La musica unisce le persone. Lo ha sempre fatto e continuerà a farlo. Ritmi e melodie hanno accompagnato la nostra storia, a volte aiutando a scriverla, altre come meri osservatori di un mondo in evoluzione. Oggi, la musica è molto più di un rituale tribale, un retaggio culturale, momento di condivisione tra individui simili e dissimili. La musica è arte e, di conseguenza, industria e mercato. È qualcosa su cui l'uomo può capitalizzare e creare un impero, a partire dalla necessità dell'umanità di vivere affiancata da tale portatrice di armonia, paladina di fratellanza. E le industrie, in questo mondo che molti chiamano post-mediale, non possono che scontrarsi in campo aperto e, spesso, fondersi, portando alla creazione di nuove realtà, capaci di solleticare il desiderio di novizia scoperta che alimenta la società umana. La musica, che smuove così tanto denaro, non poteva non incontrare i videogiochi, che hanno imparato a smuoverne altrettanto. Da questa unione, sono nati i videogiochi ritmici; un successo assicurato, ma che in pochi si sarebbero mai aspettati di veder crescere esponenzialmente quando dei grossi pezzi di plastica atti a simulare degli strumenti musicali sono sbarcati sul mercato.
Ripercorriamo insieme la storia dell'ascesa e del declino di un impero che al suo massimo splendore è stato gigantesco: quello dei controller musicali.
Nascita di un impero
Come tutte le rivoluzioni, anche quella dei controller musicali ha avuto dei precursori che ne preconizzavano il successo. Si può tornare indietro fino al 1978, quando Ralph Baer e Howard Morrison introdussero sul mercato un gioco elettronico che spianò la via per il futuro dei rhythm game: Simon, traghettatore nel XX secolo dell'immateriale passatempo bambinesco Simon Says. Quei quattro pulsanti colorati furono la miccia accesa, diretta verso la dinamite.
Anni dopo, Nintendo si scoprì nuovamente la prima sperimentatrice in campo videoludico, vendendo, nel 1986, alle famiglie di tutto il mondo (o quasi), un tappetino di plastica con dei pulsanti sensibili alla pressione, il Power Pad. Ma il gioco che è stato il padre pellegrino di quanto arriverà di lì a breve sbarcò su NES solo nel 1987: Dance Aerobics, figlio assoluto di quegli anni.
Dovrà passare qualche tempo prima che il mercato sia pronto ad accogliere la vera rivoluzione, PaRappa the Rapper, mentore di una generazione di videogiochi musicali, orma a cui tutti guarderanno negli anni a seguire, riprendendone le dinamiche di gioco e applicandole a un nuovo modo (ma, più che nuovo, diverso) di interagire con esso. Siamo arrivati al 1998, quando Konami, dopo il successo in Giappone di titoli come Beatmania, inonda gli arcade di tutto il mondo con Dance Dance Revolution, in cui i giocatori sono chiamati a scendere veramente in pista e a danzare a tempo, tramite la pressione di determinati tasti su una piattaforma in grado di ospitare uno o due giocatori. Il più delle volte pareva che gli intrepidi ballerini stessero pestando l'uva, ma sono esistite leggende capaci di sentire realmente il ritmo e perdersi in performance da record.
Da qui, dalle sale arcade, sempre più invase da strani cabinati con maracas, tamburi, chitarre e piattaforme, è nata la rivoluzione dei controller musicali, destinati a passare dalla convivialità dello spazio pubblico a quella dello spazio privato.
L’età d’oro
L'Occidente guardava con interesse il mercato orientale, che sfociava in tutte le sale giochi mondiali, ma anche nei salotti di migliaia di persone, e non rimase con le mani in mano per molto.
Dalla mente di un piccolo gruppo musicale del MIT nasce, nel 1998, Harmonix. Dopo i primi successi con titoli come Frequency e Amplitude, assieme al distributore RedOctane, si misero a lavorare su un titolo che riprendeva i lineamenti di un videogioco molto famoso in Giappone, ma difficilmente esportato: GuitarFreaks.
