Leggenda
Soul Calibur per Dremcast, uscito nel 1999, è forse l’ultimo, grande tradizionale picchiaduro ad aver segnato un’epoca: non solo esaltò come pochi altri le capacità della piattaforma su cui venne sviluppato, ma catalizzò l’attenzione dei giocatori di tutto il mondo come un picchiaduro, appunto, non avrebbe più fatto. Il lavoro svolto da Namco fu eccezionale: meccaniche solide, profonde, una grafica superlativa, uno stile unico e un’atmosfera incantevole, oltre che una caratterizzazione dei personaggi – e relativo inventario – studiata nei minimi dettagli. In Soul Calibur ogni ingranaggio funzionava perfettamente ed era piazzato al posto giusto; nei vari seguiti, nonostante l’alta qualità, quell’equilibrio non fu più raggiunto. Dal gioco che scaturisce la leggenda si passò alla leggenda che nutre, alimenta e sostiene il gioco, un processo fin troppo conosciuto in questa branca dell’intrattenimento. Soul Calibur Legends non ha niente da spartire col carisma del suo progenitore: i personaggi inseriti in questo spin off sono tanti, al ruolo di protagonista è assurto Siegfried, non mancano Ivy, Taki, Mitsurugy né Sophitia, sono utili a richiamare l’attenzione dei fan, ma introdotti senza troppo rispetto per il passato, con motivazioni a dir poco pretestuose, reliquie che hanno perso le proprie connotazioni simboliche, residui svuotati di significato e malamente assemblati. Spogliati del loro background e inseriti in un contesto fantasy-storico mal fabbricato, in un intreccio dagli sviluppi quasi comici – i cui picchi in negativo arrivano con le battute di spirito di Leonardo Da Vinci versione manga – questi personaggi rappresentano un’esca per gli appassionati, ma anche il motivo per cui in ogni momento ci si ricorda di quanto Legends sia sideralmente lontano da Soul Calibur.
Scuotere, affondare e tagliare
I controlli tramite Wiimote sono uno degli aspetti migliori del gioco: Namco ha sfruttato a dovere la sensibilità della rilevazione degli spostamenti, che, almeno per una volta, non risultano un semplice surrogato dei pulsanti. Siamo ben lontani dai sognati movimenti 1:1 – e, vista la presentazione del Motion Plus, probabilmente non per colpa di Namco – ma le varie azioni sono ben studiate: affondo, fendente orizzontale da sinistra a destra e da destra a sinistra, verticale dal basso all’alto e dall’alto al basso, si eseguono tutti effettuando un’uguale mossa attraverso il telecomando (stessa cosa per i repentini scatti del personaggio, che si formulano allo stesso modo ma con l’ausilio del Nunchuk). Oltre all’emulazione dei movimenti, che implicitamente aumenta il coinvolgimento (oltre che il sudore), i controlli funzionano egregiamente perché, attraverso il semplice spostamento della coppia Wiimote-Nunchuk, garantiscono una quantità di mosse difficilmente equiparabile con dei pulsanti. Lo sfruttamento delle potenzialità del Wii, tuttavia, fallisce nel passaggio successivo: il rigido schematismo imposto negli anni dai vecchi pad è stato parzialmente superato, ma l'impatto ludico di questa evoluzione è minimo. Paradossalmente la profondità resa possibile dal Wiimote si dimostra inutile, perché, se non in qualche semplice enigma, è del tutto indifferente eseguire un colpo piuttosto che un altro.
Percorso della salute
I personaggi, sul piano ludico, sono ben differenziati: le statistiche influenzano pesantemente le azioni, nonostante la formulazione delle mosse sia comune a tutti. I combattenti, così come le loro abilità, sono quindi realizzati con cura: sembrano non esserlo solo perché non ci sono nemici capaci di valorizzarne le qualità, appiattendo così quelle che sarebbero potute essere delle interessanti diversificazioni. I vari stage sono anonimi quanto gli avversari, purtroppo senza eccezioni: dei percorsi schematici che dall’uno all’altro variano soltanto per lunghezza e aspetto visivo. Corridoi e arene sono artificialmente regolari, e nonostante questo estremamente semplici e lineari; andando avanti nell’avventura vanno anche ripercorsi più volte, e non annoiarsi prima della fine è molto difficile, anche perché lo sviluppo delle armi, interessante in via teorica, ha poche ripercussioni a livello pratico. Scarsa personalizzazione dei personaggi, tragitti scontati, minima diversificazione dei nemici, poco carisma: Soul Calibur Legends non brilla in nessuno degli aspetti fondamentali per un hack’n’slash. Si salva solamente il multiplayer, che permette di rivisitare certi stage in compagnia di un altro combattente, e, si sa, la condivisione dell’esperienza è talmente magica e soggettiva che potrebbe, a seconda delle esigenze, allungare a dismisura l’esperienza ludica. In questo campo, da sempre terreno fertile per i picchiaduro a scorrimento, appare fuori posto unicamente lo scontro tra giocatore e giocatore, che evidenzia come i personaggi non siano stati studiati per duellare tra loro. Tecnicamente il gioco non eccelle, appare piatto sia sul piano visivo che su quello sonoro, fatta eccezione per i buoni modelli poligonali dei protagonisti.
Commento
In Soul Calibur Legends l’aspetto più curato è il sistema di controllo: i comandi via Wiimote e Nunchuk sono facili ed intuitivi, introducono una stratificazione ludica purtroppo mal sfruttata dal gioco, che presenta nemici poco differenziati e ambientazioni schematiche. Un hack’n’slash piatto, in cui la personalizzazione dei protagonisti è limitata, la componente tecnica insoddisfacente e l’unico elemento che anima l’azione è il multiplayer cooperativo.
Pro
- Personaggi ben diversificati
- Divertente multiplayer cooperativo
- Ottimi controlli...
- ... ma poco sfruttati
- Livelli ed enigmi banali
- Ripetitivo
- Povero tecnicamente