Una delle cose migliori che Netflix abbia fatto è stato proseguire Pacific Rim. E badate bene che non l'avremmo mai neppure minimamente pensato prima di guardare la prima stagione di Pacific Rim: La Zona Oscura, soprattutto se consideriamo il retaggio del franchise cominciato da Guillermo del Toro al cinema. Il sequel Pacific Rim: La rivolta è stato... beh, una delusione, per usare un eufemismo. E dato che il famoso regista sembrava essersi allontanato dalla sua creatura, le nostre speranze che la serie animata prodotta dal colosso dello streaming fosse un sequel soddisfacente rasentavano lo zero.
E invece La Zona Oscura ci ha stupiti: potete rinfrescarvi la memoria leggendo la nostra recensione della prima stagione, perché adesso vi diremo che ne pensiamo della seconda e ultima stagione nella nostra recensione di Pacific Rim: La Zona Oscura 2.
Il viaggio si conclude
Per chi si fosse dimenticato dov'eravamo rimasti nel marzo del 2021, i nostri protagonisti - Taylor e Hailey - erano appena sopravvissuti a una dura battaglia, ma avevano anche scoperto la vera natura del misterioso bambino che avevano battezzato Boy, in realtà un ibrido capace di trasformarsi in un Kaiju. La seconda stagione comincia esattamente dove finiva la prima, con Boy in forma di Kaiju sotto le macerie e una misteriosa figura incappucciata che osserva la scena.
Vi diciamo subito che la prima metà di questa seconda e ultima stagione ci ha abbastanza annoiato. I primi tre episodi dei sette che la compongono sono davvero blandi e riprendono alcune sottotrame che sembrano proprio cliché: Hayley che si ostina a proteggere Boy, nel quale rivede la famiglia che ha perduto; Taylor che continua a prendersela con la sorella, ma non riesce a dirle di no; Mei che insiste a tenere il broncio come una tsundere qualunque per poi cacciarsi sempre nei guai insieme a gli altri due.
La ricerca di una cura per la ferita di Boy, inferta da una misteriosa sorellanza devota ai Kaiju, condurrà i nostri a un buffo personaggio che smuoverà finalmente la stagione dal suo torpore e solo a quel punto la storia inizierà a farsi più coinvolgente.
Le sorelle dei Kaiju sono probabilmente l'aspetto più problematico di Pacific Rim: La Zona Oscura. Introdotte nella mitologia della serie con una miniserie a fumetti (Pacific Rim: Aftermath) incentrata sul personaggio di Hannibal Chau, che al cinema era interpretato da Ron Perlman, queste fanatiche inseguono Boy perché lo considerano il loro messia. Sono, tuttavia, estremamente anonime e spersonalizzate: la stessa madre superiora, che riveste il ruolo di antagonista e burattinaia nell'ultimissimo episodio, è delineata solo sommariamente e non se ne capiscono bene le origini e i veri scopi. Quella della sorellanza è una minaccia vaga e incomprensibile, più simile a una forza soprannaturale che a una minaccia extraterrestre che affonda le radici nella fantascienza.
Le dimensioni "mitologiche" di Pacific Rim: La Zona Oscura diventano quindi vaghe e indistinte, talmente tanto che a tratti la serie sembra sconfinare nel fantasy: poteva essere un'ottima occasione per tratteggiare meglio alcuni aspetti della serie, come per esempio i Precursori, e invece si è voluto aggiungere altra carne al fuoco senza sapere se e quando sarà mai sviluppata. Considerando che La Zona Oscura si conclude con questa tranche di episodi, chi si aspettava di rivedere qualche personaggio comparso nei film in chiave anime, tipo Newt o un Pentecost a caso, resterà sicuramente deluso da queste aggiunte che sembrano quasi appartenere a un universo del tutto differente.
