Sono anni che Blizzard comincia le espansioni di World of Warcraft col botto, salvo poi sbagliare qualcosa nel giro di qualche aggiornamento e arrivare alla successiva col fiato più corto: difficile risalire alle cause di questi squilibri; potremmo tirare in ballo management, acquisizioni, interessi economici e quant'altro, ma la verità è che WoW ormai è un gioco enorme, immenso, e funziona come una partita a Jenga in cui, se sbagli mattoncino, viene giù tutto. Per farla breve, questo è una sorta di disclaimer: noi non siamo chiaroveggenti e non possiamo sapere cosa succederà nei prossimi due anni, ma in questa recensione di World of Warcraft: Dragonflight vi racconteremo come abbiamo trascorso queste prime settimane nell'Isola dei Draghi e che impressioni ci ha fatto la nona espansione del MMORPG più famoso del mondo.
Scoprire l'Isola dei Draghi
Scriviamo queste righe dopo aver completato le prime Mitiche+ che Blizzard ha sbloccato col nuovo reset settimanale, seguendo l'apprezzato modello dell'ultima stagione di Shadowlands: otto spedizioni a tempo, ma se quattro sono uscite con Dragonflight, le altre quattro appartengono alle espansioni passate. Non siamo sicuri che sia stata la scelta migliore per la prima stagione della nuova espansione, e questo dovrebbe servire a farvi capire che no, non è che Blizzard le abbia azzeccate proprio tutte a questo giro, ma a Irvine hanno progettato spedizioni eccezionali per anni, salvo poi abbandonarle all'uscita di ogni nuova espansione, e questa nuova soluzione salva tanti asset memorabili dal dimenticatoio.
Le nuove spedizioni di Dragonflight sono quasi tutte splendide, a parte Conca dei Felcepelle che è invero cupa e bruttina: sono generalmente più corte che in passato, e quelle meno lineari, come Offensiva dei Nokhud, non sono mai dispersive, pur concedendo una discreta libertà esplorativa. Ben sapendo che il grosso dei giocatori avrebbe trascorso tantissimo tempo nelle nuove spedizioni, Blizzard ha curato questo aspetto anche più di prima, ma per l'appunto nulla è cambiato nell'endgame a progressione verticale, tutto incentrato sull'equipaggiamento e il livello oggetto.
È una formula collaudata che è ormai il DNA di World of Warcraft, e qui si potrebbero fare millemila discorsi sulla tossicità che alimenta un certo tipo di competizione, ma il punto è che all'endgame bisogna arrivarci, e questa volta il viaggio ci è sembrato contare molto di più della meta anche, e soprattutto, per gli standard di Blizzard.
Dragonflight è un'espansione più intima e sentita, che si rifà a una parte della mitologia di Warcraft, quella dei draghi, che può apparire banale, ma non meno affascinante. Alexstrasza, Kalecgos, Nozdormu e compagnia sono personaggi che i fan di Warcraft hanno imparato ad amare negli anni, e che si sono sentiti strappare via quando Blizzard li ha accantonati alla fine dell'espansione Cataclysm. Ora che l'Isola dei Draghi si è risvegliata, il nostro compito sarà aiutare gli ex Aspetti a ristabilire i rispettivi Stormi per difendere la loro dimora millenaria dalla minaccia dei Draghi primordiali.
La storia principale è appena cominciata, naturalmente, ma è chiaro che Blizzard abbia ridimensionato le proprie ambizioni: dopo aver cercato di raccontare la resa dei conti finale tra Orda e Alleanza con scarso successo - tant'è che abbiamo finito per giocare insieme! - e aver sprecato le potenzialità cosmiche delle Terretetre con una storia di redenzione scritta maldestramente, lo sceneggiatore Steve Danuser ha puntato la campagna iniziale della nona espansione su un'antagonista temporanea, la stereotipatissima Raszageth, che è un vero e proprio MacGuffin, cioè un espediente narrativo quasi del tutto irrilevante che serve solo a muovere la storia.