Nasce, così, nel 2005, Guitar Hero, acclamato immediatamente per la peculiarità di utilizzare un controller a forma di chitarra elettrica, con cui "colpire" al momento giusto le note che apparivano sullo schermo della propria televisione. Guitar Hero divenne una sorta di evento famigliare, un rituale al quale tutti potevano assistere, tifando per il giocatore mentre ascoltavano musica su licenza che andava da hit senza tempo a nuovi volti della scena musicale. Si era tornati a quando tutti si sedevano intorno alla televisione per guardare il programma della sera o agli albori delle console casalinghe, meraviglia da sperimentare in comunione. Il videogioco diventava momento di condivisione e sfida allargata a tutta la famiglia, dai piccoli pargoli ai nonni.
La crescita fu esponenziale. In tutto, il franchise di Guitar Hero ha sfondato la soglia del miliardo di dollari di guadagno, portando con sé la creazione di diversi seguiti e spin-off. Parallelamente, Harmonix si immerse più a fondo nel sottogenere, comprendendo la grande fetta di mercato che poteva catturare, realizzando, nel 2007, Rock Band, la svolta per le periferiche musicali.
La chitarra non era più l'unico strumento: si affacciava per la prima volta anche la batteria, mentre veniva introdotto il microfono, già utilizzato da altri titoli in passato. Il videogioco ritmico diventava collaborativo: più si era in sintonia, più il punteggio aumentava.
La caduta
Rock Band fu l'apice e la rovina dell'impero dei controller musicali. Il grandissimo successo, coadiuvato dalla popolarità sempre crescente dei brani proposti (grazie anche alla distribuzione da parte di un colosso come MTV, che era subentrato a RedOctane), portò a un fervore improvviso e sconsiderato nei confronti di questo tipo di produzioni, saturando il mercato in meno di un paio d'anni. Inoltre, la Grande Recessione del 2009 portò all'esplosione di questa bolla di entusiasmo, scatenando il timore di produttori e distributori, che si videro presto meno disposti a investire grandi quantità di denaro in progetti come quelli che erano fioccati fino a qualche mese prima.
Le collaborazioni con realtà mastodontiche come i Beatles o Lego non riuscirono a risollevare la situazione, portando a un brusco rallentamento nella produzione di nuovi controller musicali, dato che i più riutilizzavano quelli del passato, ancora funzionanti e sui quali avevano già fatto un discreto investimento. Fu ben presto chiaro che l'introduzione di contenuti musicali a pagamento fatti uscire con una certa cadenza portava molti più introiti della vendita di un nuovo titolo o periferica.
Così, gli strumenti passarono in secondo piano rispetto alla musica, unica forza motrice che continuava a far girare il denaro attorno a questi giochi. Dopo Rock Band 3 (che introduceva il piano e la possibilità di utilizzare una vera chitarra elettrica), Harmonix tirò il freno, aspettando un assestamento del mercato e lanciandosi in nuove avventure, come quella di Dance Central, sfruttando i nuovi controller di movimento provenienti da Nintendo e PlayStation, oltre al Kinect di Xbox.
I controller musicali (salvo qualche sperimentazione, come DJ Hero) scomparvero dai salotti, rimanendo a prendere polvere in cantina o servendo da attaccapanni nelle camerette di una miriade di ragazzi e ragazze che non sapevano più come sfruttare quegli ingombranti dispositivi, se non durante uno o due amarcord serali riunendo la "band" di un tempo. Questo, almeno, fino al 2015, quando apparve una nuova speranza all'orizzonte: l'ottava generazione di console.
PlayStation 4 e Xbox One segnarono il momento perfetto per l'introduzione di una nuova era dei videogiochi ritmici. Tutto poteva ripartire da zero. Mentre Guitar Hero decise di reinventarsi, proponendo un nuovo tipo di controller-chitarra, Rock Band rimase sul classico e scelse di premiare gli appassionati che ancora possedevano gli strumenti del passato, rendendoli sostanzialmente tutti compatibili con il nuovo titolo. Un nuovo scontro tra titani. Ma uno scontro dalla breve durata.
