Fatal Frame: che nome fantastico per un survival horror in cui si affrontano spiriti maledetti utilizzando una macchina fotografica d'epoca che, come nelle più tradizionali storie di fantasmi, è in grado non solo di imprimere su pellicola l'aspetto degli ectoplasmi, ma in questo caso anche di assorbire la loro energia, infliggendogli danni a ogni scatto fino a disperderli. Assurdo che sia stato cambiato in "Project Zero" in Europa a causa - si dice - di un banale errore di traduzione.
Non c'è alcun dubbio che le fonti d'ispirazione di Makoto Shibata, che questa serie l'ha creata nel 2001 su PlayStation 2, siano terribilmente affascinanti: case infestate, addirittura isole invase da presenze oscure come nel quarto capitolo del 2008 o montagne maledette, quelle che abbiamo visto nel più recente Maiden of Black Water. Fatal Frame attinge con avidità e scaltrezza alle leggende del folklore giapponese e oggi, proprio come uno spirito inquieto, desidera tornare.
Un percorso che passa dalla riproposizione dei migliori episodi usciti finora per riaccendere gli entusiasmi, riproposizione che nel caso di Fatal Frame 4 era d'obbligo vista la sua grande popolarità. Tuttavia, quanto pesa la nostalgia e quanto la concretezza nella realizzazione di questa remaster? L'incubo è rimasto lo stesso o ha perso la capacità di incutere timore dopo tutto questo tempo?
Stanza buia e torcia elettrica puntata sul viso dal basso, vi raccontiamo com'è andata nella recensione di Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse.
Storia: un incubo dal passato
La storia di Mask of the Lunar Eclipse ruota attorno a cinque ragazze che condividono un'esperienza traumatica: quand'erano ancora delle bambine, sono state rapite da un uomo e condotte in una caverna, sull'isola di Rogetsu, affinché prendessero parte a un misterioso rituale. In quell'occasione un poliziotto le ha tratte in salvo, ma alcuni anni dopo il dramma riemerge e due di loro vengono ritrovate morte, apparentemente per un suicidio.
Le superstiti del gruppo, Madoka Tsukimori e Misaki Aso, sentono il bisogno di fare chiarezza su quanto accaduto e decidono dunque di recarsi nuovamente sull'isola, che dopo la diffusione di una inspiegabile epidemia è finita deserta e in rovina. Gli spiriti che abitano questo luogo attendevano però il loro ritorno e, nonostante il supporto della leggendaria Camera Obscura, riescono a intrappolarle in un limbo fra la vita e la morte.
Tocca dunque all'ultima rimasta, Ruka Minazuki, prendere un traghetto per Rogetsu, rigorosamente di notte, e tornare nell'albergo abbandonato dove tutto ha avuto inizio e in cui le sue amiche sono rimaste bloccate. Contemporaneamente, però, anche il poliziotto che aveva salvato le ragazze si ritrova sull'isola, munito di una torcia elettrica con gli stessi poteri della Camera Obscura.
È dunque una trama corale e sfaccettata quella che viene raccontata dal gioco, che fra i numerosissimi riferimenti alle storie di fantasmi nipponiche inserisce una vicenda dai tratti disturbanti, che si rivela man mano attraverso i documenti e le testimonianze lasciate dalle persone che sono venute in contatto con il male oscuro che abita le case di Rogetsu e non sono sopravvissute per raccontarlo.
La direzione del gioco, firmata dal già citato Makoto Shibata, mette in campo tutti gli espedienti tipici di questo genere di produzioni, facendo comparire i fantasmi alle spalle dei protagonisti, nel riflesso di uno specchio oppure nell'incedere lento da una porta che si apre cigolando. Come abbiamo scritto nel provato di Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse, le sequenze risultano meno impattanti rispetto al più recente Maiden of Black Water, ma l'atmosfera non manca.
Si tratta di un aspetto fondamentale per un survival horror tradizionale come questo, che la remaster rilancia in maniera efficace, costruendo situazioni terrificanti e un grande senso di tensione anche grazie a un sound design che ancora oggi funziona a meraviglia. Peccato però che non siano stati fatti passi in avanti sul fronte della localizzazione nella nostra lingua, visto che i dialoghi del gioco sono in giapponese e i sottotitoli in inglese.
Il gameplay di Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse
Se storia, personaggi (per quanto stereotipati e vestiti in maniera improbabile), direzione e atmosfere hanno retto molto bene il peso degli anni, sul piano del gameplay l'esperienza offerta da Mask of the Lunar Eclipse risulta purtroppo parecchio datata e legnosa, con un sistema di movimento che in confronto i carri armati sembrano delle agili ballerine, e che non è stato modificato rispetto all'originale se non nell'introduzione di un layout alternativo opzionale.
