Versione testata: Xbox 360
Suda 51, Shinji Mikami e Akira Yamaoka, tre nomi messi insieme che hanno fatto scrivere fiumi di inchiostro (o di kilobyte) alla stampa specializzata in questi mesi, raccogliendo intorno al progetto Shadows of the Damned un hype di non facile gestione. Soltanto nei sogni più sfrenati degli appassionati di horror videoludico si poteva infatti pensare di mettere insieme un'idea del creatore di Killer 7 e No More Heroes con l'esperienza del responsabile della serie Resident Evil, condendo il tutto con le musiche del compositore storico di Silent Hill. Queste sono le fondamenta altisonanti su cui è fondato il progetto in questione, un titolo dalle premesse talmente alte da rischiare di scricchiolare al primo passo falso, alla minima imperfezione grafica o contenutistica.
La vecchia arma a doppio taglio dell'aspettativa ha colpito ancora: una produzione talmente promettente ha poi colpito nel segno? La risposta è, come spesso accade, "nì", con i dannati di Suda51/Mikami che, ironicamente, ondeggiano tra luci e ombre, tra un'atmosfera unica, un gameplay divertente, elementi fortemente derivativi in ogni dove e una realizzazione tecnica che di certo non fa gridare al miracolo. Quello che rimane, in ogni caso, è la caratterizzazione dei personaggi e dello scenario, che come da tradizione Grasshopper resta ben piantata nella memoria grazie al suo carisma, sebbene ci si trovi comunque lontani dall'astratto simbolismo di Killer 7 e decisamente più vicini al trash di No More Heroes, qui spinto verso nuove frontiere dall'ambientazione demoniaca a metà tra il grindhouse più splatter e il classicismo esoterico di matrice ispanica. In mezzo a tanto orrore, però, la nota profonda che risuona con maggiore intensità e che resta viva nella memoria è l'humour che caratterizza l'intero viaggio all'inferno della strana coppia di protagonisti.
Drag me to hell
Garcia Hotspur è un ispanico cacciatore di demoni che pare averne viste tante, molte della quali hanno lasciato il segno tra cicatrici e tatuaggi sulla sua stessa pelle. Il motivo che lo spinge ad attraversare l'inferno, all'interno di quello che lui definisce il suo "film on the road demoniaco" è il più antico che ci possa essere, ovvero il disperato tentativo di salvare la propria amata, ghermita dal signore oscuro Fleming. Quello che rischia di essere un canovaccio abusato viene risollevato dallo spirito sarcastico che pervade il viaggio allucinante, soprattutto grazie alla personalità di Johnson, il compagno del protagonista. Quest'ultimo è un demone fuggito dagli inferi che aiuta la missione di Garcia in svariate maniere, essendo in grado di mutare forma, trasformandosi dal suo "normale" aspetto di teschio volante in torcia, in varie armi da fuoco e addirittura in motocicletta, all'occorrenza.
Ma soprattutto lascia il suo segno nel gameplay per il continuo apporto di commenti caustici e battute sarcastiche sul mondo degli inferi, che evidentemente conosce bene ma dal quale si è in qualche modo distaccato. Intendiamoci, bisogna avere il palato portato ad apprezzare i dialoghi in stile grindhouse, tra machismi dal gusto messicano e battute squisitamente scatologiche, ma i siparietti tra i due rappresentano probabilmente l'aspetto migliore dell'esperienza di gioco, con commenti coloriti sulle strane abitudini dei demoni e sugli enigmi a base di "peli pubici demoniaci", tanto per fare alcuni esempi. Il level design stesso, che ci pone davanti a momenti intrinsecamente umoristici, insieme alla personalità della coppia protagonista, stemperano continuamente il clima orrorifico e ultraviolento che i Grasshopper hanno costruito nella loro particolare visione dell'inferno. Questo è una sorta di rutilante mondo alternativo dove, tra corpi dilaniati, sangue ed esseri mostruosi, in certi casi ritroviamo bizzarre connessioni con il mondo reale, come dimostrato dai cartelloni pubblicitari che tappezzano le pareti dei livelli, peraltro citazioni abbastanza evidenti dei messaggi promozionali e di propaganda visti in Bioshock.