Tra l'altro, il discorso si potrebbe fare anche per il personaggio di Boy, che nel corso di questi episodi non si evolve minimamente, anche perché rimane privo di conoscenza in quasi tutti e sette. L'impressione è che lo scrittore Craig Kyle - che pure avrebbe dovuto avere una certa confidenza con gli adolescenti problematici, visto che è stato lui a creare il clone di Wolverine noto come X-23 nei fumetti Marvel - abbia trovato impossibile sviluppare Boy nel corso dei pochi episodi concessi dalla produzione e che abbia quindi optato per un escamotage che gli permettesse di chiudere l'arco narrativo con un finale soddisfacente, ma affrettato.
Lo sprint prima della fine
Come abbiamo detto, questa stagione di Pacific Rim: La Zona Oscura ci mette un po' a trovare la quadra, ma nel terzo episodio si riprende con un colpo di scena clamoroso che cattura l'attenzione e la trattiene per tutti i restanti. Non vogliamo anticiparvi troppo, ma possiamo dirvi che le sottotrame imbastite fin dalla stagione precedente riprendono finalmente il sopravvento con un'intensità considerevole, specialmente quella che coinvolge Mei e Shane.
Lei rimane una coprotagonista abbastanza stereotipata, ma il suo complicato rapporto con Shane si risolve in modo nient'affatto scontato. Pacific Rim: La Zona Oscura è una serie adulta, in tal senso, perché non è fastidiosamente didascalica e tratteggia in modo asciutto le sfaccettature dei legami sentimentali, che qualche volta prendono pieghe inaspettate e apparentemente incomprensibili.
Il Drift torna a essere uno strumento d'introspezione, attraverso i contatti mentali e i flashback, che aiuta lo spettatore a comprendere meglio i vari personaggi e loro motivazioni. Forse la serie esagera un po' con le possibilità che offre questa tecnologia fantascientifica, ma verso la fine ne sfrutta una in particolare con uno stratagemma che non può lasciare indifferenti, specie se le vicissitudini della famiglia Travis sono riuscite a fare presa nello spettatore.
Paradossalmente, la seconda stagione de La Zona Oscura insiste più sui personaggi e le loro vicende che sulle scene d'azione, distribuite in modo poco uniforme nel corso dei sette episodi, ma ottimamente realizzate. Dal punto di vista tecnico, la serie prodotta da Polygon Pictures - gli stessi della trilogia di Godzilla, Transformers: La guerra per Cybertron, Stars Wars Rebels e molti altri - si presenta ancora meglio che lo scorso anno. Le animazioni ci sono sembrate sensibilmente più fluide e curate, la regia più raffinata e la varietà di Kaiju molto più ampia. Rimane purtroppo deludente il mecha design, più che altro perché di Jaeger se ne vedono pochissimi oltre all'Atlas Destroyer: la narrativa giustifica perfettamente questa scelta, ma rimarca anche la natura de La Zona Oscura, più vicina a uno spin-off che al sequel vero e proprio di cui ci sarebbe bisogno.
Conclusioni
Multiplayer.it
7.5
Pacific Rim: La Zona Oscura si conclude con una seconda stagione che si potrebbe spaccare letteralmente in due. Inizia in modo incerto ed effettivamente anche un po' noioso, ma vi consigliamo di resistere per i primi tre episodi perché poi prende lo slancio e sferra alcuni colpi di scena davvero memorabili. È una storia contenuta, purtroppo, che prova a ingrandire una serie che invece avrebbe meritato un approfondimento più centrato. Chi lo sa, magari un giorno arriverà una nuova serie animata che darà all'immaginario di Guillermo del Toro la conclusione che merita, ma intanto possiamo dire di aver apprezzato questa parentesi breve ma intensa.
PRO
- Conclude la storia iniziata l'anno scorso in modo soddisfacente
- Nella seconda metà ci sono dei colpi di scena memorabili
CONTRO
- I primi tre episodi non sono granché
- Le sorelle dei Kaiju sono antagoniste insipide