Questo farebbe pensare che Danuser e i suoi abbiano fatto un buco nell'acqua con la narrativa, ma la realtà è che in questi dieci livelli di Dragonflight abbiamo completato alcune tra le missioni più belle nella lunga storia di WoW, che intanto di anni ne ha compiuti diciotto. Sono storie più personali e contenute, a comporre un mosaico rispettoso dell'immaginario che Blizzard ha stabilito in tutto questo tempo e che riprendono spunti e sottotrame rimaste in sospeso. Così può capitare di imbattersi in un vecchio Orco divorato dai sensi di colpa, in un Nano che in realtà è un drago perso nei propri ricordi o in un antico tomo che porta alla pazzia chiunque lo legga.
Le missioni sono distribuite praticamente ovunque nella mappa: si può seguire la sola campagna, e raggiungere il livello massimo più o meno organicamente, oppure perdersi tra le miriadi di punti esclamativi gialli che Blizzard sembrerebbe aver disseminato in ogni angolo dell'Isola, e per una missione che si completa di solito ne spuntano altre due o tre che conducono a nuove zone e ad altrettanti incarichi.
È un intreccio assurdamente complesso che funziona a meraviglia, ma che sbilancia un po' la progressione: completando ogni missione possibile, e senza affrontare alcuna spedizione, abbiamo raggiunto il livello 70 a metà della terza zona circa, sebbene sia una stima del tutto approssimativa che può variare in base a una pletora di fattori come il bonus da riposo, i punti esperienza guadagnati raccogliendo materiali, gli obiettivi extra e così via. Sta di fatto che ci siamo divertiti un mondo: le missioni migliori sono scritte davvero bene, spesso commuovono o fanno riflettere, e in qualche caso si risolvono in modo più originale del solito.
Questo non vuol dire che Blizzard abbia rivoluzionato la struttura del gioco, che in fin dei conti resta quella votata all'azione che ben conosciamo. Chi cerca un'epica in stile Final Fantasy XIV, insomma, potrebbe restare deluso, ma le micro-campagne sono diversificate e interessanti: abbiamo apprezzato, in particolare, la rivalità tra Irathion e suo fratello Sabellian, che promette sviluppi molto interessanti, e il lavoro di caratterizzazione che serviva decisamente a Kalecgos.
Le quattro regioni di Dragonflight sono splendide e la campagna le attraversa furbescamente, imbastendo in ciascuna una narrativa che converge nella storyline principale. Non sono tutte riuscite allo stesso livello, purtroppo: la sottotrama dei Centauri nelle Pianure di Ohn'ahra ci ha lasciati piuttosto indifferenti, con una risoluzione legata allo Stormo dei Draghi verdi un po' forzata, mentre abbiamo assolutamente adorato il ritorno di una vecchia conoscenza nella Vastità Azzurra e l'odissea nello spaziotempo di Chromie e Murozond che ironizza sull'ormai strausata dinamica del multiverso.
La suddivisione in micro-campagne ha senso pure dal punto di vista del gameplay, poiché ciascuna sblocca una nuova fazione che funziona a livelli di Fama come succedeva con le Congreghe di Shadowlands. In questo caso, però, il giocatore non deve scegliere, e ogni nuovo livello di Fama sblocca contenuti extra che possono essere oggetti cosmetici o mascotte, ma anche bonus che valgono per tutti i personaggi nell'account, minigiochi, missioni aggiuntive, persino funzionalità extra. Ogni livello di Fama rappresenta un traguardo da raggiungere: una comoda interfaccia anticipa ciascuno di essi, poi sta al giocatore scegliere se concentrarsi su una, sull'altra o su tutte insieme in base alle sue preferenze.
Il bello del volo draconico
Dragonflight è un'espansione che funziona nella somma delle sue parti perché ciascuna di esse è stata chiaramente ragionata in concerto con le altre, e una di esse è senza dubbio il cosiddetto volo draconico. Forse il trucco sta proprio lì: spogliando la nuova espansione di ogni orpello esageratamente articolato come i Vincoli dell'anima o altre amenità come l'Azerite o la Guarnigione, Blizzard è tornata a concentrarsi sul gameplay puro, e il volo draconico, pur non incidendo sul personaggio vero e proprio, è una funzionalità che cambia l'esperienza in modo incisivo.
