Versione testata: PlayStation 3
Dragon Age II si è evoluto nel corso dei mesi rimanendo costantemente in bilico su un sottile filo all'apparenza sempre in procinto di spezzarsi. Fin dal primo incontro in una delle fiere di settore, vedere dal vivo il sequel, talvolta anche provandolo in prima persona, ci trasmetteva sensazioni sempre diverse talvolta persino in contrasto tra loro. Ogni tanto rimanevamo con l'amaro in bocca, altre volte uscivamo dalla sessione di test esaltati e non sono mancate le volte in cui ci siamo sentiti completamente indifferenti nei confronti del gioco. Questo miscuglio di stati d'animo li abbiamo riprovati anche nel corso delle prime, lunghe ore di gioco in vista della recensione; ma fortunatamente più ci siamo lasciati trasportare dal flusso degli eventi e più le nostre sensazioni negative venivano dissolte e soppiantate da quelle positive. Dragon Age II è evidentemente un titolo schizofrenico che ha costretto BioWare a raggiungere grandi compromessi in fase di design nel tentativo finale di realizzare un gioco di ruolo action profondo e dettagliato nei contenuti ma allo stesso tempo immediato e semplificato nelle meccaniche di gioco.
Meglio di un buon libro di storia
Dopo circa dieci minuti di installazione e poco più di tre GB di dati occupati sull'hard disk della PlayStation 3, Dragon Age II si presenta proponendo da subito un corposo combattimento che funge al tempo stesso da tutorial: le indicazioni su schermo sono minime e al giocatore viene richiesto di sperimentare e provare le varie tattiche o magie del protagonista controllato. Non si può praticamente morire e l'escamotage adottato permette di toccare subito con mano la grande frenesia e coreografia del sistema di combattimento rivisto in modo quasi integrale. La classe si sceglie in fase di avvio della partita e permette le sole tre scelte già viste in Origins: ladro, guerriero o mago nelle versioni femminili e maschili. Sullo stesso stile già visto in Mass Effect, appena superato il tutorial, sarà possibile accedere alla personalizzazione vera e propria del protagonista: dall'aspetto fisico al suo ritratto, passando per il nome, ma non per il cognome. A questo punto il gioco ci permette di importare un salvataggio del primo Dragon Age oppure di selezionare uno tra tre scenari pre-impostati piuttosto differenti tra loro. In questo modo il gioco andrà a creare il contorno storico che vede narrare le gesta di Hawke, il campione di Kirkwall: chi è il re del Ferelden, chi ha sconfitto l'Arcidemone, quali sono i rapporti di forza tra templari e chiesa, elfi e umani, Dalish e lupi mannari e così via. Tutto questo per dare sostanza storica a un sequel che parte cronologicamente quasi in contemporanea con Origins (il nuovo protagonista è un fuggitivo di Lothering, il primo paese spazzato via dalla Prole Oscura del Quinto Flagello) ma che si spinge avanti nel tempo per circa dieci anni mostrando tutte le debolezze, i giochi di potere e le nuove minacce che lentamente si stanno sostituendo a quanto visto e raccontato con orrore nel predecessore.
Il risultato è un canovaccio narrativo gestito attraverso dei piccoli flashforward che fungono da raccordo tra i vari momenti cruciali della vita del protagonista e che probabilmente non spicca per originalità o per reali momenti epici di trasporto emotivo ma che viene raccontato nel corso del gioco in modo impeccabile e trascinante sfruttando a dovere l'enorme quantitativo di dialoghi proposti, appoggiandosi a brevi ma costanti sequenze di intermezzo dal buon taglio registico e soprattutto sfruttando a dovere le numerose sfaccettature e il carisma dei vari personaggi che il giocatore incontrerà sulla sua strada e che diventeranno membri attivi del suo party. Sono state invece completamente accantonate le origini e con esse la possibilità di scegliere una razza per il protagonista, obbligato a essere un umano. Una scelta estremamente criticabile la prima ma probabilmente un male necessario per consentire a BioWare di focalizzarsi in modo più corposo sulla narrativa rendendo credibili e coerenti le conseguenze delle scelte operate dal giocatore durante la partita. Il rovescio della medaglia è un grado di rigiocabilità che non si avvicina minimamente al primo Dragon Age: le prime abbondanti dieci ore di gioco in questo sequel sono praticamente sempre le stesse e cambiare stile di combattimento scegliendo un'altra classe a nostro parere non basta per spingere il giocatore ad andare avanti per scoprire cosa avviene comportandosi in modo diverso. In ogni caso di carne al fuoco ne rimane in abbondanza anche per una singola partita: difficilmente riuscirete a completare Dragon Age II in meno di quaranta ore ma non troverete grandi difficoltà a raggiungere le cinquanta o addirittura le sessanta ore di gioco.
