Le due ore e mezza de L'ascesa di Skywalker sono volate e ora è difficile articolare idee e considerazioni in una recensione che deve aggirare ogni genere di spoiler, trasmettere le sensazioni provate e spiegare come J.J. Abrams sia riuscito a tagliare il traguardo nonostante tutte le turbolenze sulla rotta. Ci proveremo nelle prossime righe, pur sapendo che Episodio IX sarà un altro Star Wars fortemente divisivo. Come dicevamo proprio ieri nella nostra rassegna dei momenti memorabili, il mondo è cambiato molto negli ultimi anni. I tempi si sono fatti più cupi e forse abbiamo perso la nostra ingenuità, la capacità di meravigliarci e lasciarci trascinare dall'entusiasmo. Non aiuta neppure il fatto che Disney abbia saturato il panorama con praticamente un film all'anno, trasformando in un appuntamento scontato quell'evento che in passato si verificava ogni tot di anni e che si accoglieva sempre come fosse una gran festa.
Che girare questa nuova trilogia non sia stato facile dovrebbe essere ormai chiaro a tutti. Basti pensare al passaggio del timone da J.J. Abrams a Ryan Johnson e poi di nuovo ad Abrams dopo l'abbandono di Colin Trevorrow, alla tragica scomparsa di Carrie Fisher, alle condizioni imposte da Harrison Ford che, finalmente, è riuscito a sbarazzarsi del fardello di Han Solo. E che sia mancata una visione d'insieme, una lungimiranza complessiva, si evince anche e soprattutto in questo finale che miracolosamente riesce a chiudere il cerchio su quella favola spaziale cominciata nel 1977, quando era tutto più semplice. E infatti è proprio quando L'ascesa di Skywalker torna alla semplicità della lotta tra il bene e il male che Star Wars riemerge prepotente sullo schermo, ti cattura e ti trascina in un vortice di emozioni, facendoti sentire a casa, facendoti sentire al sicuro. Perché in fondo Star Wars è sempre stato quello, la favola della buonanotte che ci piaceva ascoltare da bambini, con una capacità tutta sua di parlare al fanciullo interiore che qualcuno possiede ancora.
Un film che sembrano due
L'ascesa di Skywalker si può dividere idealmente in due parti. La prima è quella che soffre maggiormente il cambio alla regia. Gli ultimi Jedi ha spaccato in due il pubblico: c'è chi lo ama e chi lo odia senza appello, ma tutti concordano sul fatto che ha battuto nuove strade, laddove Episodio VII se la giocava quasi completamente sul fattore nostalgia per conquistare una nuova generazione di fan e riconquistare quelli vecchi. Episodio IX, invece, fa come un passo indietro. Le cose sono due: Abrams non ha apprezzato le scelte di Johnson, oppure ha preferito viaggiare lungo una rotta molto più sicura, a costo di disfare quanto imbastito dal precedente regista. Così ci ritroviamo col ritorno dell'Imperatore tra capo e collo, annunciato dall'introduzione scorrevole senza troppe cerimonie. Sapevamo benissimo che Palpatine sarebbe tornato perché negli ultimi mesi non si è parlato d'altro, dopo che Ian McDiarmid è salito sul palcoscenico della scorsa Star Wars Celebration, ma la sua ricomparsa avrebbe avuto bisogno di maggior respiro.
Ora probabilmente saranno in molti a lamentarsi della scelta, apparentemente poco originale, di riesumare Darth Sidious, tuttavia va detto che l'Imperatore è sempre stato la quintessenza del male nella saga degli Skywalker, e che la sua ombra non si è mai dissolta del tutto: ha continuato a riemergere tra le righe dei romanzi ufficiali, come la trilogia Aftermath che risale a prima di Episodio VII, e anche molti anni fa è tornato più volte a perseguitare i nostri eroi nell'Universo Espanso che oggi chiamiamo Legends. Palpatine ha tramato alle spalle degli Skywalker per due generazioni, perciò era solo naturale che Star Wars dovesse fare i conti con lui un'ultima volta prima di chiudere il cerchio e consegnare definitivamente il testimone ai nuovi eroi. Il suo ritorno, per quanto arbitrario, non ci è affatto dispiaciuto, ma la prima metà del film ruota tutta intorno alla ricerca del pianeta in cui si nasconde l'Imperatore e agli strumenti necessari per raggiungerlo.
E così i nostri eroi - e soprattutto Rey, che nel frattempo si è addestrata insieme a Leia - schizzano da un pianeta all'altro, inseguendo una serie di obiettivi che fanno sembrare il film un vero e proprio videogioco. In questa prima ora e mezza di pellicola succedono troppe cose e troppo in fretta: la sceneggiatura travolge lo spettatore sciorinando informazioni a una velocità impressionante, in modo da stabilire un nuovo status quo nel minor tempo possibile e, così facendo, aggirare i grattacapi lasciati da Johnson nelle mani di Abrams. Sarà che siamo abituati a leggere fumetti Marvel e i retcon non ci spaventano più, ma alcune di queste correzioni ci sono sembrate quasi delle stilettate alla gestione di Johnson e specialmente alle peculiari, coraggiose e controverse decisioni che il regista aveva preso riguardo a certi personaggi molto amati. L'ascesa di Skywalker, ovviamente, torna sulla spinosa questione di Rey e delle sue origini, e lo fa con un colpo di scena a prima vista stucchevole che, tuttavia, si trascina dietro un messaggio di significativa importanza che rientra perfettamente nella filosofia che muove gli ingranaggi di Star Wars.
