Bruce Lee diceva: "Non temo un uomo che si è allenato per tirare 10.000 calci diversi, ma uno che si è allenato per tirare lo stesso calcio 10.000 volte". Questo genere di filosofia ha fatto la fortuna dei numerosi studi di sviluppo che si sono specializzati in una direzione chiara e ben definita, al punto tale che la maggior parte di quelle che fino a pochi anni fa erano considerate come delle nicchie si sono lentamente trasformate in immensi contenitori pronti ad accogliere milioni e milioni di utenti. Tale fenomeno si è verificato in particolar modo sulle sponde del Giappone, un paese che sul piano creativo si è sempre mosso in una direzione tutta sua, proseguendo ostinatamente lungo binari molto distanti dalle correnti dominanti del mercato. Ed è un po' quel che è accaduto anche dalle parti dello storico Team Ninja di Koei Tecmo, squadra fondata nel 1995 che è sempre rimasta ancorata a due grandi punti fermi: il combattimento sfrenato e il senso della sfida.
Quelle ispirazioni, nel corso degli ultimi anni, si sono condensate nella pubblicazione di Nioh, un'opera che da sola è stata sufficiente per gettare il seme poi germogliato in Nioh 2, Stranger of Paradise: Final Fantasy Origin e Wo Long: Fallen Dinasty. Ma si sa, l'ambizione talvolta è una brutta bestia da domare, ed è stata proprio un'ambizione smisurata a convincere Koei Tecmo a mettere in cantiere un altro videogioco che è rimasto in sviluppo per circa sette anni, forte della volontà di portare quella formula vincente su un gradino superiore attraverso l'adozione di una struttura open world.
Quel videogioco è Rise of the Ronin, un'avventura di stampo storico che racconta il cosiddetto periodo Bakumatsu del Giappone e si presenta come la prima esperienza priva di confini mai realizzata dai creativi del Team Ninja; il richiamo del mondo aperto è un po' come il canto delle sirene nelle leggende: affascinante, irresistibile, ma capace far smarrire la rotta anche ai marinai più preparati. Come si è mossa la flotta guidata dal game director Fumihiko Yasuda? Scopritelo nella nostra recensione di Rise of the Ronin.
Il viaggio del rōnin
La narrazione di Rise of the Ronin copre praticamente l'interezza del periodo Bakumatsu, ovvero la grande crisi dello Shogunato Tokugawa iniziata nel 1853 e destinata a esaurirsi nel Rinnovamento Meiji, portando al tramonto della figura del classico samurai e alla totale riorganizzazione del tessuto socio-culturale del Giappone. Quando le navi della flotta americana guidate dall'ammiraglio Perry giungono nella baia di Edo (oggi divenuta Tokyo) per interrompere l'isolamento del paese, la nazione si spacca a metà fra coloro che sono favorevoli all'apertura - principalmente per ottenere le competenze belliche degli invasori - e un fronte ribelle che mira a cacciare i "barbari" e abbattere definitivamente lo Shogunato.
L'opera del Team Ninja ruota attorno a tutti gli avvenimenti chiave e soprattutto le figure più importanti di quest'epoca, portando per esempio sul palcoscenico il samurai Ryōma Sakamoto, lo shogun Yoshinobu Tokugawa, o il grande leader militare del dominio di Chōshū Kogorō Katsura, le cui imprese tingeranno di rosso i dintorni delle città di Yokohama, Edo e Kyoto, snodi centrali di un mondo di gioco che ricalca in maniera quasi perfetta la struttura dei primi due capitoli di Assassin's Creed.
Protagonista della vicenda è una Lama Velata, un potentissimo rōnin senza nome che ciascun giocatore può personalizzare nei minimi dettagli e che, separato dal suo clan, si troverà sguinzagliato in mezzo al paese in tumulto in cerca di vendetta... o di una nuova strada da percorrere. La trama alza infatti il sipario su diverse fazioni con cui è possibile allearsi, su un'enorme selezione di comprimari con cui stringere "legami", ma soprattutto su una lunga serie di scelte che non incidono tanto sullo scorrere degli eventi, quanto più sul punto di vista da cui si finisce per osservarli. In sostanza, la storia non si può stravolgere e le scelte conducono inevitabilmente in direzioni simili, ma la Lama Velata è libera di vivere l'epoca attraverso gli occhi dei ribelli dei Chōshū oppure al fianco di coloro che vogliono cambiare lo Shogunato dall'interno.