Lo strano inferno di Garcia
Il gameplay è impostato secondo gli stilemi tipici dello sparatutto in terza persona, in particolare derivato in maniera marcata dalla struttura di Resident Evil 4, con l'aggiunta determinante delle aggiornate possibilità motore del protagonista che in questo caso può muoversi mentre spara ed effettuare occasionalmente delle azioni contestuali in base alle caratteristiche dello scenario (lanciarsi da finestre, scavalcare oggetti, attivare meccanismi). Il combattimento si basa sul colpire punti nevralgici sfruttando il puntatore dell'arma, nuclei sensibili che cambiano a seconda della tipologia di demone con cui ci troviamo a che fare, una soluzione anche questa derivata dalle precedenti produzioni degli sviluppatori, tra Resident Evil e Killer 7, anche se in questo caso la velocità generale dei nemici e la mobilità del protagonista rendono tutto molto più dinamico. La gestione della luce rappresenta l'elemento più caratteristico del gameplay: l'ombra si presenta nell'inferno di Shadows of the Damned sia in maniera naturale, come semplice mancanza di luce che rende più aggressivi i nemici, sia come dimensione alternativa vera e propria, un'oscurità palpabile che può presentarsi a zone fisse o in espansione, che modifica i connotati del mondo e danneggia la salute di Garcia se vi rimane troppo a lungo, rendendo necessario assumere bonus in grado di aumentarne la resistenza e cercare in tutti i modi di trovare e accendere le lanterne o le "teste di capra" disseminate per i livelli come particolari fonti di luce presenti in questo bizzarro inferno. L'elemento-ombra rappresenta poi parte integrante del gameplay poiché in diversi casi per venire a capo di enigmi o particolari tipologie di nemici è richiesto il passaggio da una dimensione all'altra, per rendere visibili ad esempio "interruttori" nascosti o nuclei sensibili da colpire. La meccanica delle dimensioni parallele ma intersecate è peraltro un'ottima variante che in parte stempera lo sviluppo altrimenti estremamente lineare del level design.
Un demone per amico
Altro elemento caratterizzante del gioco è il ruolo di Johnson come arma trasformabile, anche se dietro alla particolare soluzione adottata per dotare un semplice strumento di una sua specifica e dirompente personalità non si celano innovazioni sostanziali nella gestione delle armi. In pratica, il demone-teschio è in grado di trasformarsi in pistola, fucile o mitragliatore oltre che essere utilizzato come torcia utile sia per illuminare che per attacchi corpo a corpo. Ogni configurazione di Johnson torna particolarmente utile in determinati frangenti e può essere a sua volta potenziata attraverso l'applicazione di rare gemme rosse che si conquistano abbattendo i nemici più ostici, trovandole nei luoghi più nascosti dei livelli o acquistandole da Christopher, altro demone "buono" che svolge il classico ruolo di mercante.
Insomma, tutte caratteristiche tipiche dello sparatutto di maniera di scuola nipponica, sebbene presentate in una cornice indubbiamente nuova e fortemente carismatica. Johnson è inoltre capace di sparare il "colpo di luce", ovvero un proiettile luminoso in grado di avere effetti diversi e particolarmente utile nella risoluzione degli enigmi o negli scontri con i boss: il colpo di luce può accendere le lampade e le "teste di capra", ma può anche abbattere la corazza d'ombra che alcuni nemici indossano e che li rende invulnerabili ai colpi normali, altri elementi che vanno ad arricchire la dinamica da sparatutto. Nella maggior parte dei casi, è necessario mirare molto precisamente a determinati elementi dello scenario, o precise parti anatomiche dei nemici, per poter ottenere qualche risultato positivo e la cosa rende il livello di sfida costantemente impegnativo. D'altra parte, l'interazione con gli elementi avviene sempre bene o male in maniera violenta e Johnson è a tutti gli effetti sempre lo strumento con il quale Garcia effettua le sue azioni, sia che si tratti di uccidere demoni che risolvere enigmi ed aprire porte, dunque la semplice arma da fuoco assurge qui al ruolo di fulcro dell'azione, nelle fasi sparatutto e nelle fasi - meno incisive ma comunque presenti - d'avventura.
