Si possono avere all'incirca cinque valide ragioni per voler saltare a piè pari Dying Light. La prima è che non si vuole davvero più sentire parlare di titoli sui morti viventi. La seconda è che si è ormai saturi di ambientazioni a sfondo tropicale. La terza è che non si è per nulla portati per una giocabilità in soggettiva a 360 gradi. La quarta è che si sta ancora aspettando un sandbox free-roaming rifinito al 100%, con le interazioni perfettamente chiuse, ogni singola collisione limata al pixel e le animazioni senza sbavature. L'ultima è che si è ancora arrabbiati con Techland per via del trailer in computer grafica di Dead Island, con cui si promuoveva il gioco così come si è sempre fatto in un'industria dove i bullshot, ovvero gli screenshot ritoccati, le versioni PC tacitamente fatte passare come console alle fiere e le dimostrazioni "staged" sono all'ordine del giorno. Senza voler pescare troppo nel torbido di una tradizione che affonda le sue radici in pratiche come il piazzamento delle foto delle versioni coin-op sul retro della copertina di conversioni per sistemi molto più modesti o guardare quello che si fa in altri settori, più o meno limitrofi, con pratiche a cui si dovrebbe essere già belli che vaccinati. Nel caso ci si riconosca in una o più delle fattispecie elencate passate tranquillamente oltre: si può continuare a vivere con la massima serenità anche senza degnare Dying Light di qualcosa di più di un'occhiata di sdegno, concludendo la lettura dell'articolo qui. Tutto il resto del mondo farebbe bene a buttare almeno una sbirciata alle righe che seguono.
Abbiamo provato a fondo il nuovo, intrigante survival horror di Techland
Batti il morto finché cammina
Si parla tanto di Ubisoft, Activision ed Electronic Arts, ma anche Techland, nel suo piccolo, non scherza: una volta fatto centro con Dead Island, nel 2011, lo sviluppatore polacco non ha mollato più la presa, battendo a più non posso il ferro mettendo in cantiere un quantitativo considerevole di sequel più o meno diretti e spin-off, accanendosi per sbranarne fino all'ultimo boccone di potenziale commerciale. Anche Dying Light, di primo acchito, appare il frutto di questo atteggiamento ferocemente speculatorio, proponendo nuovamente un'avventura in una location da cartolina pullulante di morti viventi. Ma a furia di battere gli strumenti si affinano, la mano si fa più salda e le intenzioni più lucide, focalizzate, a portata di concretizzazione. Dying Light è sì frutto dello stesso stampo del fratello maggiore, ne dimostra chiaramente certi tratti anche una volta che lo si approfondisce, ma si muove in una direzione diversa, dimostrando di poter stare in piedi da solo. A ben vedere non tropo da solo, visto che sin dall'annuncio uno dei principali motivi di attrattiva è il suo rifarsi apertamente a Mirror's Edge, senza contare qualche altro appoggino sparso qua e là (Far Cry 3 e 4, Left 4 Dead), grazie a cui mantenersi in corsa sulla giusta traiettoria, ma il risultato coglie perfettamente nel segno: Dying Light propone una formula survival fresca, intrigante e che, alla luce di una lunga prova su un codice preview in avanzato di completamento, sembra funzionare veramente bene, sapendosi rivelare tanto uno spasso da giocare quanto un'esperienza horror viscerale e terrorizzante.
Un altro giorno degli zombi
Il gioco è ambientato ad Harran, una città immaginaria, situata con ogni probabilità in Sud America. A seguito dell'esplosione di una terrificante epidemia che ha trasformato il grosso della popolazione in morti affamati di carne umana, la metropoli è stata isolata dal resto del mondo, diventando una terra di nessuno, al cui interno si consuma un novero di parabole umane così come scolpite angolarmente nel DNA di questo tipo di immaginario dalle opere di George Romero: gente comune che viene travolta dall'apocalisse zombie, altra che prova ad organizzarsi con raziocinio e altruismo e altra ancora che ne approfitta per instaurare la sua concezione personale di ordine naturale delle cose, che solitamente fa rima con "militarismo" e "prevaricazione".
A ballare la samba nel mezzo centinaia di morti viventi e il protagonista, Crane, un agente inviato in loco dal governo, la cui missione va ben presto a rotoli, ritrovandosi costretto a sopravvivere, come uno qualsiasi, lì ad Harran. Pur non potendo contare su premesse, personaggi o accadimenti granché originali, il comparto narrativo di Dying Light è tratteggiato in maniera convincente, riuscendo a far sentire adeguatamente partecipi e motivati, specie quando ci si trova al cospetto di alcune figure particolarmente magnetiche, che svettano sulle altre. Complice sicuramente un'atmosfera vivida e riuscita, frutto innanzitutto della cura e l'attenzione per il dettaglio con cui sono stati realizzati i tanti volti di un agglomerato urbano di ordinario squallore che rende davvero l'idea che la vita da quelle parti sia stata improvvisamente spazzata via dal caos, durante le svariate ore spese ad Harran abbiamo insomma percepito in maniera concreta e urgente la disperazione, la follia, la rassegnazione o l'insolita lucidità che colorano abitualmente queste lande della narrativa horror, arrivando alla soglia dell'ultima missione della storia inclusa nel codice a nostra disposizione con la fortissima curiosità di sapere come andranno avanti le cose.