Esplorare gli edifici abbandonati che fanno da sfondo alla campagna si rivela dunque una pratica lenta e macchinosa, qualcosa a cui bisogna abituarsi con pazienza ma che svolge un ruolo concreto durante gli scontri con i fantasmi, che avvengono attivando una visuale in prima persona e si svolgono spesso all'interno di spazi angusti, pieni di ostacoli contro cui non mancheremo di sbattere nel disperato tentativo di costruire un po' di distanza e avere dunque il tempo di azionare la Camera Obscura.
Ecco, se su Wii questo meccanismo poteva contare sulla novità dei controlli a rilevazione di movimento, che aggiungevano un minimo di freschezza a un impianto che già ai tempi appariva vetusto, su PC, PlayStation e Xbox tale caratteristica, ovviamente, non è presente e bisogna arrangiarsi con gli stick analogici come in una sorta di lentissimo sparatutto in cui ogni ricarica richiede diversi secondi. La versione Nintendo Switch, che non abbiamo avuto il piacere di provare, include invece un'opzione per attivare il giroscopio e offrire così un gameplay più vicino alla visione originale.
Strutturalmente c'è poco da dire, nel senso che la progressione è quanto di più tradizionale ci sia nell'ambito di un survival horror, con porte chiuse che vanno aperte dopo aver trovato una chiave, evento questo che nella maggior parte dei casi dà vita a un incontro ravvicinato e dunque a un combattimento che potremo portare a termine sfruttando anche gli eventuali potenziamenti della fotocamera, nonché rullini dotati di una maggiore energia. Attenzione ai salvataggi, perché non esistono checkpoint.
Realizzazione tecnica: texture dell'orrore
Si è parlato molto spesso della differenza fra remake e remaster e di come nel secondo caso gli sviluppatori si limitino ad adeguare risoluzione e frame rate agli standard attuali, agendo eventualmente anche sull'effettistica, ma lasciando intatto l'impianto tecnico originale del gioco in termini di geometrie, animazioni e, molto spesso, texture.
Queste ultime risultano in effetti adeguate alle atmosfere di Mask of the Lunar Eclipse, visto che fanno letteralmente spavento, pixellose come poche, e su PC non è possibile migliorarle in alcun modo anche per via delle pochissime regolazioni presenti. Che il tutto giri a 4K e 60 fps con i preset migliori sulla configurazione di prova lo davamo per scontato, ma non migliora il quadro di una grafica davvero datata.
Sia chiaro: aspettarsi di più da questa riedizione non sarebbe stato giusto, appunto perché si tratta di una semplice remaster confezionata per riaccendere i riflettori sulla serie di Fatal Frame in vista di un eventuale nuovo capitolo, ma cercare poi di venderla a 49,99€ non ci sembra la strategia migliore del mondo; anche perché su Steam bastano 10 euro in più per acquistare il remake di Resident Evil 4, e parliamo di due titoli dal valore produttivo leggermente diverso.
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- Processore: Intel Core i5 13500
- Scheda video: NVIDIA RTX 3070
- Memoria: 32 GB di RAM
- Sistema operativo: Windows 11
Requisiti minimi
- Processore: Intel Core i5 4460
- Scheda video: NVIDIA GTX 660, AMD R7 370
- Memoria: 4 GB di RAM
- Storage: 25 GB di spazio richiesto
- Sistema operativo: Windows 10, Windows 11, 64 bit
Requisiti consigliati
- Processore: Intel Core i7 4770
- Scheda video: NVIDIA GTX 960, AMD RX 570
- Memoria: 8 GB di RAM
- Storage: 25 GB di spazio richiesto
- Sistema operativo: Windows 10, Windows 11, 64 bit
Conclusioni
Project Zero: Mask of the Lunar Eclipse riesce ancora oggi ad affascinare sul piano artistico e narrativo, forte di una trama inquietante e disturbante che attinge in maniera efficace all'immaginario delle leggende e del folklore nipponico per condurci su di un'isola maledetta dove, diversi anni prima, si è consumata un'assurda tragedia. Il racconto funziona e coinvolge grazie alle sue atmosfere, ma sul piano delle meccaniche, della struttura e della realizzazione tecnica sente tutto il peso di questi quindici anni e anche qualcosa di più.
PRO
- Grande atmosfera, immaginario affascinante
- Storia coinvolgente e disturbante
- In alcuni frangenti funziona ancora bene
CONTRO
- Estremamente datato in termini di gameplay, struttura e grafica
- Controlli davvero macchinosi
- Prezzo fuori dal mondo dei vivi