Lo scambio d'influenze all'interno del mondo dei videogiochi è costante e la contaminazione d'idee, meccaniche e atmosfere tra produzioni differenti è parte fondante del processo creativo di ogni sviluppatore. Tanti giochi possono essere accostati per via di caratteristiche sostanzialmente coincidenti, perlomeno sulla carta. Tuttavia, la valenza identitaria di un gioco su altri cento è data dal modo in cui tali elementi vengono uniti, fusi in un unico amalgama in grado di spiccare sulla concorrenza (o meglio, sul resto dell'offerta disponibile).
Questo è uno dei temi che più ci ha fatto riflettere mentre cercavamo d'identificare la natura di Grow: Song of the Evertree. Al suo interno ci abbiamo ritrovato un po' di tutto: da grandi titoli come Animal Crossing, ad altri forse meno altisonanti come Stardew Valley, per arrivare anche a tutta una sequela di gestionali e city builder (ci abbiamo visto perfino un gioco che i più si saranno scordati, ovvero il tie-in di Toy Story 3, precisamente nella sua modalità "Scatola di giocattoli").
Vediamo se il titolo sviluppato da Prideful Sloth e pubblicato da 505 Games è riuscito a trovare una sua identità in questa recensione di Grow: Song of the Evertree.
La classica narrazione fiabesca
Grow: Song of the Evertree fonda le sue radici narrative nel fantasy più gettonato e, spesso, abusato. In un universo immaginario e perso nelle pieghe del tempo, un male oscuro e malvagio, l'Avvizzimento, ha colpito l'Albero Eterno, una pianta enorme che può contenere interi mondi sui suoi rami. Alla base di quest'ultimo, tempo addietro, sorgeva una grande comunità, ma il morbo che ha colpito l'albero ha costretto gli abitanti ad abbandonare le proprie case.
Noi impersoniamo un alchimista, l'unico in grado di comprendere le necessità dell'Albero Eterno. Il nostro compito è quello di sradicare il male dalla terra dei nostri avi e liberare il cuore della mastodontica pianta della vita.
Un incipit, questo, che ormai sa di stantio, ma che resta comunque funzionale per narrare quei particolari tipi di racconto non eccessivamente complicati e in grado di coinvolgere subito i più piccoli. Non vi aspettate una storia intricata o piena di colpi di scena. Ciò a cui vi troverete difronte è una narrazione concisa e diretta, che punta sulla semplicità espressiva, svolgendo il suo compito onestamente, senza infamia e senza lode.
Una natura gestionale
Il primo contatto con il gioco fa balzare subito alla mente un parallelismo con Animal Crossing. Tra annaffiatoi, canne da pesca, accette e retini per catturare gli insetti (con tanto di avvicinamento di soppiatto), le prime ore di gioco sembrano la copia (non per forza macchiettistica) della fortunata serie di Nintendo. Tuttavia, il gioco ha poi modo di riscattare la sua indipendenza quando ci si accorge di una più accentuata complessità gestionale non solo delle proprie risorse, ma del mondo che ci si trova a salvare a colpi di canti armonici e massimizzazione del raccolto.
Grow: Song of the Evertree si divide in due sezioni ben distinte: da un lato troviamo la florida città che dobbiamo ricostruire, dall'altro i rami sui quali abbiamo il compito di piantare nuovi mondi attraverso dei semi magici. La gestione del villaggio ha i tratti del city builder, con la possibilità di costruire nuovi edifici, di decorare ogni angolo dello spazio a disposizione e di gestire sia la residenza che l'occupazione lavorativa degli abitanti. Più le passioni e gli interessi dei cittadini combaciano con gli impieghi a loro assegnati, più saranno felici: migliore la loro felicità, maggiore il nostro guadagno (in moneta di gioco) all'inizio di ogni giornata. L'obiettivo è quello di espandere la città fino a liberare tutti e sette i distretti dalle grinfie dell'avvizzimento.
I rami dell'albero, invece, sono un po' come il nostro giardino personale. Qui dobbiamo ripulire la zona e coltivare nuove piante, così da far tornare la fauna specifica di quell'habitat naturale, determinato dalla combinazione elementare del seme d'origine, che abbiamo la possibilità di comporre nel nostro laboratorio con le varie "essenze" (ottenute occupandoci del nostro "giardino", oppure grazie al completamento di obiettivi). Man mano che riusciamo a liberare il cuore dell'Eterno dall'Avvizzimento, l'albero tornerà a crescere, mettendo a disposizione sempre più spazi da "terraformare". Una volta raggiunto il limite potenziale del piccolo micro-mondo creato, possiamo scegliere se eliminarlo e fare spazio per un nuovo bioma, oppure se continuare a ottenere risorse da quest'ultimo (grazie anche all'aiuto di alcuni piccoli operai della comunità degli Eternicus, i primi abitanti dell'Albero Eterno).
