Seppur non accompagnato dallo stesso mare di folla adorante e dall'unanime ovazione di critica e pubblico, il percorso di Team Ninja negli ultimi anni è stato per certi versi comparabile a quello di software house come Capcom e FromSoftware, con una particolare affinità al tragitto di quest'ultima. Ispirato dal gruppo di Miyazaki e dalla formula dei souls, infatti, questo talentuoso team giapponese ha ribaltato le sue sorti con gli ottimi Nioh che, benché non al livello delle loro muse, sono riusciti a distinguersi per il loro notevolissimo sistema di combattimento e per una mescolanza di elementi piuttosto originale.
Proprio nel valore del gameplay di quei titoli si è visto il carattere di questi sviluppatori: un mix di meccaniche capace di offrire una miriade di approcci diversi che, nonostante gli sbilanciamenti, dimostrava come i talenti fossero ancora tutti lì, solo in attesa dell'occasione giusta per brillare. Come accennato all'inizio, però, il successo di una certa tipologia di gioco può portare a percorrere in eterno un sentiero tortuoso, dove in mancanza della dovuta capacità di innovare e di sperimentare si rischia di incastrarsi malamente senza via d'uscita.
Già i due Nioh erano forse fin troppo simili a loro stessi, nonostante l'ottima qualità generale, e l'accoglienza tiepida di Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin (ancora una volta costruito attorno alle stessa fondamenta di design) ha mostrato qualche incrinatura nel piano progettuale di Team Ninja. La casa giapponese non ha però desistito e, vedendo ancora una volta del potenziale in quanto fatto finora, ha deciso di tentare con un nuovo lavoro di questa tipologia. Il suo nome? Wo Long: Fallen Dynasty; capace di catturare immediatamente l'attenzione dei fan nonostante le tantissime similarità strutturali ai Nioh.
La recensione di Wo Long: Fallen Dynasty ci dice che non non si tratta di un clone affrettato: è un videogioco più coraggioso del previsto, che prende le basi poste dai suoi predecessori e le rimaneggia nel migliore dei modi, tanto da rinnovare in toto sia il sistema di combattimento di quei titoli che molte altre loro caratteristiche. Oggi, dopo averlo giocato per dozzine di ore ed esserci addentrati a fondo anche nel suo endgame, siamo pronti a dirvi se queste innovazioni sono state in grado di innalzarlo al di sopra delle altre opere recenti di Team Ninja.
Narrativa: l'eroe invisibile dei tre regni
La campagna di Wo Long: Fallen Dynasty inizia in Cina durante la rivolta dei Turbanti Gialli, l'evento storico che fondamentalmente ha dato il via al periodo dei Tre Regni. Qui non vestite i panni di uno tra le dozzine di leggendari guerrieri che molti hanno "imparato" a conoscere a forza di pane e Dynasty Warriors, bensì quelli di un guerriero ignoto, salvato da morte certa da un misterioso ragazzo bendato durante un attacco dei turbanti al suo villaggio. Da lì, ovviamente, prende il via un'inarrestabile catena di eventi che vi sballotterà tra una battaglia e l'altra, in compagnia delle figure storiche più famose di quell'era.
Partiamo con le ovvietà: non siamo davanti a una narrativa particolarmente brillante. L'antagonista principale è un malvagio taoista talmente stereotipato da risultare quasi caricaturale, il cui scopo ultimo è la solita ricerca dell'immortalità, il tutto ovviamente attraverso un elisir maligno con il potere di trasformare gli uomini in mostri assetati di sangue. Gli scrittori del Team Ninja non sembrano aver messo chissà quale impegno nella stesura di dialoghi di valore, e nemmeno c'è stato il tentativo di riproporre una versione degli eventi almeno vicina al Romanzo dei Tre Regni (che già spettacolarizzava molto gli eventi storici realmente accaduti); no, qui si cerca a tutti gli effetti di infilare a forza il protagonista in alcuni dei momenti centrali di quel periodo, e si giustifica la sua presenza con una lunga lista di discrete forzature. La evidente volontà di dipingere sotto una luce positiva la maggior parte dei personaggi più popolari di quel periodo, poi, non aiuta di certo la qualità generale della trama.
