l’ambientazione è cambiata, ma la formula di gioco è la medesima e la firma di Sokal inconfondibile
Bentornato, Sokal!
Come già anticipato, la meccanica di gioco è la stessa e ci troviamo sempre di fronte a una classica avventura “punta e clicca” in terza persona con grafica ibrida, che sovrappone personaggi in 3D a sfondi bidimensionali pre-renderizzati, in cui la trama costituisce l’elemento trainante ed è condita da una serie di puzzle meccanici ed enigmi basati sull’inventario – per quanto riguarda il gameplay e l’interfaccia, tuttavia, bisogna precisare che in molti aspetti Paradise si discosta dal modello proposto da Syberia... e non certo per il meglio. La differenza più appariscente invece è rappresentata dall’ambientazione e dall’atmosfera del gioco: gli algidi e sconfinati paesaggi nordici che abbiamo esplorato in Syberia lasciano spazio al caldo e alla desolazione dell’Africa, che è pur sempre un continente antico e imbevuto di leggende, in cui si vive spesso in condizioni estreme. Tale antitesi, ovviamente, si riflette anche nella grafica: ai colori brillanti e prevalentemente freddi di Syberia si sostituiscono le tinte calde e slavate di Paradise, che offre un’esperienza visiva altrettanto avvolgente ed evocativa.
Alla ricerca del paradiso perduto
L’Africa, culla della civiltà e terra di contrasti, è un luogo in cui regna ancora una natura selvaggia e incontaminata ma in cui si manifesta anche il peggio della natura umana, un continente straziato da guerre civili, genocidi, persecuzioni... Il quadro dell’Africa che ci offre Sokal è affascinante e contraddittorio: essendo cresciuto nel Belgio colonialista, da bambino è stato esposto al fascino esotico del Congo e delle misteriose culture originarie del continente nero, ne ha ammirato e sognato le specie animali e vegetali più uniche che rare, divorando racconti e libri sull’argomento. Una volta adulto, tuttavia, ha imparato a conoscerne anche il lato oscuro e il travagliato background socio-politico. Paradise rappresenta appunto questo dualismo, fondendo le sue fantasie infantili con una visione più matura della realtà: Sokal non dipinge la solita Africa coloniale mistica e sonnacchiosa, ma una regione dilaniata da violenti conflitti interni. Ciononostante, non rinuncia a una buona dose d’immaginazione né tanto meno a sognare e, là dove l’uomo non è arrivato a stabilire la propria egemonia, la sua Africa resta una terra impervia in cui la natura sa ancora farsi rispettare e dove si nascondono creature fantastiche e sconosciute. Il fumettista continua un viaggio iniziato molto tempo fa ed esplora nuovi confini, tanto videoludici quanto narrativi, ma la sottile vena di malinconia che attraversava Syberia sfocia in vera e propria disillusione in Paradise (forse il titolo originariamente pensato dall’autore, “Lost Paradise”, sarebbe stato più appropriato): in questa nuova avventura, infatti, ci accosteremo a temi molto più seri e molto più amari, come la guerra, la violenza, la rassegnazione e l’incapacità di comunicazione. Sokal dichiara di essersi ispirato al classico della letteratura inglese “Cuore di tenebra” (“Heart of Darkness”) di Conrad e chi l’ha letto (chi ha avuto la forza di leggerlo, essendo una lettura piuttosto impegnativa) ne scoprirà echi evidenti nel gioco.
Alla ricerca del paradiso perduto
La Maurania si trova in Africa, anche se non sappiamo bene dove, e sta attraversando una grave crisi: Rodon, il dittatore locale, è ormai vecchio e stanco ma non è disposto a cedere il proprio regno ai ribelli che stanno mettendo a ferro e fuoco la regione. Spera di poter affidare le sorti del paese alla figlia, che per qualche strano motivo si trova in Europa, e quindi la richiama a sé. Purtroppo l’aereo su cui viaggia viene abbattuto dai rivoluzionari e, dopo un atterraggio di fortuna nel deserto, la giovane perde la memoria e si risveglia nell’harem del principe di Madargane, un regno del Nord. Qui prende il nome di Ann Smith, come l’autrice di un libro che portava con sé al momento dello schianto insieme a pochi altri effetti personali. Presto la guerra civile la raggiunge e, forse proprio per allontanarla, il principe le affida il compito di riportare un misterioso leopardo nel suo luogo d’origine, un leopardo col manto nero come la notte, feroce e indomabile come la natura che rappresenta. Ann s’imbarca così in un movimentato viaggio verso Sud, seguendo il corso del fiume Maur con la guerra sempre alle spalle e attraversando lo stesso regno di Madargane, che sta ormai cadendo in mano ai ribelli, la foresta dei Molgravi, uno strano popolo che vive sugli alberi senza mai mettere piede a terra, e una vecchia miniera. Starà a noi scoprire se riuscirà finalmente a ricongiungersi al padre, al termine di quest’avventura...