Guitar Hero Live, oltre al fatto di non poter contare su un sistema di periferiche già impiantato nelle case dei giocatori, alzandone esponenzialmente il prezzo di vendita, si trovò a chiudere la modalità GHTV (quella che presentava il maggior numero di brani, da poter suonare sopra al video musicale originale) solo nel 2018, cosa che scatenò la furia dei giocatori. Al contrario, Rock Band 4 decise di continuare sulla strada dei contenuti aggiuntivi, non proponendo, tuttavia, un sostanziale svecchiamento della formula. A giudicare dai quasi dieci anni passati dalla loro uscita, la lezione di non saturare il mercato è stata certamente colta, ma questo lungo silenzio è, probabilmente, anche dovuto all'arrivo di nuove forme di interazione con i videogiochi.
Quello che ci aspetta
Per capire ciò che arriverà domani, dobbiamo fare un passo indietro. Era il 2011 quanto Ubisoft introdusse sul mercato Rocksmith, un videogioco che permetteva di collegare la propria chitarra elettrica (successivamente, anche il basso) e suonare brani più o meno famosi seguendo la partitura originale o una sua versione più semplificata, ma che rimaneva comunque fedele a quanto ci si potrebbe aspettare dal suonarla veramente.
Rocksmith, insieme ai nuovi giochi di danza come Just Dance e Dance Central, ha spianato la strada a un nuovo modo di percepire l'interazione con i videogiochi musicali. Proprio il videogioco Ubisoft ha vissuto un'evoluzione che si è trasformata in piattaforma di apprendimento. Rocksmith+ sembra essere il futuro di questa tipologia di produzioni, perfettamente in linea con il mercato odierno. Un abbonamento dà accesso a una ricca libreria musicale che è possibile consultare da qualsiasi luogo, da console, computer o dispositivi mobili, anche con il solo ausilio di un microfono esterno (permettendo, quindi, l'utilizzo di chitarre non elettrificate, oltre all'introduzione del pianoforte). Da non sottovalutare Taiko No Tatsujin e i suoi divertenti tamburi.
Mentre da una parte, quindi, ci si avvicina più alla direzione intrapresa dai servizi di apprendimento, dall'altra ci si affaccia all'immersione più totale, attraverso la realtà virtuale e aumentata. Titoli come Beat Saber hanno dimostrato che esiste ancora spazio per i videogiochi ritmici, mentre altri come Pistol Whip ne hanno ampliato gli orizzonti, fondendo generi e valicando confini. Questo, significa, che siamo arrivati alla fine dei controller musicali? Probabilmente sì.
Il mercato punta in altre direzioni, verso la digitalizzazione e l'interazione attraverso hardware sempre meno invasivi. Lo dimostra anche la recente rivelazione del product manager di Harmonix che, in seguito all'acquisizione dello studio da parte di Epic Games per lo sviluppo di Fortnite Festival, interromperà le pubblicazioni settimanali di nuovi brani per Rock Band 4, consigliando agli appassionati di convergere sul nuovo servizio gratuito (che vedrà l'implementazione anche delle periferiche di Rock Band, in futuro).
Grossi pezzi di plastica destinati a prendere polvere perché non riutilizzabili in altri contesti paiono ormai in controtendenza con la tendenza. Ma non è detto che, un domani, qualche altro seguace del mondo musicale, memore degli anni d'oro dei videogiochi ritmici e dei loro improbabili controller musicali, trovi un modo per solleticare l'interesse del mercato nuovamente, riportandoci tutti attorno al divano una domenica pomeriggio dopo un pranzo in famiglia, o nei megastore di elettronica, suonando in compagnia di completi sconosciuti che, dopo quei dieci minuti di sintonia, usciranno dalle nostre vite esattamente come vi sono entrati.