Mettiamola così: se ci fosse stata una maggiore coordinazione ai vertici, una supervisione più oculata, forse le cose sarebbero andate diversamente. Sarebbe bastato ridurre la durata dell'inseguimento e della sottotrama nel pianeta di Canto Bight durante Gli ultimi Jedi per imbastire già in quel film la caccia ai McGuffin che si svolge nella prima parte de L'ascesa di Skywalker. In questo modo, la coda della trilogia si sarebbe sviluppata in un modo molto più organico e coeso, e forse devono essersene resi conto pure alla Disney, visto che recentemente hanno affidato il futuro di Star Wars alle mani capaci di Dave Filoni - la mente dietro alla rete narrativa formata da The Clone Wars, Star Wars Rebels e ora The Mandalorian - e Kevin Feige, l'uomo che ha costruito il Marvel Cinematic Universe. C'è da dire che in questa prima metà un po' schizofrenica, L'ascesa di Skywalker ricorda quello Star Wars che ci ha fatto innamorare della saga quando ancora la chiamavamo Guerre Stellari: c'è una banda di eroi che è quasi una famiglia, c'è umorismo, c'è spavalderia, c'è fantasia, c'è una gran varietà di scenari e situazioni.
Eroi, marrani e le vie di mezzo
Nulla da ridire su un cast ormai affiatato che fa leva su un'altra caratteristica fondamentale di Star Wars: i personaggi. Possiamo capire che per alcuni non è stato facile accogliere questa nuova generazione, e noi stessi ci siamo avvicinati con diffidenza a Rey, Poe, Finn e gli altri, ma nel corso del tempo - e grazie anche al sussidio offerto da fumetti e romanzi, bisogna dirlo - ci siamo affezionati tantissimo a ciascuno di loro, compreso il famigerato Kylo Ren. Se c'è una cosa che L'ascesa di Skywalker fa davvero bene, è aiutarci ad apprezzare ancora di più la caratterizzazione di questi personaggi. Adam Driver, che proprio in questi giorni sta macinando consensi a più non posso con la sua straordinaria interpretazione in Storia di un matrimonio, riesce a trasmettere con grande intensità il tormento di un villain che non potrebbe esistere senza la talentuosa Daisy Ridley a fargli da contraltare. Un'eroina, Rey, che è diventata sempre più tridimensionale e che in questo Episodio IX completa finalmente il suo percorso con buona pace di chi ci ha visto soltanto becero femminismo.
Poe Dameron assume finalmente un ruolo di primo piano, dopo essersi timidamente fatto avanti ne Gli ultimi Jedi, inanellando figure barbine ogni cinque minuti. Ritroviamo Oscar Isaac calato completamente nella parte del manigoldo, dello "scoundrel", la controfigura di Han Solo che ravviva ogni scena con le sue battute e la sua sfacciataggine. Gli fa da spalla Finn: l'ex assaltatore è scivolato sempre più in secondo piano dopo il picco raggiunto in Episodio IX col suo combattimento contro Phasma e dobbiamo ammettere che nel nuovo film John Boyega è stato relegato quasi a un ruolo da macchietta. E nonostante ciò, i tre riescono a trasmettere la convincente sensazione di essere una piccola famiglia che si è trovata proprio come accadde a Luke, Leia e Han tanti anni prima, e che si appoggia a due pilastri solidi: Chewbacca e il Millennium Falcon, ormai più un vero personaggio che un'astronave. Immancabili i droidi, specialmente un C3-PO in stato di grazia che ci accompagna per quasi tutto il film, protagonista di una sottotrama riuscita ed esilarante.
Per quanto riguarda le vecchie leve, invece, non vi diremo come Abrams ha gestito la dipartita di Carrie Fisher per non rovinarvi la sorpresa. Il regista non ha impiegato computer grafica o controfigure per girare le scene di Leia e dobbiamo ammettere che ha funzionato tutto a meraviglia. Un po' forzato, invece, il ruolo di Billy Dee Williams: Lando Calrissian torna in scena quasi soltanto perché mancava soltanto lui all'appello. La sua presenza è determinante in un momento chiave della storia, ma allo stesso tempo soffre di quella necessità di richiamare a tutti i costi la trilogia classica. È stato bello rivederlo, sebbene sia forse la parte meno convincente del cast, anche meno delle due nuove comprimarie che hanno pochissimi minuti in scena: Zorri Bliss e Jannah. Dispiace, invece, che la dolcissima Kelly Marie Tran sia finita nel dimenticatoio, soprattutto dopo tutto quello che l'attrice ha passato per aver interpretato Rose Tyco ne Gli ultimi Jedi: il nuovo film sembra proprio aver accantonato il legame sentimentale che aveva stretto con Finn. Deludenti, invece, i famigerati cavalieri di Ren che, nonostante la presenza scenica non indifferente, hanno un ruolo completamente marginale.