Novelli artigiani
Rimane una bozza di crafting anche in Dragon Age II. Considerato che anche Origins non spiccava da questo punto di vista, saranno in pochi a lamentarsi per le modifiche di sostanza operate da BioWare. Ora non sarà più necessario raccogliere tonnellate di radice elfica o funghi delle profondità rovistando ogni singola locazione per creare le proprie pozioni ma basterà scoprire le varietà di erbe o minerali sparsi per il mondo di gioco e comprare le ricette dai diversi venditori. A questo punto quando si interagisce con il bancone di lavoro dedicato, sarà possibile creare un numero virtualmente infinito di rune, pozioni, veleni, bombe e così via senza preoccuparsi dei reagenti visto che saranno solo i soldi a contare. Ogni ricetta ha infatti dei requisiti di varietà sbloccate che, una volta soddisfatti, consentono il crafting ad libitum.
Sei solo chiacchiere e distintivo!
Spendiamo ancora qualche parola per i dialoghi del gioco. In questo sequel sono decisamente più presenti e meglio delineati soprattutto nelle caratterizzazioni dei personaggi. Rimane la scelta multipla senza alcun tipo di limite temporale con l'aggiunta di una piccola indicazione visiva che dovrebbe suggerire al giocatore l'approccio di Hawke al dialogo se si sceglie quell'opzione. Il sistema funziona piuttosto bene, soprattutto nella componente di approfondimento al dialogo: è infatti possibile indagare durante le chiacchierate per avere maggiori elementi di storia e, a seconda dei personaggi presenti nel party, talvolta si sbloccano opzioni per far partecipare alla discussione o per far agire i propri compagni. Purtroppo non mancano delle volte in cui inevitabilmente si fraintende la scelta che si sta per fare e soprattutto ci sentiamo di criticare la precisa scelta di BioWare di eliminare del tutto una competenza del protagonista nella persuasione: scordatevi quindi opzioni di dialogo per evitare combattimenti o raggirare l'interlocutore se non in casi rarissimi previsti dalla storia stessa. Ma arriviamo al cuore di Dragon Age II: i combattimenti. Qui si esplicita con forza quella ricerca di un compromesso operata da BioWare durante la realizzazione del suo progetto. E' evidente come si sia voluto semplificare e rendere molto più immediati, attivi e probabilmente coinvolgenti i combattimenti spostando il focus sull'azione in tempo reale quasi a voler ricercare l'anima più action di un qualsiasi RPG d'azione che si rispetti. Il risultato è buono solo in parte ed è estremamente legato al livello di difficoltà scelto (che può comunque essere cambiato in qualsiasi momento del gioco). Giocando infatti ai livelli facile o normale si andrà avanti suonando con forza il pulsante X, quello del colpo standard, quasi sul limite del button mashing di un qualsiasi picchiaduro a scorrimento. L'importante è gestire adeguatamente il mana o il vigore a seconda della classe per attivare le varie magie e abilità speciali e aver "configurato" i membri del party a ogni cambio di livello attraverso il menu delle tattiche, ripreso di sana pianta da quello di Origins. In questo modo ad esempio sarà possibile impostare, anche automaticamente attraverso dei set pre-impostati, l'aggressività dei compagni di squadra e far gestire all'intelligenza artificiale l'uso delle loro abilità. La cosiddetta pausa tattica è sempre presente con la pressione del grilletto sinistro ma sarà necessario solo negli scontri più difficili bloccare l'azione per far magari bere una pozione a un compagno o indirizzarlo verso un nemico in particolare. Il risultato è un'azione costante, frenetica e anche piuttosto adrenalinica ma che ovviamente tralascia in blocco la profondità tipica di una gestione avanzata del party.
