L'appuntamento ormai annuale con il circo degli orrori di Supermassive torna a colpire anche sul finire di questo 2022. Si appresta ad arrivare sul mercato The Devil in Me, ultimo capitolo in ordine di tempo per quanto riguarda la Dark Pictures Anthology pubblicata da Bandai Namco. Sul finire di questi tre anni di progetto e con un occhio proiettato al futuro del brand, nella recensione di The Dark Pictures Anthology: The Devil in Me siamo pronti a darvi il nostro giudizio su quest'ultimo horror, a metà tra l'innovazione e la volontà di rifinire quanto già sperimentato in precedenza.
H. H. Holmes
The Devil in Me parte da un presupposto tra i più interessanti della serie. Abbandoniamo apparentemente le tinte sovrannaturali, mettiamo da parte leggende e folklore territoriale e torniamo così agli albori del concetto stesso di serial killer. La storia di questa nuova opera di Supermassive prende infatti l'avvio nel 1892 nel corso dei festeggiamenti per l'esposizione organizzata a quattrocento anni dalla scoperta dell'America.
Proprio nel bel mezzo della manifestazione in quel di Chicago, tale Henry Howard Holmes compì una serie di omicidi (si dice siano circa duecento le vittime accertate), nonostante poi sia stato processato e condannato a morte solo per una manciata di questi efferati gesti. Si tratta del primo serial killer americano, quantomeno documentato, che da più di un secolo rimane punto fermo delle storie e della cultura americana, certamente più di quanto non abbia fatto da noi nel vecchio continente.
Ai giorni nostri una sgangherata troupe sull'orlo del fallimento viene invitata da un misterioso uomo facoltoso a visitare e filmare i luoghi nei quali ha riprodotto il Castello degli Orrori di Holmes, potendo così creare uno show mozzafiato in grado di dare respiro a tutta la produzione e alle sue maestranze. Nel corso delle (troppe) ore necessarie a portare a termine l'avventura, con una durata che può spaziare dalle sei alle otto ore in base alle difficoltà incontrate e alla volontà di scoprire quanto più possibile, i protagonisti si ritroveranno nel bel mezzo del loro incubo peggiore, alle prese con qualcuno che non vuole solo citare un personaggio così scomodo, ma anche emularlo.
Non è il presupposto che manca a The Devil in Me, quanto piuttosto tutta una costruzione narrativa che, e lo diciamo con grade rammarico, fa acqua da tutte le parti. I cinque protagonisti - Charlie, Mark, Erin, Jamie e Kate - non riescono mai davvero a fare breccia nel cuore dei giocatori, al punto che difficilmente si riesce a empatizzare con loro e cercare di salvarli si dimostra solo un esercizio di astuzia, piuttosto che un vero e proprio "affetto" nei loro confronti. Questo aspetto rappresenta una problematica importante per un titolo che fa della narrazione la sua costante primaria. Ancor di più questa volta avendo scelto di ridurre all'osso le scene d'azione e nelle quali tenere i riflessi pronti, centellinando i QTE e puntando tutto su esplorazione e ricerca di oggetti e indizi.
Non riesce la figura di Holmes a reggere il peso dell'intera avventura, un po' per la natura di pallida imitazione, un po' perché le regole dello slasher - importante genere cinematografico nel quale (solitamente) un assassino rappresenta la principale minaccia che bracca e uccide i protagonisti - sono cambiate profondamente nel corso degli anni; altrettanto perché l'esplorazione è fine a sé stessa e al ritrovamento di una serie di documenti senza i quali la storia quasi non esiste. Seppur giustificato narrativamente, questo aspetto richiederebbe uno sforzo di scrittura e caratterizzazione sopraffini, che però in questo caso manca quasi del tutto e che la lentezza e la poca mole di momenti davvero spaventosi non fanno che amplificare in negativo.
È un peccato constatare che The Devil in Me tradisce proprio lì dove avrebbe potuto fare la differenza rispetto al passato, senza per questo diventare un'esperienza da buttare, ma che difficilmente riesce a mantenere alta l'attenzione del pubblico.
Gameplay vecchio e nuovo
Parlando dell'aspetto puramente ludico, The Devil in Me non sorprende di certo. Chi ha avuto esperienza con la serie antologica di Supermassive sa perfettamente come la formula resti sostanzialmente invariata, andando però di volta in volta ad ottimizzare il gameplay e a implementare qualche nuova meccanica. Se House of Ashes aveva finalmente dato ampi spazi di manovra e movimento al giocatore, qui si è optato per una libertà di esplorazione ancor maggiore e per la ricerca di una serie di indizi, codici e pertugi utili a proseguire nella propria fuga dal Castello.