Se da una parte la narrazione è interessante e mette sotto i riflettori un momento fondamentale e poco conosciuto della storia giapponese, dall'altra la sceneggiatura è scandita da dialoghi poco brillanti, costellata di conflitti che si risolvono sempre a tarallucci e vino, nonché inondata di personaggi che vengono presentati in pompa magna per poi svanire senza lasciar traccia. La trama non ha mai rappresentato l'essenza delle opere del Team Ninja, anzi, ma in questo caso occupa una frazione corposa dell'esperienza e non lo fa certo nel migliore dei modi, al punto che passata la metà è facile trovarsi a saltare i dialoghi delle decine di missioni legame che punteggiano il mondo di gioco.
Un mondo aperto vecchio stile
Rise of the Ronin si sviluppa lungo tre vaste mappe open world legate alle città di Yokohama, Edo e Kyoto che rimangono saldamente ancorate alla classica formula dei videogiochi in mondi aperti della settima generazione di console. Ciò si traduce in grandi regioni che prendono vita principalmente attraverso i punti d'interesse ben segnalati sulla mappa: ci sono roccaforti e villaggi da liberare, gattini da accarezzare, santuari presso cui pregare, zone fotografiche, qualche prova di abilità e una pioggia di missioni secondarie che incrementano il livello del legame con i comprimari. La ricetta riesce a funzionare perché ogni singola attività trova la sua valvola di sfogo nel combattimento: non importa cosa si decida di fare, perché alla fine arriverà sempre il momento di sguainare la spada e lanciarsi nelle battaglie che costituiscono la spina dorsale del progetto. Di contro, la maggior parte delle altre meccaniche sono mutuate da opere come per esempio Ghost of Tsushima o Assassin's Creed, ma alla prova dei fatti non riescono quasi mai a dimostrarsi all'altezza delle ispirazioni originali. È il caso ad esempio dei panorami, che sono sì suggestivi, ma risentono parecchio del comparto grafico arretrato, oppure di strumenti come l'abbozzato parkour, la cavalcatura, il rampino e l'aliante, il cui sfruttamento non si può certamente dire pulito e perfettamente integrato.
Nella sua zona di comfort Team Ninja resta inattaccabile: la maggior parte delle missioni principali si svolgono infatti in aree dai contorni ben definiti in cui aprirsi la strada fra orde di nemici per raggiungere l'arena del boss di turno, fra l'altro reclutando i compagni con cui si è stretto un legame. Tuttavia, varcata quella soglia, il mondo sembra quasi privo di un reale design dei livelli, risulta macchinoso nella navigazione e in sostanza fatica a rendere l'ambientazione un valore aggiunto capace di potenziare il resto dell'offerta. Cavalcando nel mondo aperto il pensiero rimane sempre fisso sul combattimento e sul prossimo nemico da sconfiggere, mentre i paesaggi e soprattutto l'esplorazione non sono quasi mai in grado di catturare l'attenzione. L'altra faccia della medaglia risiede nell'intricato tessuto di meccaniche che si fondono con la narrazione, perché le regioni del Giappone trascinano sul palcoscenico dozzine di personaggi con cui stringere legami anche di tipo sentimentale, grandi fazioni a cui è possibile allinearsi per ottenere ricompense, oltre che diverse funzionalità di puro colore, come ad esempio una casa da arredare, un eccellente sistema di personalizzazione estetica e un segmento di sviluppo tecnologico legato al "Leonardo da Vinci giapponese" Izuka Igashichi.
Combattimento, combattimento, combattimento
Il sistema di combattimento confezionato da Team Ninja rappresenta senza se e senza ma il fiore all'occhiello della produzione. Si tratta di una miscela di tutte le meccaniche introdotte dallo studio nel corso degli anni, a partire dal Ki, ovvero la "stamina" risalente a Nioh, passando per il sistema di deviazioni di Wo Long: Fallen Dynasty a cui è stato riservato un tasto dedicato, per arrivare infine ai diversi tipi di guardia che consentono di mutare in tempo reale le tattiche, i set di mosse e le abilità speciali a disposizione della Lama Velata. Le sensazioni sono molto simili a quelle offerte dai picchiaduro: nell'uno contro uno bisogna saper leggere gli attacchi del nemico, non aver paura di sfoderare per primi, mettere in atto una pressione incessante, deviare col giusto tempismo i fendenti più pericolosi e punire senza esitazione ogni minimo errore.