Gestione che diventa invece cruciale e costante se si scelgono i due livelli di difficoltà maggiori ma con un drammatico rovescio della medaglia: comandare manualmente i compagni diventa un'esigenza fondamentale per superare anche gli scontri con i nemici più stupidi, soprattutto se questi si presentano in grandi numeri, pena la morte costante dei personaggi più deboli o l'uso incessante di pozioni (a discapito dell'economia del protagonista). Ma così facendo viene fuori tutta la macchinosità del sistema di controllo che si appoggia a un menu radiale che compare quando si utilizza la pausa tattica e che serve a dare qualsiasi tipo di comando. L'impossibilità di muovere liberamente la telecamera (se non tramite l'uso di magie e abilità con area di effetto) e un sistema di targeting basato sull'angolo di visuale dei personaggi contribuiscono a rendere ogni scontro una sorta di micro-gestione certosina. Sicuramente questo stile può soddisfare i giocatori di ruolo più incalliti (anche se il nostro consiglio in questo caso è di lanciarsi sulla versione PC che, se non altro, permette l'uso del mouse per la selezione di personaggi e abilità) ma aumenta a dismisura la durata di ogni scontro. E' interessante anche il lavoro fatto da BioWare per stimolare le combinazioni di abilità tra classi differenti. Ci sono infatti tutta una serie di abilità e magie che guadagnano bonus quando colpiscono nemici storditi o vacillanti ad esempio e ovviamente non mancano azioni che rendono tali gli avversari. In questo modo si stimola il giocatore a incrociare tra loro le varie abilità e a tenere sempre sott'occhio, per quanto possibile, l'intera area di combattimento.
My magic diary
Dove Dragon Age II brilla, probabilmente più anche del suo predecessore è nelle quest. Ce ne sono tantissime, probabilmente non particolarmente originali o varie, ma legate a doppia mandata con il gameplay e il suo prosieguo. Il quest log in particolare fa un ottimo lavoro nel suddividerle tra principali, secondarie, sotto-trame, quest dei compagni di viaggio e dicerie su cui indagare e, non capiterà mai di rimanere indecisi sul da farsi o spaesati in giro per il mondo di gioco complice anche il funzionale sistema di navigazione tra le location di Kirkwall e i confini esterni che mostra sempre in modo evidente quali quest sono presenti in ogni zona. Probabilmente rimane un fondo di linearità eccessivo, soprattutto nella trama principale che potrebbe far storcere il naso agli amanti dell'esplorazione non guidata ma non mancherà una corposa quantità di materiale che si può raccogliere girovagando e che alimenta un codex estremamente profondo e ricco di quel lore a cui ci aveva abituato positivamente Dragon Age: Origins.
Più ruolo per tutti
Archiviati la fase di creazione e i combattimenti, arriviamo al terzo aspetto cardine dei giochi di ruolo: la gestione del personaggio. Dragon Age II offre un classico sistema a livelli di esperienza con un cap fissato al ventesimo (in attesa degli immancabili DLC). Ci sono le classiche statistiche che cambiano di uso e importanza a seconda della classe scelta (la forza e la costituzione sono cruciali per un guerriero, rispetto alla destrezza e all'astuzia per un ladro o la magia e la volontà per un mago) e un sistema di talenti completamente rivisto rispetto a quello di Origins. Ora in pratica ogni personaggio ha a disposizione una manciata di rami di abilità, consideratele diverse scuole di magia o tipologie di attacco. Ognuna di questa schermata è poi suddivisa nei vari talenti (solitamente 10 per ramo) che sono di tre tipi: quelli attivabili che fungono da colpi speciali o magie lanciabili, quelli passivi che offrono bonus permanenti e i buff che, una volta attivati, riducono di una certa percentuale il pool di mana o di vigore del personaggio.