Se nelle vecchie espansioni bisogna aspettare mesi prima di riuscire a volare nelle nuove zone - solitamente completando qualche Impresa - questa volta si solcano i cieli quasi subito: una delle primissime missioni nelle Sponde del Risveglio, la prima zona, sblocca il primo dei quattro drachi utilizzabili solo nell'Isola dei Draghi. Sono cavalcature speciali, e personalizzabili cosmeticamente attraverso una serie di pergamene tutte da collezionare, che possono volare seguendo le leggi della fisica. Saltando due volte si spicca il volo, che consuma uno speciale indicatore di Vigore che si ricarica nel tempo o mantenendo una certa velocità.
I drachi volano molto più velocemente delle cavalcature volanti tradizionali, e il giocatore deve controllarli attivamente, sfruttando elevazione, fisica e accelerazione a seconda delle circostanze. Non c'è il rischio di precipitare e morire, ma soltanto di ritrovarsi ad aspettare che il Vigore si ricarichi. Fortunatamente la campagna ricompensa il giocatore con nuove acrobazie volanti, mentre i Glifi draconici sparsi in ogni mappa servono a potenziare la cavalcatura in modo che voli più a lungo e più velocemente. Una volta potenziato il draco al massimo, non si torna più indietro. Le cavalcature tradizionali sembrano lente e noiose, in confronto, perché volare nelle Isole dei Draghi è entusiasmante: con un po' di bravura ci si può spostare da un'estremità all'altra in pochissimi minuti, e Blizzard ha riempito l'Isola di gare a tempo da completare con tanto di record e medaglie.
Ovviamente i pigroni possono sempre ricorrere ai Maestri di volo tradizionali per spostarsi da un punto all'altro mentre si prendono un caffè o navigano su Internet, ma bisogna dare credito a Blizzard di essersi inventata una dinamica di gameplay che speriamo proprio venga implementata anche nel resto del gioco. Il punto, però, è che l'Isola dei Draghi è stata costruita geograficamente anche intorno al volo draconico, e non scherziamo quando affermiamo che è senza alcun dubbio la regione più complessa che si siano inventati ad Irvine.
Gli artisti di Blizzard hanno sviluppato ogni regione anche in altezza, modellando scenari 3D che incentivano all'impiego ragionato - e qualche volta strategico - del volo draconico. Non sono solo i segreti e i collezionabili in quantità industriale a essere collocati nei luoghi più ameni, ma ci sono zone e missioni che non possono essere raggiunte a piedi. Nel complesso, l'Isola dei Draghi è una delle regioni più diversificate di World of Warcraft, e ogni zona comprende più biomi o temi visivi che si riflettono in una complessità di modellazione e dettaglio semplicemente maniacale. E nonostante questo, World of Warcraft resta lo stesso gioco enormemente scalabile di sempre, sebbene l'asticella dei requisiti tecnici sia stata alzata con decisione rispetto a qualche tempo fa.
Gli scenari che abbiamo esplorato in questi dieci livelli sono incredibilmente spaziosi e particolareggiati, così come le creature che abbiamo affrontato: molte di esse rispettano vecchi archetipi o ripropongono strutture scheletriche già note, ma la società californiana ha talmente arricchito di dettagli in alta definizione ogni nuovo modello 3D che in certi casi sembra un altro gioco.
In questo senso, però, WoW continua a sembrare "vecchio" sotto altri aspetti, e le cinematiche in tempo reale prestano il fianco a una regia maldestra e ingessata. Va molto meglio con le scene d'intermezzo più importanti, tant'è che vien da chiedersi perché non si sia usato lo stesso espediente per ogni altro momento culminante della narrativa.
Onestamente sono discorsi che lasciano il tempo che trovano: nessuno gioca veramente World of Warcraft per la grafica - sebbene lo stile cartoonesco debba necessariamente piacere, ovvio - ma quando si arriva a Valdrakken, la capitale dell'Isola dei Draghi nella zona di Thaldraszus, e si scende in picchiata in mezzo agli stormi di draghi che circondano e sorvolano la rocca degli Aspetti, abbarbicata sulla cima di una montagna dalla quale è possibile vedere in lontananza ogni singola regione circostante, mentre una musica solenne riempie lo spazio, be', diciamo solo che il giocatore storico di World of Warcraft non può restare impassibile di fronte a questo spettacolo.