il quadro dell’Africa che ci offre Sokal è affascinante e contraddittorio
Alla ricerca del paradiso perduto
La storia che dà vita a Paradise è piuttosto intrigante ma Sokal ha operato scelte narrative discutibili: fin dall’introduzione ci vengono forniti troppo pochi elementi per appassionarci alla vicenda e la trama zoppica un po’ in apertura, tarda a decollare fino a metà del gioco e prende un certo ritmo solo nelle battute conclusive. Da una parte potrebbe essere un rischio calcolato: tenere intenzionalmente il giocatore all’oscuro dei retroscena della guerra civile e lontano dai personaggi principali fino all’ultimo potrebbe valorizzare i colpi di scena finali. D’altro canto, il pericolo di perdere l’attenzione del giocatore è accresciuto dalla mancanza di una meccanica di gioco abbastanza solida e stimolante da tenerlo impegnato nella prima metà dell’avventura e nell’attesa che la trama si evolva. Malauguratamente, il gameplay non offre un cocktail bilanciato come quello di Syberia, gli enigmi non appaiono sempre felicemente integrati e i dialoghi non scorrono altrettanto bene o suonano addirittura sconclusionati. In sintesi, il coinvolgimento emotivo e l’identificazione con la protagonista risultano piuttosto difficoltosi, anche perché l’atmosfera è resa magistralmente attraverso la grafica ma non è sorretta dai raffinati espedienti narrativi cui ci ha abituati Sokal. Solo l’ambientazione esotica e l’inconfondibile tratto dell’artista ci spingono ad andare avanti, per poi giungere a un finale tutto sommato appassionante. La stessa Ann Smith non vanta lo spessore di una Kate Walker: è una donna meno forte e più passiva, per quanto sia la sua situazione a renderla vulnerabile in un paese ostile e sconosciuto, ma il fatto di essere affetta da amnesia non giustifica l’apatia che dimostra nella maggior parte delle situazioni. Raramente esprime i propri pensieri e di conseguenza non riesce a rendere il giocatore partecipe e, anche quando interagisce con gli altri o fa qualche osservazione, non è certo tagliente e ironica come la nostra Kate. Affezionarsi ad altri personaggi del gioco è altrettanto improbabile, perché non se ne ha il tempo materiale: la presenza di molti di essi è puramente strumentale e basterà ingraziarseli a parole o con un favore personale, per poi procedere oltre. Nulla a che vedere col variopinto e originale cast di Syberia, insomma. È un vero peccato perché, al di là dei problemi di gameplay che esporremo più avanti, Sokal ha ideato un universo affascinante come sempre, ma stavolta non ci ha permesso di conoscerlo sufficientemente in profondità.
Punta e clicca... torna indietro e riclicca!
È doveroso premettere che, come la storia, la meccanica di gioco tende a migliorare verso la fine ma è comunque piagata da difetti di progettazione non trascurabili: molti enigmi sono banali o incongruenti e non li si capisce neanche dopo averli risolti, ci sono oggetti che appaiono e scompaiono inspiegabilmente ed eventi innescati arbitrariamente che creano strappi improvvisi nel tessuto narrativo. Ma andiamo con ordine! L’approccio con l’interfaccia di gioco è traumatico, impossibile non menzionarlo prima di ogni altra cosa: dal cursore a forma di sfera spuntano, a seconda del contesto, frecce direzionali per gli spostamenti, una lente per esaminare gli elementi attivi sullo schermo e degli spuntoni per interagire con essi, una pinza per raccogliere oggetti e una trombetta per avviare le conversazioni. Il problema è che le animazioni del cursore sono oltremodo lente e ritardano la ricerca dei punti caldi sullo schermo, spingendo il tanto odiato “pixel hunting” verso frontiere ancora inesplorate (e teniamo a precisare che di caccia ai pixel ce n’è parecchia nel gioco)! Muovendo il puntatore, capita di vederlo trasformarsi due o tre volte senza capire dove si trovino esattamente i relativi “hot spot” ed essere costretti a tornare indietro e battere la schermata a tappeto, tempestandola di clic. Se aggiungiamo a questo qualche bug grafico e problemi di “path-finding”, per cui Ann spesso e volentieri rifiuta di muoversi anche in presenza delle apposite freccine, la conclusione è che l’esplorazione delle ambientazioni diventa presto snervante.
l’approccio con l’interfaccia di gioco è traumatico
Punta e clicca... torna indietro e riclicca!