Ci sono ovviamente dei requisiti per i talenti di livello più alto di ogni ramo sia in termini di statistiche che di altre abilità sbloccate ma in generale questa apparente semplificazione ci ha convinto per una libertà di scelta e una migliore suddivisione che compensano adeguatamente la mancanza di talenti "accessori" e meno legati ai combattimenti (ad esempio la persuasione già citata in precedenza o la possibilità di borseggiare per il ladro). Ma non finisce qui: il giocatore ha anche tre ulteriori rami che può sbloccare investendo il punto di specializzazione che si guadagna al 7° e al 14° livello; gli altri personaggi che seguiranno il giocatore nelle sue peregrinazioni avranno invece un ramo personale con alcune abilità specifiche e inedite e due bonus passivi particolari che si attiveranno in modo mutualmente esclusivo (o uno o l'altro) a seconda del grado di rispetto nei confronti di Hawke (amico o rivale). Anche in questo caso abbiamo quindi una versione edulcorata di quanto trovato in Origins e che viene incontro alle ridotte possibilità di interazione con i compagni: rimangono ovviamente quest specifiche e la possibilità di relazionarsi anche in modo amoroso (sì, ci sono anche le orribili scene di sesso della tradizione BioWare) ma tutto il sistema dei doni e dello sblocco crescente di abilità e talenti ora è ridotto ai minimi termini se non completamente rimosso. Anche l'inventario ha subito alcune modifiche che rendono la sua gestione sicuramente più rapida e leggera e non per questo necessariamente peggiorata.
In pratica troviamo i classici slot per posizionare i pezzi di armatura, i vari anelli e amuleti e l'arma con tanto di finestra per il confronto e un comodo sistema per vendere con la pressione di un singolo tasto tutti gli oggetti ritenuti cianfrusaglie. Tutto questo però, solo per Hawke, il protagonista. Per gli altri personaggi non c'è gestione dell'armatura ma solo dell'arma e degli amuleti: corazza, cappello e stivali vengono infatti riuniti in un singolo slot che non può essere personalizzato ma è parte integrante del personaggio stesso. Al giocatore è consentito l'acquisto dai vari negozianti (o come reward di alcune quest) di singoli potenziamenti che vengono applicati in automatico a questo slot. In totale ce ne possono essere quattro e vanno da bonus di ogni natura a slot aggiuntivi per le rune e così via. Così facendo si perde sicuramente qualcosa nel grado di personalizzazione (anche visivo) dei membri del party ma, come detto e ripetuto più volte, BioWare riesce con un ottimo compromesso ad alleggerire alcune meccaniche che possono tenere lontani i meno avvezzi alla parte più gestionale dei giochi di ruolo, senza però minare in modo eccessivo la profondità del gameplay (qualcuno ha detto Mass Effect 2?).
Trofei PlayStation 3
Dragon Age II offre i classici 51 trofei di cui cinque segreti e legati a fondamentali scelte di trama che il giocatore può intraprendere. C'è un solo oro legato al completamento del gioco per due volte di seguito oppure dopo un singolo playthrough ma avendo importato un salvataggio di Origins. Dopo aver completato il gioco senza particolari eccessi nell'esplorazione, non faticherete ad aver sbloccato poco meno del 50% dei trofei ma per raccoglierli tutti dovrete rigiocarlo più volte e dedicarvi anima e corpo alla ricerca dei reagenti, al crafting e alle varie specializzazioni dei talenti del personaggio protagonista e dei suoi compagni.