Se nelle fasi iniziali la tendenza è quella di approcciare un avamposto sfruttando le meccaniche stealth, assassinando gli avversari dall'ombra e utilizzando le armi da fuoco per abbattere i cecchini da lontano, arriva un momento in cui il rōnin entra sempre dal cancello principale, pronto ad affrontare anche dodici samurai in contemporanea in una danza a base di piroette, parate e violentissime esecuzioni che fa venir voglia di combattere, combattere e combattere ancora. In sostanza, è come se l'intero mondo aperto diventasse un contenitore di stampo "arcade" nel quale dedicarsi solo ed esclusivamente all'attività principale, ovvero la mietitura delle truppe ostili.
Nonostante sia andato incontro ad alcune semplificazioni nell'esecuzione per rendersi più accessibile, il sistema si sviluppa costantemente in profondità: anzitutto è possibile equipaggiare due armi primarie scegliendo da una selezione che può vantare katane, odachi, niuweidao cinesi, sciabole occidentali, doppie spade e tantissime altre opzioni anche dalla distanza, poi ciascuna di esse alza il sipario su almeno tre diversi stili di combattimento che cambiano completamente i set di mosse, il tipo di guardia e le tecniche a disposizione del rōnin. Ma non è finita qui: gli stili di combattimento che regolano le armi - e che ospitano anche belle citazioni a Ryu Hayabusa e alla serie Nioh - necessitano di essere appresi in maniera concreta.
Ciò significa che per padroneggiare un'arte marziale non bisogna solamente salire di livello nel mondo, ma stringere amicizie con altri guerrieri, recarsi in un dojo e impararla direttamente dalla figura che l'ha resa celebre sconfiggendola in un difficile addestramento; un esempio simpatico è quello di Jigoro Kano: l'inventore del Judo è stato inserito nella narrazione proprio come gancio per insegnare al protagonista qualche segreto della lotta corpo a corpo. Tutte queste componenti si muovono in concerto per rendere l'offerta più varia possibile, in modo tale che ciascuna Lama Velata sia diversa dalle altre, tanto nell'abbigliamento e nelle armi quanto soprattutto nelle strategie in battaglia, ed è una cosa che si nota molto affrontando le missioni in modalità cooperativa online.
La più grande differenza rispetto al passato si cela nel sistema di sviluppo e nel bilanciamento generale dell'esperienza, che per la prima volta accoglie un selettore della difficoltà dotato anche di un'opzione facile. Ma ancor più del selettore, a fare la differenza è la struttura a mondo aperto perché, in controtendenza rispetto a Nioh e Wo Long, in Rise of the Ronin è possibile dedicarsi alla pulizia delle mappe per potenziare enormemente le statistiche, le abilità base e soprattutto l'equipaggiamento del protagonista, di fatto appianando molto la curva della sfida. Ciò porta tuttavia un effetto collaterale, perché dedicandosi solamente alla campagna si arriva presto al punto in cui i boss si dimostrano nettamente superiori rispetto al giocatore sul freddo piano numerico, rendendo indispensabile l'atto di dedicarsi alle attività opzionali. Il bilanciamento rimane tutto sommato riuscito e, nel pieno rispetto della tradizione, tanto i livelli di difficoltà più elevati quanto i contenuti post-gioco sono pensati per innalzare il grado di sfida vicino al limite consentito, in modo tale da rispondere alle esigenze dei giocatori più preparati.
L'unica nota stonata risiede ancora una volta nella formula open world, che non sempre riesce a mettersi al servizio del sistema di combattimento. Il cosiddetto raggio di "aggro" dei nemici, per esempio, è estremamente inconsistente, pertanto li porta spesso a fuggire a metà delle battaglie e tornare nella posizione iniziale - rendendo semplicissimo l'atto di ingannare il gioco - mentre il "pathing" che li caratterizza non è certo dei migliori, spingendoli talvolta a rimanere incastrati nelle staccionate e in altri elementi della scenografia. Il fatto è che queste criticità scompaiono non appena si è costretti a giocare secondo le regole: varcando i cancelli del dojo e affrontando le missioni principali, è come se Team Ninja tornasse all'improvviso nel suo habitat naturale, iniziando a muoversi con la convinzione che manca alle altre appendici dell'esperienza.