Obiettivi Xbox 360
50 obiettivi sbloccabili per 1000 gamerpoints sono il bottino standard che è possibile raccogliere da Shadow of the Damned. La maggior parte di questi vengono raggiunti regolarmente progredendo, superando livelli e sconfiggendo boss, dunque già una prima conclusione della storia consente la raccolta di un buon numero di punti. Per la raccolta completa è necessario concentrarsi su particolari performance, più adatte agli esperti.
Inferno eclettico
La caratterizzazione di personaggi e ambientazioni è dunque il vero punto forte del gioco, cosa che appare evidente dopo qualche minuto immersi nella dannazione di Garcia e Johnson. Se gli elementi di gameplay possono risultare ampiamente derivativi, c'è davvero poco di già visto per quanto riguarda ambientazioni, nemici e personaggi principali, nel bizzarro carnevale di elementi pseudo-messicani, gotici, moderni, vittoriani e medievaleggianti che si intersecano in questo particolare inferno videoludico. Ci sono facce incastonate sulle porte che per aprirsi chiedono fragole o varie interiora umane, ci sono distributori di bevande alcoliche per risanare la salute del protagonista, donne in lingerie e demoni con evidenti problemi di incontinenza fecale, tutti elementi che passano al vaglio del duo protagonista, che dal canto loro liquidano le bizzarrie sullo schermo con caustiche battute da prendere con il giusto senso di ironia. Dal punto di vista stilistico il lavoro fatto non tradisce gli standard di Grasshopper, l'esecuzione tecnica invece non tiene sempre il passo alle rutilanti idee del team. La base Unreal Engine risulta evidente dai tipici shader di Epic, ma tranne alcuni momenti topici, come gli scontri con i boss, non sembra mai di trovarsi di fronte a un titolo di grosso calibro dal punto di vista grafico, data la frequente ripetizione di elementi di scenario e texture a volte di non altissima qualità.
Stretti corridoi e stanze non troppo vaste sono il solito corredo UE, così come un'interazione con gli scenari ridotta ai minimi storici, mentre la gestione della telecamera unita ai movimenti spigolosi del protagonista tendono a volte a rendere piuttosto caotica l'azione di gioco.Shadows of the Damned pare rappresentare il paradigma dei team nipponici alle prese con i motori grafici occidentali, con la sua rappresentazione stilisticamente originale e d'impatto ma tecnicamente arretrata, rispetto ad altri titoli afferenti al genere attualmente sul mercato. Praticamente perfetto nel suo ruolo invece Akira Yamaoka, la cui colonna sonora spagnoleggiante con innesti rock si inserisce perfettamente nel clima generale del gioco.
Conclusioni
L'influsso incrociato di Suda 51 e Mikami è evidente in Shadows of the Damned: da una parte l'estro eclettico e sempre sopra le righe dell'uomo Grasshopper, dall'altra il rigore quasi classicista del gameplay di Mikami che, alfine, ha portato un prodotto targato Suda 51 a quell'ambita forma-videogioco che il visionario game designer di Killer 7 non è mai riuscito a raggiungere pienamente. Sembrerebbe un'ottima cosa, eppure lo slancio dissacrante in questo caso risulta un po' frenato, calato all'interno di un gameplay fin troppo solido e ancorato ad elementi visti più volte, e in diversi casi anche in forma migliore, in altri contesti. Ci troviamo allora di fronte ad uno sparatutto in terza persona dall'anima tradizionale, calato all'interno di un'ambientazione dotata, questa sì, di un fascino carismatico particolare, anche se non avanzatissima dal punto di vista grafico. Un titolo che strappa sorrisi e momenti di sano divertimento a chi è in grado di apprezzare lo humour nero e trash nella sua cavalcata infernale di 8-10 ore, ma che non rappresenta quel capolavoro in cui, dai nomi coinvolti nel progetto, qualcuno poteva sperare.
PRO
- Atmosfera unica
- Coppia di protagonisti memorabile
- Semplicemente divertente
- Ottima colonna sonora e dialoghi
CONTRO
- Storia banale, al di là dei dialoghi
- Tutto già visto, in termini di gameplay
- Realizzazione tecnica con luci e ombre
- Difficile tornarci su dopo una prima conclusione