Nel ruolo di tecnici
Non possiamo ovviamente concludere il nostro articolo senza aver dedicato un paragrafo all'aspetto tecnico di Dragon Age II, ennesimo argomento di discussione che, siamo sicuri, non mancherà di accendere gli animi dei lettori. Il risultato grafico è complessivamente buono seppur non eccezionale. Il gioco alterna infatti degli scenari piacevolmente realizzati che, in alcuni frangenti, offrono anche degli scorci molto dettagliati a una modellazione dei personaggi poco più che discreta con buone animazioni facciali ma un dettaglio delle texture decisamente basso soprattutto per quello che riguarda le armature e l'equipaggiamento in generale. C'è però un lato negativo che affligge gli scenari, più di una loro generale staticità dovuta a una ricerca di pulizia forse eccessiva e che sembra limitare anche i particellari e gli effetti in post-processing. Stiamo parlando di una tendenza molto evidente di riciclo delle location: vi capiterà spessissimo in quest diverse di ritrovarvi non solo nel medesimo scenario ma proprio nella stessa mappa talvolta leggermente modificata tramite qualche via secondaria altrimenti non accessibile e la cosa, complice il numero elevato di quest secondarie, sulla lunga può venire a noia. Altra nota negativa, non sappiamo bene se legata esclusivamente alla versione PlayStation 3 (ma dubitiamo) è la lunghezza eccessiva dei caricamenti che non richiedono mai meno di cinque secondi e sono presenti in grandissime quantità vista la struttura a istanze del gioco. Assolutamente ottimo invece il lavoro fatto dallo sviluppatore per la fluidità del gioco che, pur non raggiungendo i sessanta frame al secondo, è piuttosto stabile a prescindere dalla complessità delle situazioni. E anche la decisione di rendere la palette cromatica decisamente più varia e colorata, pur mantenendo i suoi tratti cupi nei frangenti che lo richiedono, è sicuramente apprezzabile.
Eccezionale il comparto audio con musiche orchestrali di grande spessore e un doppiaggio (in inglese) estremamente ben recitato con delle vere punte di diamante rappresentate da Hawke e dalla piratessa Isabela (fatevi sempre accompagnare da lei, mi raccomando, perchè è assolutamente splendida nel suo humor). Sono ovviamente presenti i sottotitoli in italiano che rispecchiano questa qualità generale ma sono limitanti purtroppo nelle chiacchierate tra i membri del party: mentre infatti si sta girovagando, capiterà non di rado di assistere a degli scambi di battute tra i compagni di viaggio. Il problema è che questi dialoghi appaiono solo sulle loro teste con le classiche bubbles e, se non masticate bene l'inglese, vi obbligheranno a fermarvi per girare la telecamera e capire cosa si stanno dicendo. Non avrebbero guastato in questo ambito, dei semplici sottotitoli su schermo.
Conclusioni
Dragon Age II pur distaccandosi in negativo dal suo predecessore, Origins, rimane un ottimo gioco di ruolo dove la componente action è particolarmente forte e le meccaniche sembrano strizzare l'occhio a chi non è super appassionato e fanatico del genere ma che non disdegna di poter approfondire alcuni elementi del gameplay procedendo nella sua esperienza di gioco e prendendo confidenza pian piano con quanto il sequel è in grado di offrire. E' indubbio che i fan del predecessore e gli amanti degli RPG duri e puri guarderanno probabilmente con fastidio e pregiudizio gran parte dei compromessi raggiunti da BioWare per dare alla luce questo sequel ma da parte nostra non possiamo che promuovere il lavoro svolto dalla software house canadese che pur con i suoi evidenti difetti e con il maldestro tentativo di accontentare un po' tutti, senza riuscirci pienamente, si lascia giocare con grande coinvolgimento e tutto d'un fiato dall'inizio alla fine.
PRO
- I personaggi sono ben delineati per carattere e background
- La storia pecca un po' di superficialità ma è narrata in modo eccellente
- Diverse scelte di design che distaccano il sequel dal predecessore funzionano bene
- Il potenziamento della componente action rende i combattimenti molto più frenetici e coinvolgenti...
CONTRO
- ...ma allo stesso tempo al salire della difficoltà diventano frustranti e lunghi da gestire
- Tecnicamente si poteva fare di più specie a livello di texture e scenari
- I caricamenti si fanno sentire
- L'alleggerimento delle meccaniche di gioco peserà sicuramente sui fan più accaniti della serie