L’inventario, accessibile col tasto destro del mouse, non è da meno: esaminare e combinare oggetti non è mai stato tanto scomodo. Le descrizioni scarseggiano e lasciano molto a desiderare, il più delle volte Ann non commenta nemmeno gli oggetti che raccoglie e non sappiamo bene cosa farcene. Neppure combinando uno o più oggetti si riceve un riscontro adeguato: l’immagine in inventario cambia impercettibilmente e non sentiamo neanche un suono che confermi se è avvenuto qualcosa o meno. Il motore di dialogo è a scelta multipla e presenta le opzioni di conversazione sotto forma di parole chiave in un piccolo menu visualizzato nell’angolo superiore sinistro dello schermo. Non è sempre possibile esaurire tutti gli argomenti con un personaggio, perché può stancarsi o non essere ben disposto a parlare con noi: in tal caso, scegliendo le domande con cura, riusciremo a prolungare la conversazione coprendo i punti d’interesse o in alternativa potremo cercare di guadagnarci la sua fiducia con un regalo o un piacere. Questo sistema sarebbe apprezzabile, se non fosse che i dialoghi ne risentono a volte, suonando piuttosto slegati e superficiali.
i puzzle non sono mai troppo complessi, una volta superati gli ostacoli dovuti all’interfaccia e all’individuazione dei punti attivi sullo schermo
Punta e clicca... torna indietro e riclicca!
Chi lamentava una scarsa interattività con l’ambiente di gioco in Syberia è avvisato: in Paradise i punti caldi sono davvero pochi e finalizzati esclusivamente alla soluzione degli enigmi. Questi ultimi non sono mai troppo complessi, una volta superati gli ostacoli dovuti all’interfaccia e all’individuazione dei punti attivi sullo schermo. Lo stesso vale per i puzzle meccanici: se non abbiamo idea di come funzioni un macchinario, significa semplicemente che non siamo in possesso di tutte le informazioni necessarie e, una volta ottenute queste, bastano pochi tentativi per trovare la soluzione giusta. Ciononostante, il livello di difficoltà è gonfiato dalla carenza cronica di commenti da parte di Ann e da un estenuante “backtracking”, ovvero la necessità di tornare continuamente sui propri passi per recuperare oggetti o parlare a determinati personaggi, prima di poter avanzare. Segnaliamo anche la presenza di qualche mini-game e tre sezioni di gioco in tempo reale con grafica 3D, in cui ci ritroveremo a controllare il leopardo e che fortunatamente si possono saltare premendo il tasto ESC, non avendo una funzione basilare nell’economia del gioco. Nel complesso, l’avventura si può terminare in 10-15 ore, a seconda dell’esperienza.
Il tocco inconfondibile dell’artista
La grafica è indubbiamente il punto forte di Paradise: non è certo facendo leva sulle più avanzate tecnologie che riesce a conquistare l’occhio dell’osservatore (anche perché si limita a una risoluzione di 800x600), ma attraverso la poesia delle immagini di cui solo un artista come Sokal è capace. Ne abbiamo un assaggio fin dal menu principale che, oltre ai pulsanti per la selezione delle consuete opzioni, sfoggia un leopardo nero animato con maestria e con tanto di manto liscio e lucente e un ruggito di tutto rispetto. Le ambientazioni sono stracolme di dettagli e valorizzate soprattutto dal sapiente utilizzo di luci e ombre, le inquadrature sanno sempre offrire al giocatore un punto di vista privilegiato e spaziano con agilità da ampie panoramiche a primi piani. I fondali bidimensionali pre-renderizzati sono splendidi e impreziositi da una gamma di colori ora caldi e avvolgenti, ora lividi e angoscianti. Gli effetti grafici non abbondano e molti scenari risultano piuttosto statici: tanto per fare un esempio, dopo Syberia, è deludente osservare le pozzanghere che riflettono l’immagine degli oggetti e delle persone circostanti ma che non si scompongono minimamente al passaggio della nostra protagonista sulla loro superficie. Apprezzabili comunque sono gli stormi d’uccelli che attraversano il cielo di tanto in tanto e gli effetti particellari che riproducono la rifrazione della luce solare e la polvere. I modelli 3D dei personaggi non sono eccessivamente dettagliati e le loro animazioni appaiono abbastanza naturali, per quanto soffrano di qualche scatto e non pochi bug grafici, in particolare frequenti collisioni dei modelli tra loro o con l’ambiente circostante. I filmati, per quanto relativamente brevi e non sempre entusiasmanti, sono ben realizzati. La grafica 3D in tempo reale che subentra nelle sezioni di gioco in cui si controlla il leopardo, invece, non è certo all’altezza del resto della produzione e appare visivamente superata.