Non bastasse, la struttura degli eventi è pressoché identica a quella dei Nioh: tutto avanza attraverso un misto di missioni principali e secondarie, alla fine delle quali si viene a volte in possesso di poderose bestie spirituali poi utilizzabili in combattimento. Insomma, anche qui la storia è poco più di un pretesto per giustificare scontri epici e battaglie costanti, peccato solo che siamo qualche passo indietro rispetto alla comunque interessante rielaborazione del Giappone feudale vista nella "serie sorella". Poco male; questo è un gioco il cui fulcro è e rimane il gameplay, e su quello Team Ninja ha prevedibilmente fatto centro.
Gameplay: sii come l'acqua. O il fuoco. O tutto il resto
Se negli aspetti macroscopici Fallen Dynasty è talmente equiparabile ai Nioh da sembrare quasi ambientato nello stesso universo, le cose cambiano sensibilmente quando si va più a fondo e si iniziano ad analizzare le sue meccaniche. Il gioco punta su un sistema di combattimento completamente rinnovato e calcolato per mantenere elevato il livello di sfida, nonostante una semplificazione generale dei sistemi.
In pratica, si è scommesso tutto sull'approccio rapido: laddove i precedenti esponenti del genere sono generalmente più lenti e permettono di cambiare ritmo ai combattimenti in base alle manovre predilette (nei Nioh ad esempio vi erano varie "stance", con specifiche armi in grado di sfruttare il passaggio dall'una all'altra per velocizzare enormemente l'azione), qui la marcia innestata è sempre la quinta e la meccanica centrale è la semplice schivata, che se utilizzata al momento di un attacco nemico attiva una rapida deviazione capace di nullificare il danno. Diversamente da molti giochi dove le schivate devono contare su finestre di invulnerabilità ridotte, tuttavia, Wo Long: Fallen Dynasty invalida letteralmente qualunque fonte di danno se si evitano i colpi con il giusto tempismo, e il sistema è abbastanza permissivo da rendere la schivata sempre lo strumento migliore per arginare l'offensiva dei nemici. Attenzione, il sistema di combattimento è chiaramente più indulgente rispetto a quanto visto nella prima beta, dato che ora le schivate partono all'istante e richiedono riflessi molto più umani per essere usate a dovere; ciò però non significa che Wo Long sia un gioco con una difficoltà tarata verso il basso: i nemici che si incontrano sono aggressivi, fanno danni notevoli e i più brutali tra loro hanno a disposizioni raffiche di colpi da cui non è facile difendersi. La manovra stessa è poi calcolata con molta più finezza di quanto si possa credere, dato che non può venir usata a raffica (se la si preme rapidamente due volte si attiva uno spostamento con salto dall'invulnerabilità limitata, che vi mette in serio pericolo contro alcuni avversari), e che la sua utilità è strettamente correlata a una risorsa chiamata spirito, da tenere sempre attentamente sott'occhio per non soccombere.
Ad una prima occhiata la barra dedicata allo spirito potrebbe sembrare pressoché identica alla stamina di altri giochi, ma il suo funzionamento è in realtà più vicino al Ki di Sekiro: Shadows Die Twice: alcune mosse, come una deviazione o gli attacchi veloci, possono caricarla fino a mandarla in positivo, mentre la maggior parte delle azioni più utili - stregonerie e arti marziali (di cui parleremo dopo), attacchi pesanti, o semplici schivate a vuoto - la consumano. Se si viene colpiti quando arriva al limite il proprio personaggio entra in uno stato di affaticamento che non gli permette di muoversi per alcuni istanti, da cui può uscire solo se nuovamente ferito o se passa abbastanza tempo.