Grafica, tecnica, esecuzione
Non c'è nemmeno bisogno di specificarlo, ma Rise of the Ronin è un titolo molto indietro sul piano della grafica e della realizzazione tecnica. La buona notizia è che la patch di lancio, pubblicata a ridosso della recensione, sembra aver risolto la maggior parte delle incertezze nel framerate che affliggevano la modalità "Prestazioni"; quella cattiva è che ci si imbatte ancora in situazioni che non dovrebbero appartenere a una produzione esclusiva per la nona generazione di console: vistosi fenomeni di pop-up, texture a bassa risoluzione, un sistema d'illuminazione più che basilare, un livello di dettaglio minimo, incertezze nel sistema di navigazione e una serie di animazioni non certo esaltanti.
Si dice spesso che la grafica non è importante, che il gameplay è il re indiscusso dei videogiochi, ma è evidente che ciò abbia un peso diverso per le opere che mettono al centro del progetto la resa di un'ambientazione storica in un vasto mondo da esplorare. Al di là dell'esecuzione, dove Rise of the Ronin risente di più rispetto agli altri titoli del Team Ninja è nella direzione artistica. Se in passato lo studio ha messo in scena Kami e creature dall'aspetto intrigante, in questo caso la cornice realistica l'ha costretto a realizzare nemici e ambientazioni basilari: oltre a non sfoggiare boss il cui design rimane impresso come accade ad esempio in un Sekiro, non può vantare i panorami quasi magici di un titolo vecchio quattro anni come Ghost of Tsushima, pensato oltretutto per PlayStation 4.
Nel Giappone Bakumatsu si verifica una specie di paradosso: negli ultimi anni si è teso a criticare attività considerate ripetitive come i classici avamposti da ripulire dai nemici, elogiando invece la messa in scena dei grandi mondi aperti o la qualità dell'esplorazione. In Rise of the Ronin accade esattamente l'opposto: è solo quando si sfoderano le armi che l'esperienza spicca il volo, il che è una testimonianza concreta della bontà del nucleo del gameplay. Sarebbe estremamente facile giungere alla conclusione che la struttura open world non sia adatta alla natura del Team Ninja, che non faccia assolutamente per loro, ma la verità è che si tratterebbe di una soluzione comoda.
Rise of the Ronin, con il suo sistema di combattimento profondo, con le numerose meccaniche che incidono sui legami e sul racconto, e con le tantissime incertezze che si porta dietro, è un ottimo frutto ancora piuttosto acerbo. La speranza, a questo punto, è che i responsabili delle decisioni interne gli concedano il tempo necessario per maturare, perché la sua essenza potrebbe nascondere il potenziale per dare una scossa allo studio, che si è riconfermato un maestro assoluto dell'azione tecnica.
Conclusioni
Rise of the Ronin è figlio della volontà del Team Ninja di evolvere la sua formula a base d'azione pura attraverso una struttura a mondo aperto: al cuore i grandi punti di forza sono rimasti gli stessi di sempre, ma il cambio di paradigma non ha portato i benefici sperati. Il sistema di combattimento è infatti un amalgama profondo, stratificato e accessibile che trasmette ottime sensazioni, per certi versi simili a quelle di un picchiaduro, ma la cornice in cui è collocato non riesce mai davvero a mettersi al suo servizio. La costruzione del mondo di gioco è classica, le attività sono molto semplici, il comparto grafico e l'esecuzione tecnica non sono assolutamente al passo coi tempi, mentre l'ambientazione storica è interessantissima, ma finisce per limitare scenografia e design estetico. Insomma, i combattimenti di Rise of the Ronin sono una goduria imperdibile per gli appassionati del genere, non stancano mai e sanno regalare grandi soddisfazioni, ma sono costretti a reggere sulle proprie spalle tutto il peso di un'opera che, in quasi tutte le altre componenti, rema nella direzione opposta.
PRO
- Sistema di combattimento fantastico, accessibile e profondo
- Tante opzioni di personalizzazione e meccaniche stratificate
- Una finestra molto interessante sulla storia del Giappone
CONTRO
- Mondo aperto inconcludente che non aiuta mai la formula
- Esecuzione tecnica e grafica arretrate e traballanti
- Sceneggiatura e direzione artistica senza alcun guizzo