Nuovo ma vecchio
Raggiunto il livello 70 e completata la prima parte della campagna a Valdrakken, abbiamo sbloccato le consuete missioni mondiali, nuove attività di alto livello e una serie di incentivi alla crescita dei personaggi secondari. Le missioni mondiali sono sicuramente il contenuto che spaccherà in due la comunità dei giocatori per qualche tempo, poiché non si resettano più ogni tot di ore, ma ogni tot di giorni. La Blizzard ha spiegato questa decisione con una scusa un po' ipocrita, perché sappiamo tutti che a Irvine interessa prolungare e massimizzare gli abbonamenti, e anche noi all'inizio abbiamo guardato questa scelta di sottecchi, ma a un certo punto ne abbiamo constatato gli aspetti positivi.
Sì, è vero, il nuovo sistema limita artificialmente i contenuti a disposizione del giocatore, e rallenta la crescita delle reputazioni, ma se da una parte impedisce ai giocatori di consumare questi contenuti in pochi giorni e poi andarsi a lamentare sui forum ufficiali, dall'altra fa proprio quello che ha dichiarato la Blizzard, cioè non induce al collegamento compulsivo. Senza contare che i livelli di Fama non sbloccano miglioramenti in termini di livello oggetto, ma solo contenuti aggiuntivi.
In un mondo perfetto, questi accorgimenti sarebbero stati più che sufficienti a mantenere un certo equilibrio, ma Blizzard ha implementato lo stesso una serie di missioni che si risolvono in un grind eccessivo e del tutto opzionale che però, già dai primi giorni, ha rappresentato un punto fermo nella quotidianità dei giocatori orientati all'endgame. L'Assemblea di Cobalto, la Cittadella di Ossidiana e le Tempeste primordiali riuniscono orde di giocatori che sterminano mostri per ore, al fine di migliorare la loro reputazione con queste fazioni minori che danno accesso a equipaggiamenti di alto livello. Quindi, in un certo senso, tutte le premure di Blizzard nei confronti dei giocatori e del tempo che passano sulle missioni mondiali sono andate a farsi friggere.
C'è da dire che anche vincolare la progressione nella campagna alla Fama non è stata una mossa che ci sentiamo di condividere. Il sistema impiantato da Blizzard diluisce i contenuti nel tempo, diversificando la proposta e conferendo a ogni nuovo livello di Fama un valore rappresentativo, ma al contempo definisce in maniera artificiosa l'esperienza del giocatore, perché qualcuno potrebbe volersi completare tutta la campagna in pochi giorni e poi sospendere l'abbonamento fino alla prossima patch, senza dover necessariamente dedicarsi ad altre attività, come le missioni mondiali ogni volta che si resettano.
È chiaro che questo tipo di comportamento sarebbe controproducente per un gioco a sottoscrizione, ma d'altra parte sfavorisce il giocatore occasionale. Queste scelte hanno pro e contro sotto ogni punto di vista, e noi ci sentiamo un po' presi nel mezzo perché, pur riconoscendo i secondi fini dello sviluppatore, ammettiamo di preferire questa dinamica da bastone e carota che offre traguardi sul lungo termine che hanno senso, nell'ottica di una sottoscrizione mensile, e che non mettono nessuna fretta, lasciandoci la possibilità di dedicare il tempo libero a più contenuti senza trasformare ogni collegamento in un turno di lavoro.
Ed è in questa misura che abbiamo veramente apprezzato Dragonflight. L'espansione ci ha divertito così tanto da indurci a fare qualcosa che non avevamo mai fatto in nessun'altra espansione: una volta raggiunto il livello 70 con un personaggio, ne abbiamo cresciuto subito un altro. La nuova modalità Avventura, che si sblocca completando la campagna con almeno un personaggio nell'account, è un'evoluzione dei Fili del Fato implementati in Shadowlands e dell'omonima modalità Avventura vista in Diablo III: Reaper of Souls.