I nemici possiedono la stessa identica barra e colpirli ripetutamente o schivare i loro attacchi può stordirli a loro volta, rendendoli vulnerabili a devastanti colpi di grazia. Non è solo questo comunque il motivo per cui gran parte della vostra offensiva ruota attorno al recupero di questo indicatore, visto che senza spirito ci si può limitare solo alle schivate e agli attacchi base; inoltre i boss tendono ad essere delle discrete spugne che richiedono una miriade di attacchi per venir messe al tappeto, dunque i colpi di grazia facilitano alla grande la loro eliminazione. È anche per via di questo peso nel sistema complessivo che la meccanica è più complessa di quanto si possa pensare: l'intera progressione del gioco, basata su cinque diversi elementi, è strettamente correlata proprio al recupero dello spirito e alle sue modalità di utilizzo, e praticamente ogni avversario dispone di mosse speciali (facilmente riconoscibili per via di una forte luce rossa prima dell'attacco) che se schivate a dovere lo rigenerano in gran parte, risucchiandone altrettanto dal nemico. Non bastasse, deviare gli attacchi normali fa diminuire la "barra totale" dello spirito nemico, e più se ne imparano i pattern e ci si difende alla perfezione, più velocemente si possono dominare gli scontri eseguendo brutali esecuzioni. Ma torniamo agli elementi, perché, avendoli citati, crediamo sia proprio il caso di dettagliare il loro apporto alla rigenerazione di questa fondamentale barra, e come ciò influisce sullo sviluppo del proprio alter ego e sul suo stile di combattimento. In pratica Wo Long non ha statistiche classiche da GDR e ad ogni livello i punti esperienza guadagnati si usano per far salire un elemento tra acqua, legno, fuoco, terra e metallo; ogni scelta alza i punti vita del personaggio dello stesso quantitativo, e ha un effetto di norma unico sul consumo di spirito. Per fare qualche esempio, fuoco lo rigenera più velocemente con gli attacchi normali e ne fa consumare di meno quando si usano le arti marziali, terra porta a una rigenerazione maggiore con le schivate perfette, metallo fa costare meno le stregonerie, e via così. Molti quindi potrebbero decidere di sviluppare il proprio guerriero in base a quanto uso fanno di questa o quell'altra manovra, o anche solo alle loro capacità (i maestri della schivata adoreranno la rigenerazione aumentata di una specializzazione in terra, per dire); la verità, però, è che il grosso dei giocatori sceglierà gli elementi in base ad altri due fattori: lo scaling del danno delle armi e la potenza delle magie.
Ancora gameplay e bilanciamento: La foresta degli schiaffi volanti
Partendo dalle stregonerie, vi sono vari motivi per cui risultano a dir poco centrali in questa selezione: sono poteri ottenibili gradualmente mentre si livella (si ottengono tutti senza difficoltà, con alcune magie particolarmente potenti bloccate dietro al completamento di una specifica missione avanzata), e il loro utilizzo in combattimento è indubbiamente tra i principali elementi distintivi di qualunque "build" congegnata dai giocatori. Usare quelle più avanzate richiede un certo quantitativo di investimento nello specifico elemento di utilizzo, e i loro effetti sono a dir poco diversificati, oltre ad applicare status specifici molto utili. Tra potenziamenti e depotenziamenti, semplici proiettili dalla distanza, trappole a terra, e una lunga serie di altre chicche (alcuni elementi, come l'acqua, hanno persino poteri di movimento o una temporanea invisibilità) diventa facilissimo adattarli alle proprie esigenze in battaglia, alle armi utilizzate, o anche solo al prossimo boss da eliminare.
Le armi sono invece andate incontro a un sensibile processo di semplificazione: il loro numero è aumentato, ma i rami di abilità di Nioh con una miriade di manovre a disposizione del giocatore sono spariti, e adesso ogni lama (o mazza) si limita ad avere combinazioni rapide fisse e uno specifico attacco caricato, oltre a delle arti marziali attivabili con lo spirito. Attenzione, i set di mosse sono comunque molto unici, e tenere conto di velocità e raggio di ogni strumento rimane fondamentale; non si può pensare di agitare un'enorme ascia o un'alabarda con la stessa rapidità e sicurezza di un paio di lame da assassino o di una spada leggera. Oltre a questo, il loro danno scala ancora una volta in modo simile ai souls e potrebbe portare molti a specializzarsi in alcuni elementi per preferenze personali nelle animazioni delle combo.
Nonostante quanto descritto possa sembrare un abbassamento eccessivo delle opzioni offensive, approviamo del tutto la scelta di Team Ninja, poiché, laddove i titoli precedenti erano molto più legati alla personalizzazione del protagonista e alle sue devastanti potenzialità nei livelli avanzati, Wo Long desidera chiaramente distanziarsi da questa idea, offrendo un gameplay molto più equilibrato, legato ai riflessi e alle meccaniche difensive. Complicare eccessivamente le cose avrebbe portato a seri sbilanciamenti (che infatti nei Nioh e in Stranger of Paradise sono presenti) e snaturato il tutto. Con le arti marziali già citate, inoltre, si inserisce nell'equazione un altro fattore non sottovalutabile, considerando che queste manovre attive sono in alcuni casi talmente utili da poter soppiantare del tutto le magie se si costruisce il personaggio attorno al loro uso. Ma dell'equipaggiamento e di come possa venir utilizzato per supportare il proprio stile di gioco parleremo a breve. Ora è il caso di restare sul discorso del bilanciamento, e di approfondire quella che forse è la trovata più geniale dell'intero gioco: il morale.