All'atto pratico questa volontà si traduce nella ricerca spasmodica di una soluzione al successivo impasse logistico, il tutto nel susseguirsi forsennato di cambi di scena e punti di vista all'interno dell'impossibile level design del Castello. Che si tratti del regista Charlie, della fonica Erin, dell'operatore Mark, dell'elettricista Erin o della protagonista dello show Kate, come sempre tutti potranno essere salvati o uccisi, in classico stile Supermassive. Purtroppo da questo punto di vista dobbiamo segnalare qualche problematica.
Spesso e volentieri, nelle poche scene davvero rischiose presenti nel corso della campagna, sarà sufficiente una singola scelta - più o meno logica - per condurre il vostro personaggio a una morte prematura. Potrebbe quasi far sembrare che questo aspetto innalzi il grado di sfida e la rigiocabilità, ma purtroppo finisce più per creare frustrazione. Non vogliamo rovinarvi alcuna scena del gioco e per questo terremo per noi gli eventi, ma siamo certi che quando vi troverete ad affrontare queste situazioni comprenderete al meglio le nostre parole.
La libertà di movimento e le zone leggermente più aperte rispetto ai precedenti capitoli ci sono piaciuti davvero tanto, anche al netto di un sistema di animazioni e di controllo che definire anacronistici sarebbe un complimento. Quel che però proprio non gira nel modo giusto è la continua ricerca di elementi per avanzare che alla fine si risolvono sempre nella necessità di utilizzare uno degli oggetti specifici dei personaggi o di ritrovarne uno nuovo adatto allo scopo. Non fatevi quindi ingannare dalla durata sostanzialmente più alta rispetto agli altri capitoli, perché in questo caso si tratta spesso di una longevità artificiosa e che tende anche a risultare frustrante in talune situazioni.
Tutto questo non esclude la bontà del progetto in sé e la coerenza con tutta la serie antologica di Supermassive, che quindi potrebbe tranquillamente accontentare e appassionare il grande fan. Ci sarebbe semplicemente piaciuto che l'amalgama tra la narrazione e il gameplay fosse migliore e che si percepisse in modo netto la conferma di un lavoro sensato per svecchiare le meccaniche.
Segnaliamo che come sempre non mancano segreti, collezionabili e premonizioni, da sempre alla base di questa saga e di tutto il lavoro del team.
Alti e bassi tecnici
Dal punto di vista tecnico The Devil in Me non si discosta molto da quanto abbiamo già visto. Il motore si comporta bene e alcuni ambienti e situazioni, soprattutto quando l'immagine viene ripulita dalle sporcature in tempo reale, rimandano al giocatore un lavoro importante di ricostruzione del castello e alcune atmosfere davvero ben riuscite.
Non si può negare una importante ripetitività negli ambienti, figlia della location e dei limiti strutturali di un'avventura che continua comunque a rivelarsi sostanzialmente lineare, seppur più aperta nell'esplorazione. Purtroppo non si raggiungono gli alti della parte finale di House of Ashes, e quel guizzo artistico non lo ritroverete mai in The Devil in Me.
Come nota di colore possiamo dirvi che abbiamo avuto modo di giocare parte dell'avventura anche su Steam Deck e, al netto di un po' di accortezze tecniche e della preferenza nel frame rate fisso a 30fps, il gioco si è comportato più che bene anche in quest'occasione.
Conclusioni
The Devil in Me poteva essere la perla finale del poker calato da Supermassive in questi anni con la Dark Pictures Anthology e invece finisce per crollare sul peso delle sue stesse ambizioni. È davvero un peccato, perché sarebbe bastata qualche accortezza in più dal punto di vista autoriale e una durata complessiva più contenuta per confezionare la ciliegina sulla torta di un progetto che ha regalato interessanti vibrazioni. Sarebbe stupido non consigliarne l'acquisto a chi ha seguito tutto il processo e ancora non si è stancato della formula. Al contrario chi pensava di trovare in The Devil in Me un salto generazionale importante per Supermassive può tranquillamente alzare bandiera bianca, un po' come è capitato anche a noi.
PRO
- Riproduzione fedele del Castello di H. H. Holmes
- Alcune scelte nella differenziazione dei cinque protagonisti
- Possibilità di morire in modi abbastanza fantasiosi
CONTRO
- Tasso di illogicità nelle scelte che raggiunge il suo apice
- Davvero troppo lungo in maniera ingiustificata
- Intreccio narrativo e doppiaggio in italiano molto lontani dall'eccellenza