La chiusura perfetta?
Insomma, messa giù così può sembrare che la prima metà non funzioni, ma in realtà è vero l'opposto: è frizzante, intrattiene, avvince, complici anche la colonna sonora straordinaria di John Williams che riarrangia praticamente ogni singolo brano nella storia della saga, gli attori sempre sul pezzo, il montaggio frenetico che, sì, come abbiamo detto poteva avere un ritmo migliore, ma d'altra parte stimola la curiosità dello spettatore e lo tiene continuamente sulle spine. Inutile dire che gli effetti speciali sono allo stato dell'arte e che J.J. Abrams continua a prediligere l'uso di animatronic, trucco e costumi alla pura e semplice computer grafica. Abrams, lo sappiamo tutti, è un volpone. I suoi ammiccamenti sono leggendari e L'ascesa di Skywalker è un tripudio di fanservice, a volte ben piazzato, a volte un po' troppo sfacciato. Ci sono alcune scene, soprattutto negli ultimi minuti, che ci hanno fatto inarcare le sopracciglia, dialoghi che magari potevano essere meno stucchevoli, un umorismo che in certi momenti sarebbe dovuto essere dosato meglio.
Però, ragazzi, e ve lo diciamo col cuore, Star Wars ha sempre avuto tutto ciò. Leggendo i commenti in rete negli ultimi mesi, abbiamo notato una specie di idealizzazione generale, un effetto Mandela preoccupante che ricorda Star Wars come una storia profonda, adulta e stratificata che soltanto nelle mani della Disney è diventato un prodotto commerciale che punta soprattutto ai bambini. Eppure Star Wars aveva un triangolo amoroso da soap opera già nel 1980, gli Ewok nel 1983, Jar Jar Binks nel 1999 e così via. George Lucas voleva raccontare una favola piena di speranza, puntando su un messaggio di una semplicità disarmante quanto potente, e questa morale è che nessuno è mai perduto e tutti sono sempre in tempo a fare un passo indietro e a volgere le spalle al male. Star Wars, nella sua essenza più pura, è una space opera fantasy che parla della lotta tra il bene e il male in cui il bene prima o poi vince sempre: George Lucas ha girato un'intera trilogia prequel per farci capire come l'universo, attraverso la Forza, raggiunga da solo un proprio equilibrio, anche a costo di metterci intere generazioni.
L'ascesa di Skywalker torna a martellare su questi temi da una prospettiva, quella di Rey, che nonostante i retcon summenzionati ha un risvolto geniale e significativo. Al messaggio di speranza, positività e ottimismo che Star Wars ha sempre voluto trasmettere - diamine, il primo film è sottotitolato proprio così: Una nuova speranza - L'ascesa di Skywalker ne aggiunge un altro di capitale importanza sulla percezione che ciascuno deve avere di sé. Anche questo, in fondo, è un messaggio banale: ognuno è artefice del proprio destino, ognuno decide a chi appartiene, il sangue non conta assolutamente niente. E ci arriva con una battaglia spaziale imponente che mozza il fiato - a proposito, la famigerata cavalcata sullo Star Destroyer ha più senso di quanto facessero credere i trailer - e alcuni tra i migliori duelli con le spade laser nella storia della saga. Quello tra i ruderi della seconda Morte Nera, intravisto nel trailer, colpisce per la sua semplice brutalità, e Abrams è riuscito a sfruttare i poteri metafisici della Forza in modo creativo, sebbene sia necessario sospendere l'incredulità un po' più del solito per godersi pienamente queste splendide scene d'azione. Ma sospendere l'incredulità è il minimo sindacale che si chiede a un essere pensante che entra in un cinema per vedere una storia ambientata in una galassia lontana lontana con quattro puntini di sospensione invece di tre.
Conclusioni
Multiplayer.it
8.0
L'ascesa di Skywalker è un film con un ritmo strano e alcune scelte discutibili. J.J. Abrams avrebbe potuto calcare un po' meno la mano sul fanservice e ci sono piccoli e grandi difetti che faranno discutere per anni e anni gli appassionati. Però è anche tutto quello che Star Wars ha sempre voluto essere: è avvincente, divertente, emozionante, e conclude la saga in maniera soddisfacente, magari riuscendo anche a commuovere qualche vecchio stolto che trova ancora la forza e il coraggio di entusiasmarsi per due spade laser che si incrociano e un fantasma che ci ricorda la parte migliore di noi stessi.
PRO
- Daisy Ridley e Adam Driver
- La fotografia, la coreografia, la colonna sonora
- I messaggi che vuole trasmettere a vecchie e nuove generazioni di fan
CONTRO
- La prima metà è densa e frettolosa
- Alcuni personaggi sono molto meno sfruttati di altri
- Momenti di eccessivo fanservice