Per fare in modo che Wo Long: Fallen Dynasty fosse un'esperienza più marcatamente action con un livello di difficoltà più stabile rispetto alle precedenti opere della casa, Team Ninja ha puntato su una soluzione di design pensata per essere una sorta di "fascia contenitiva" del sistema, il morale appunto. In pratica, in ogni mappa del gioco il giocatore comincia con questo valore a zero, e se non lo alza non solo non può usare liberamente le stregonerie (il cui utilizzo viene limitato anche dal morale ottenuto e non solo dal livello degli elementi), ma rischia di prendere temibili schiaffoni da buona parte dei nemici, visto che il loro morale sale avanzando nei livelli (in certe zone è anche tarato volutamente più alto del normale) e che, più alta è la differenza con il giocatore, più alti i danni da loro inflitti e la resistenza ai colpi. È in pratica un sistema di crescita interno che viene resettato in ogni nuova location, il cui aumento risulta alquanto semplice: basta sconfiggere serie di nemici senza mai morire; per mantenerlo permanentemente a un certo livello, però, è obbligatorio posizionare la propria bandiera nei checkpoint sparsi per la mappa, e su alcuni altarini spesso ben nascosti.
È abbastanza semplice capire perché l'idea sia geniale: i giocatori più abili desiderosi di un'esperienza ancora più hardcore potrebbero decidere di mantenere volutamente basso il morale, o di correre verso i boss senza cercare checkpoint per affrontare le battaglie più brutali con il massimo dei rischi; per tutti gli altri, invece, si tratta di un brillante incentivo all'esplorazione, che facilita gradualmente la vita man mano che si avanza. Il bello è che Wo Long: Fallen Dynasty esalta ulteriormente questo secondo aspetto della meccanica, perché Team Ninja ha fatto passi da gigante nel level design. Il nuovo sistema di movimento ha contribuito ulteriormente alla crescita della casa in questo aspetto, considerando che il protagonista di Wo Long può saltare e scalare pareti, e che ciò ha permesso di creare zone ricche di verticalità, passaggi nascosti e strade alternative per raggiungere le arene finali.
Di rado ci siamo persi o annoiati gironzolando per le estese mappe di questo titolo, e non sono mancati i momenti in cui alcune basilari ma ben applicate soluzioni di design ci hanno sorpreso per la loro furbizia durante la campagna. Nel complesso? L'intero sistema è promosso: il posizionamento dei nemici è intelligente e le loro abilità varie quanto basta, i boss epici e impegnativi al punto giusto, le meccaniche fondamentali intuitive ma mai monotone, e il bilanciamento generale nettamente più stabile rispetto al passato. Per carità, non mancano di certo poteri piuttosto poco bilanciati, qualche picco di difficoltà forse non calcolato alla perfezione, e livelli meno brillanti degli altri, ma nel complesso la maturazione della software house è evidente, e il gioco ci ha divertito per decine e decine di ore. E già che stiamo parlando di durata...
Struttura e progressione: Potere illimitato, inventario infinito
Non era un'esagerazione definire la struttura identica a Nioh, perché Wo Long non ne riprende solo i costrutti narrativi, ma l'intera gestione della campagna. C'è persino un hub dove è possibile riorganizzarsi e usare le abilità del fabbro per migliorare il proprio equipaggiamento e l'unica reale differenza risiede nel fatto che per affrontare le missioni secondarie è obbligatorio usare l'opzione "viaggia" ai checkpoint, dato che non si passa direttamente alla mappa una volta completato un capitolo (una scelta non troppo intuitiva). Prevedibilmente, Team Ninja non ci è andato leggero con i contenuti nemmeno stavolta, e la campagna principale dura tranquillamente più di una trentina di ore se si è abbastanza rapidi, che aumentano esponenzialmente quando si considera la presenza di un sostanzioso endgame.
