
  • La narrazione serrata funziona
  • Missioni varie, ben congegnate e dal gran ritmo

CONTRO

  • 5 ore sono troppo poche
  • Intelligenza artificiale altalenante
  • Multiplayer valido ma con poca personalità

Requisiti di Sistema PC

Configurazione di Prova

  • Processore: Intel Core i7 860 a 2.8 GHz
  • Memoria: 4 GB di RAM a 1333 MHz
  • Scheda video: ATI Radeon HD 5870
  • Sistema operativo: Windows 7 Ultimate 64 bit

Requisiti minimi

  • Processore: Pentium D, 3.2 GHz / Core 2 Duo, 2.0 GHz / Athlon 64 X2
  • RAM: 2 GB RAM
  • Scheda video: 256 MB o più, con i seguenti chip o migliori: NVIDIA GeForce 7800 GT, ATI X1900, non sono supportate ufficialmente le versioni portatili di queste (ma possono comunque funzionare)
  • Hard Disk: 9 GB
  • Sistema operativo: Windows XP (SP3), Windows Vista (SP2), Windows 7

Requisiti consigliati

  • Processore: QuadCore 2.0 GHz
  • Memoria: 2GB o più di RAM
  • Scheda video: 512 MB di VRAM e uno dei seguenti chipset: NVIDIA GeForce GTX 260; ATI Raedeon 4870
  • Sistema operativo: Windows Vista (SP2), Windows 7