Il tocco inconfondibile dell’artista
Anche l’audio gioca un ruolo determinante nel costruire l’atmosfera tutta particolare di quest’avventura: ognuna delle quattro ambientazioni principali ha un suo tema musicale distintivo e si passa da suadenti motivi arabeggianti a pezzi ambient con percussioni tribali. Gli effetti sonori sono realistici e convincenti, sopratutto quelli che riproducono i suoni della natura, e abbiamo ammirato in particolar modo l’uso dei giornali radio per tenere il giocatore aggiornato sull’evoluzione del conflitto e accrescere la tensione narrativa. La localizzazione italiana è discreta ma non esente da qualche errorino e le conversazioni suonano un po’ piatte a volte, per quanto non è dato sapere se ciò dipenda dai testi originali o dalla traduzione o ancora dal motore di dialogo stesso. Inoltre, il doppiaggio è professionale ma non sempre ispirato.
Commento finale
Paradise è un titolo che non lascia certo indifferenti ma è anche un titolo contraddittorio: colpisce per la particolarità della storia, per il suo retrogusto amaro e al tempo stesso intrigante e per le vivide ambientazioni create dal genio di Sokal; delude un po’ per la partenza lenta e il passo strascicato, per qualche scelta tecnica infelice e per la meccanica di gioco poco oliata. L’interfaccia tutt’altro che amichevole, i puzzle non proprio memorabili, il backtracking e il pixel hunting selvaggio potrebbero scoraggiare chi si avvicina alle avventure per la prima volta. I fan di Benoît Sokal, dal canto loro, rischiano di restare spaesati al primo impatto con Paradise ma, se gli concederanno tempo, scopriranno che il pedigree dell’avventura in definitiva non mente. Le aspettative erano molte e forse Paradise non è esattamente il capolavoro che avrebbe potuto essere, ma resta pur sempre una produzione sopra la media del genere, irrinunciabile per qualunque appassionato del “punta e clicca”. Più che del capolavoro mancato, però, ha il sapore dell’opera incompiuta: malgrado la maniacale attenzione riversata nei dettagli, il gioco avrebbe senz’altro beneficiato di un’altra bella passata di testing e, al di là dei problemi tecnici e di qualche fastidiosa incongruenza, sembra mancare qualcosa... ma le avventure di Sokal si giocano perché, prima ancora di essere dei giochi, sono delle storie interattive e qui ci troviamo di fronte a un’altra splendida storia raccontata da Sokal.
Pro
- Storia e ambientazione originali
- Grafica seducente
- Il tocco artistico e poetico di Sokal
- Audio realistico e d’atmosfera
- Storia a innesco lento
- Interfaccia fastidiosa
- Gameplay poco coinvolgente
- Bug diffusi
Bentornato, Sokal!
Gli appassionati di avventure grafiche di tutto il mondo l’hanno atteso con trepidazione e, a due anni di distanza dall’epilogo di Syberia, finalmente l’artista belga ci regala un nuovo titolo “punta e clicca”, realizzato dalla sua White Birds Productions: l’ambientazione è cambiata, ma la formula di gioco è la medesima e la firma di Sokal inconfondibile. Non possiamo pretendere di confrontare ogni suo nuovo progetto con il capolavoro per cui abbiamo imparato tutti ad apprezzarlo, ma è pur vero che dopo Syberia le aspettative erano enormi e che i due titoli presentano analogie e differenze che vale la pena di sottolineare, per inquadrare bene questa nuova avventura e riconoscerne al tempo stesso le origini e l’unicità: ancora una volta ci troviamo a impersonare una protagonista femminile piena di risorse, che parte per un lungo viaggio alla ricerca di qualcuno o qualcosa e strada facendo ritrova anche sè stessa; pure questa storia, per quanto molto più cupa, è ambientata in un mondo realistico ma inaspettatamente popolato da creature fantastiche e intriso di mistero e magia, insomma, filtrato dal tratto visionario e dalla fervida immaginazione dell’autore.