La software house nipponica, se non altro, con Wo Long: Fallen Dynasty sembra aver imparato parzialmente la lezione e ascoltato parte delle critiche passate, perché questo titolo soffre molto meno della "bulimia contenutistica" dei suoi predecessori. Le quest secondarie, in particolare, sono molto più veloci, di norma ambientate in mappe piccine (seppur riciclate) con meno checkpoint e boss immediatamente nei paraggi, o arene che offrono ancora una volta gli scontri diretti contro specifici personaggi per "farmare" i loro set di armatura e le loro armi. Una valida scremata di missioni inutili e contenuti ignorabili, particolarmente adatta al nuovo titolo anche per via del sistema di loot leggermente differenziato.
Se c'è una cosa su cui gli sviluppatori hanno fatto orecchie da mercante, infatti, si tratta purtroppo della richiesta dei giocatori di migliorare l'inventario e l'interfaccia, e ridurre la massa di oggetti inutili del sistema di loot, che ancora una volta segue un modello in stile Diablo con rarità multiple, set bonus e una miriade di potenziamenti percentuali ed effetti propri di ogni arma o pezzo di corazza. Anche qui insomma passerete parecchi preziosi minuti a smantellare oggetti dalla maestra della forgia e riordinare tutta la robaccia trovata per i vari livelli, ma la personalizzazione è leggermente più curata, sempre tornando alla volontà del team di evitare esagerazioni.
In pratica, quila rarità massima è cinque stelle, con questi ultimi oggetti ritrovabili solo una volta finito il gioco, ripercorrendo ogni missione a difficoltà aumentata nell'endgame (la percentuale di ritrovamento peraltro è seriamente bassa). Le statistiche delle armi e delle corazze però non scalano in base alla rarità: il danno rimane identico, così come la difesa; a cambiare sono solo gli slot di potenziamento disponibili, e persino i set bonus preesistenti rimangono identici (al di fuori di alcuni set che esistono solo alla massima rarità, leggermente più poderosi di quelli base). Considerando che questi slot hanno delle limitazioni nelle abilità equipaggiabili, e le percentuali di miglioramento su ogni pezzo tendono a non essere esagerate, per ottenere effetti davvero disgustosi è necessario o specializzarsi completamente in un paio di effetti specifici, o abusare dei malus applicabili ai nemici (che comunque a loro volta sono nettamente meno devastanti di quelli visti nei Nioh). Vi sono persino degli spiriti evocabili come precisato all'inizio - qui possono venir attivati per un attacco speciale o potenziare elementalmente le vostre armi una volta caricato il loro simbolo - a loro volta regolati per non offrire vantaggi eccessivi (anche se alcuni di loro possono ribaltare seriamente certe situazioni difficili) e non così legati agli elementi sviluppati da dover essere obbligatoriamente equipaggiati in base alle scelte fatte. Nessuno di loro ci è parso nemmeno lontanamente distruttivo quanto le trasformazioni di Nioh 2.
È un'ottimo mix di soluzioni, perché, nonostante sia possibile resettare il proprio sviluppo e persino l'aspetto fisico del proprio alter ego gratuitamente all'hub, rende molto più difficile e graduale quella crescita devastante che negli altri titoli Team Ninja permetteva a un utente abbastanza navigato di rendere triviale qualunque sfida già prima di metà campagna. Noi abbiamo sperimentato parecchio, per dire, e abbiamo trovato più che godibili sia i boss che le battaglie contro i mob per tutto l'endgame nonostante un paio di build davvero efficacissime. Il sistema del morale descritto prima non fa che migliorare ulteriormente questa furba gestione della progressione. L'unico reale problema al di fuori dei fastidi dell'interfaccia? Le maggiori limitazioni, e il focus su un'esperienza meno flessibile (o "rompibile", che dir si voglia) rendono paradossalmente il gioco meno duraturo sul lungo andare per chi ama sbizzarrirsi con le build. Un sacrificio inevitabile, ma che potrebbe infastidire parte dei giocatori.
Comparto tecnico e multiplayer: in guerra non si va da soli
Sul comparto tecnico siamo più freddini, per via dei soliti curiosi comportamenti della versione PC da noi provata. Il gioco non è male graficamente, ma non ha chissà quale impatto tecnico o artistico, ed è in generale curato più nel dettaglio di armi, personaggi storici e armature che in tutto il resto (anche se alcune ambientazioni offrono un discreto colpo d'occhio). I passi avanti di Team Ninja in molti aspetti sono tuttavia evidenti, a partire dal pathing dei nemici e dall'intelligenza artificiale dei compagni, che riesce normalmente a seguire i movimenti del giocatore nonostante la verticalità delle mappe e la agilità del protagonista.