In buona sostanza, ogni nuovo personaggio che conduciamo all'Isola dei Draghi beneficerà di alcuni vantaggi importanti: il volo draconico e i drachi sbloccati fin da subito, con tutti i Glifi Draconici trovati in precedenza, e già di per sé questo alleggerisce enormemente il carico di una nuova fase di leveling; un bonus del 100% ai punti reputazione guadagnati con le Fazioni che hanno raggiunto un certo livello su almeno un altro personaggio nell'account; ogni attività o funzionalità sbloccata in precedenza, come le missioni di arrampicata o i tour fotografici, i cui sistemi di progressione sono condivisi nell'account; ma soprattutto, praticamente ogni missione principale o secondaria già disponibile per l'accettazione in ogni zona. Questo sistema conferisce una totale libertà di scelta nel ritmo e nella progressione di uno o più personaggi secondari, una dinamica che in passato è stata implementata dopo diversi mesi, e con maggiori limitazioni.
Poi, ovviamente, si rientra sempre nel circolo vizioso dell'endgame che determina la crescita del giocatore, un aspetto fin troppo radicato nella formula di World of Warcraft per vederlo sparire, sebbene siano stati fatti dei passi avanti anche in questo senso con l'introduzione dei set di classe nelle ricompense della Gran Banca.
Ma in un certo senso qualcosa si sta smuovendo in casa Blizzard. C'è come la volontà di consegnare al giocatore un controllo sempre maggiore sul suo personaggio e sul gameplay. Il sistema di talenti rinnovato è sicuramente un fulgido esempio: introdotto con la patch pre-espansione, abbiamo avuto modo di testarlo per qualche settimana, ma è solo raggiungendo il livello 70 e guadagnando quei nuovi dieci punti che siamo riusciti ad apprezzarlo sul serio.
In tutta onestà, eravamo poco fiduciosi nel passaggio dal sistema precedente, molto più limitato, agli alberi vecchia scuola con i punti da assegnare e molteplici ramificazioni. Poi ci siamo ritrovati a giocare lo Sciamano specializzato Elementale, che nel meta attuale ha qualcosa come sei o sette build diverse, e abbiamo capito che il nuovo sistema funziona decisamente meglio del previsto: è semplicemente una questione di varietà, e anche se Blizzard non riuscirà mai e poi mai a bilanciare il gioco come vorrebbe - basti guardare i record nella modalità Mischia Solitaria del PvP! - bisogna ammettere che il nuovo sistema di talenti restituisce a WoW quelle caratteristiche da gioco di ruolo che gli anni avevano annacquato.
È una dinamica che Blizzard ha esteso anche all'artigianato, seppur con risultati contrastanti: abbiamo trovato il nuovo approccio estremamente cervellotico, con una pletora di caratteristiche, opzioni e variabili che appesantiscono il tutto, tra accessori e punti abilità da trovare e distribuire nelle diverse specializzazioni. Sulla carta, anche questo meccanismo è fortemente ruolistico, ma per comprenderne pienamente le potenzialità e capire se Blizzard ha fatto centro nel suo tentativo di rinnovare uno degli aspetti più controversi di World of Warcraft dovremo aspettare qualche tempo.
Conclusioni
Dragonflight è un'altra espansione che parte in quarta e oggi non possiamo sapere se Blizzard riuscirà a mantenere questo aplomb per tutto il suo ciclo vitale. In questo momento, tuttavia, la nona espansione di World of Warcraft ci sta divertendo moltissimo: al netto di qualche incertezza radicata nel suo DNA o, per assurdo, nel tentativo di cambiarlo, Blizzard ha firmato i migliori contenuti del suo kolossal videoludico da molti anni a questa parte.
PRO
- La narrativa più contenuta si traduce in missioni davvero memorabili
- Il volo draconico è una funzionalità divertentissima
- Il nuovo sistema di talenti dà il meglio di sé a livello 70
CONTRO
- In certi momenti la quantità di cose da fare può essere soverchiante
- Il nuovo sistema di artigianato è molto confuso
- Alcune scelte di design controverse