Se la gestione cittadina riesce a convincere, la meccanica dei mondi risulta molto ripetitiva, dato che ci si ritrova a compiere praticamente sempre le stesse azioni, giorno dopo giorno (sradica l'erbaccia, pianta il seme, annaffia i germogli, addomestica le creature, cattura gli insetti e così via). Una ripetitività che abbiamo riscontrato (in maniera molto meno invasiva e snervante, va detto) anche nel diario di obiettivi da completare e nelle missioni che ci vengono assegnate dai concittadini. In sostanza, la varietà è più un orpello visivo che non una vera base dei singoli macro-insiemi di gameplay che compongono il gioco.
Quanti videogiochi in un singolo videogioco?
Quando si inizia a sentire il peso di alcune azioni ripetitive, si rimane abbastanza sbalorditi, perché comunque Grow: Song of the Evertree presenta una certa varietà nella presentazione del mondo di gioco (perlopiù derivativa). Abbiamo caverne da esplorare, enigmi da risolvere, sequenze platform, forzieri da aprire, ricette alchemiche da preparare, strutture da personalizzare, senza contare le già citate forme gestionali. Insomma, c'è un po' di tutto. Ma una varietà nella struttura di gioco non implica una varietà nelle situazioni che ci troviamo effettivamente a esperire.
Il titolo sembra separato in compartimenti stagni, completamente scissi gli uni dagli altri. Ogni sezione funziona, a modo suo, ma manca quel legante capace di unire così tanti elementi differenti e, spesso, anche discordanti.
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- Sistema operativo: Windows 11
- Processore: Intel Core i7-10700
- Memoria: 16 GB di RAM
- Scheda video: NVIDIA GeForce RTX 3070
Requisiti minimi
- Sistema operativo: Windows 7
- Processore: Intel Core i5-2300 o AMD FX-4350
- Memoria: 4 GB di RAM
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTS 450, 1 GB o AMD Radeon R7 240, 1 GB
- DirectX: Versione 11
- Memoria: 4 GB di spazio disponibile
Requisiti consigliati
- Sistema operativo: Windows 10
- Processore: Intel Core i7-7700K o AMD Ryzen 5 3600X
- Memoria: 8 GB di RAM
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 760, 2 GB o AMD Radeon HD 7870, 2 GB
- DirectX: Versione 11
- Memoria: 4 GB di spazio disponibile
L’inganno dell’impatto d’insieme
Tecnicamente, Grow: Song of the Evertree, ha i suoi punti di forza. Almeno quando lo si guarda da lontano. Infatti, il titolo è graficamente abbastanza efficace quando si ha una visione d'insieme del mondo di gioco. Passeggiare per la propria città, con le imponenti strutture che la compongono, magari alle prime luci dell'alba e con gigantesche creature che si muovono all'orizzonte, è senz'altro affascinante. Tuttavia, non appena iniziano a palesarsi tutte quelle scelte registiche che portano la camera di gioco ad avvicinarsi eccessivamente ad ambienti e personaggi, ecco che arrivano le magagne visive.
Questo risultato è dato da una certa rozzezza dei modelli, compensata (principalmente sulla distanza) da una buona qualità delle texture. Tale altalenante fattura tecnica può essere riscontrata nella realizzazione delle animazioni, eccessivamente grezze, come anche nella gestione dell'illuminazione, complessivamente funzionale, ma a volte veramente sbilanciata e poco curata.
Una cosa sulla quale, però, non abbiamo nulla da ridire è la colonna sonora, derivativa quanto volete, ma estremamente efficace e perfettamente calzante con lo spirito del gioco, evidentemente diviso tra Oriente e Occidente. Decisamente apprezzata anche la localizzazione in italiano, con una terminologia molto varia e adeguata (nonostante qualche "incidente di percorso" durante l'implementazione dei testi all'interno del gioco).
Conclusioni
Grow: Song of the Evertree è una ricetta piena di ingredienti di qualità, se presi singolarmente, ma che non riescono a trovare un vero e proprio legante quando mischiati nello stesso calderone. L'ambizione del titolo e l'idea di base non hanno trovato un eccellente risultato nella messa in atto del progetto. Eppure, perché è riuscito a catturarci per tutto il tempo che abbiamo avuto modo di provarlo? Sarà perché è un impianto di gioco che si confà particolarmente ai nostri gusti o per il fascino "paravento" del mondo di gioco, ma è indubbio che, nonostante la ripetitività di certe azioni e situazioni, è riuscito a tenerci incollati allo schermo. Nelle sue infinite sbavature abbiamo trovato una particolare quiete, capace di rilassare e alienare quel tanto che basta per ripulire uno dei mondi o ampliare un po' di più la nostra comunità. Inoltre, non ci è certo sfuggito il pubblico di riferimento del gioco, evidentemente indirizzato a un giocatore abbastanza giovane, che utilizza i videogiochi un po' come noi usavamo i giocattoli: creando storie e dando spazio alla creatività. Mentre esploravamo questo mondo, che ci sembrava di aver già visto un'infinità di volte, abbiamo ritrovato quelle sensazioni, quelle atmosfere incantate e senza tempo che caratterizzavano il nostro svago infantile. Siamo tornati anche noi, solo per qualche ora, dei bambini.
PRO
- Discreta componente gestionale
- Impatto d'insieme gradevole
- Capace di intrattenere per diverse ore
CONTRO
- Poca sinergia tra le componenti di gioco
- Spesso ripetitivo
- Tecnicamente poco rifinito