Certo, tale aumento di complessità non è stato sempre gestito alla perfezione: capita che l'I.A. si impalli, e il fatto di aver persino aggiunto un sistema stealth nel titolo - che permette di colpire alle spalle i nemici ignari - ha provocato alcune strane situazioni in cui la loro aggressività non si attiva nonostante gli si combatta nelle immediate vicinanze (probabilmente per un leggero ritardo nella percezione del vostro posizionamento in prossimità). Sono comunque inezie abbastanza trascurabili, e non abbiamo mai trovato bug particolarmente gravi durante l'avventura. La versione da noi provata per la recensione si è dimostrata molto meglio ottimizzata rispetto alle prove passate, e sulla nostra configurazione il frame rate ci è sempre parso granitico dopo l'ultimo aggiornamento. Curiosamente, però, con tutte le opzioni grafiche al massimo (in particolare quelle legate alle ombre e alle trasparenze) alle volte si notano degli artefatti grafici nell'interfaccia o strambi fenomeni nell'illuminazione dei singoli modelli tridimensionali, che non abbiamo mai visto nelle vecchie build. Probabile che questi difetti verranno corretti con una patch futura, ad ogni modo, e non ci hanno infastidito più di tanto.
Curiosa invece la gestione della cooperativa, anche perché una sua forma offline è legata a doppio filo alla gestione della difficoltà del gioco. Oltre a tutte le misure descritte precedentemente per mantenere solido il livello di sfida e il bilanciamento, infatti, il gioco facilita un po' la vita di chi non è ferratissimo con gli action facendovi accompagnare nella stragrande maggioranza delle missioni da uno o due condottieri che combattono guidati dall'intelligenza artificiale (potete eliminare questi partner a qualunque checkpoint se non volete facilitazioni). I vostri accompagnatori possono venir scatenati contro i nemici e, pur non essendo molto brillanti o resistenti, rappresentano spesso un'utile distrazione e una non trascurabile fonte di danno extra. Usando delle statuine a forma di tigre (facilmente ottenibili durante le missioni) è possibile pure evocare aiutanti extra e migliorare la propria affinità con ognuno di loro, oppure chiedere aiuto ad almeno altri due giocatori umani e affrontare le missioni in cooperativa. Nel gioco c'è pure un elemento competitivo, dato che è presente un'opzione per invadere altri giocatori; non abbiamo avuto modo di di approfondire troppo la cosa (i giocatori da invadere erano ben pochi prima del lancio), ma il PvP di Wo Long è frenetico e ci dà l'impressione di poter esser molto divertente. Infine, vi è persino un minimo di online asincrono, dato che donando cure alle tombe di altri giocatori è possibile aiutarli guadagnando morale in cambio.
Un ultimissimo appunto è legato alla localizzazione. Il titolo è tradotto più che bene in italiano, ma curiosamente mantiene la schwa neutra indipendentemente dal sesso selezionato nella (peraltro molto dettagliata) creazione del personaggio. Forse il publisher è semplicemente andato al risparmio mettendo a disposizione solo una soluzione valida per tutti, ma tant'è. La cosa non rappresenta certo un problema.
Conclusioni
La sua vicinanza strutturale ai Nioh forse sarà una pillola amara da mandar giù per chi non ha mai amato la gestione dell'inventario e la progressione di quella saga, eppure Wo Long: Fallen Dynasty rivoluziona completamente il sistema di combattimento di quei giochi e riesce ad offrire un'esperienza generalmente molto più bilanciata e adrenalinica, nonostante la semplificazione delle meccaniche offensive. L'ultima opera di Team Ninja è un gioco estremamente curato e longevo, che dimostra in molti aspetti la crescita dei suoi sviluppatori, e riesce nel complesso ad eliminare molti difetti dei lavori da cui ha preso le basi. Siamo lontani dalla perfezione, ma lo consigliamo senza timore alcuno a qualunque appassionato di action di qualità.
PRO
- Gran sistema di combattimento, vario e spettacolare
- Longevità notevole
- Bilanciamento generale molto solido
- Design della mappe superiore alle aspettative
CONTRO
- La narrativa è debole e rappresenta solo un contorno
- Gestione di inventario e loot costringe alla microgestione
- Qualche strano glitch grafico