Affrontare la morte con slancio
Ma a trasmettere sensazioni vivide e riuscite è anche e soprattutto la formula di gioco. Come già ricordato, uno dei punti di forza di Dying Light è quello di mettere nei panni di un personaggio che approccia l'apocalisse zombie contando su un'agilità ben al di sopra della media. La riscoperta e la valorizzazione di spiccate possibilità di movimento e di interpretazione degli ambienti attraverso una visuale in prima persona non è più una novità. È già da qualche tempo, ormai, che dopo gli accenni di Dark Messiah of Might and Magic, Crysis (e prima ancora Far Cry Istintcs) e, soprattutto, l'impulso fornito da Mirror's Edge l'industria ha ripreso in mano e sviluppato certi discorsi, proponendoli in ogni forma, dimensione e contesto, sia esso single player o multiplayer, tripla A o indie, ora con semplici aggiunte a formule consolidate, ora con il revival dei sani valori degli FPS arena, ora con titoli dedicati specificatamente al concetto (InMomentum, DeadCore, NaissanceE, Fotonica). Questo, tuttavia, non toglie un'oncia alla portata del gran lavoro lavoro svolto da Techland. La definizione di "Mirror's Edge con gli zombie" è un po' limitante, visto che Dying Light è anche molto altro, ma profondamente accurata. Gli sviluppatori polacchi sono difatti riusciti ad approntare un sistema di movimento che ricalca in toto quello molto influente tenuto a battesimo da DICE, riuscendo a replicarne complessivamente il livello di profondità, pulizia e gratificazione.
Crane può correre, saltare, scalare, scivolare, tenersi in equilibrio, appoggiarsi brevemente, rotolare per attutire cadute e compiere sostanzialmente tutto il repertorio di movimenti che hanno reso tanto celebre e imitata Faith. Una riproduzione così accurata da avere sostanzialmente del calligrafico, a cui, giusto per amor di precisione e per rendere ulteriormente l'idea, qualcosa manca all'appello (il crouch jump) e altro è stato aggiunto (più possibilità di scalata, il rampino), mentre alcune cose funzionano diversamente, come il wallrun (meno "pronunciato"), il momentum (che può essere virtualmente infinito solo a seguito dello sblocco di un'abilità avanzata) e il raggiungimento di un appiglio (che gode di un sottile ma comunque percettibile automatismo). Aggiustamenti, quelli riguardanti i due ultimi aspetti, opportunamente suggeriti dalla vis survival dell'esperienza. Perché Dying Light è un titolo in cui il focus non è l'interpretazione dell'ambiente in cerca dell'uscita verso il prossimo livello o l'affinamento della propria prestazione di runner, ma sopravvivere, in un mondo aperto, brulicante di pericoli. Un fatto rimarcato anche dalla possibilità di guardarsi istantaneamente indietro premendo un tasto che anziché servire da pendant per concatenare movimenti, come in Mirror's Edge, assolve alla stessa funzione di Outlast, ovvero permettere di tenere sott'occhio eventuali inseguitori, con in più l'aggiunta davvero perspicace e indovinata di rallentare brevemente il tempo, per decifrare meglio cosa sta succedendo. E qui viene chiamato in causa il secondo fattore determinante per la riuscita di un apparato del genere: il level design. Dying Light è un free roaming in cui ci si può avventurare ovunque, in qualsiasi direzione e a qualsiasi altezza, senza limitazioni, un obiettivo che Techland sembra aver raggiunto in maniera eccellente. La parte di Harran che abbiamo potuto giocare in lungo e in largo è uno spaccato di città piuttosto verosimile che alterna palazzi, baracche, magazzini, centrali elettriche, negozi, giardini, spiagge, discariche, autostrade e molto altro ancora, distribuito su un territorio dalla conformazione frastagliata e collinare. Nonostante una varietà strutturale simile, tutto è stato finemente calibrato in funzione del movimento del protagonista predisponendo rampe, balconate, appigli, "materassi" su cui atterrare, recinzioni e qualsiasi altro elemento architettonico possa venire in mente per favorire un flusso di spostamenti il più possibile agile e continuo. E, cosa altrettanto fondamentale, è stata calibrata e limata di conseguenza praticamente ogni collisione, ogni superficie percorribile, ogni diversità di condizione in cui il contatto con un certo oggetto può mantenere il momentum, con il risultato che si è al controllo di un personaggio che può compiere un set di azioni "certe" in uno spazio 3D che generalmente reagisce in maniera altrettanto "certa", portando alla definizione di un corpo virtuale perfettamente autodeterminato e a una formula fatta di giocabilità pura al 100%. Che in questo genere di titoli sono aspetti molto più importanti di un'animanzioncina delle braccia fatta più o meno bene. C'è poi un ultimo tassello che concorre a fornire un apporto tutt'altro che trascurabile alla riuscita della faccenda: l'intelligenza artificiale. Oltre a un esercito di zombie lenti e impacciati, di tradizione romeriana, nel gioco ci sono infetti non ancora andati incontro a un avanzato stato di decomposizione, che mantengono dunque una certa prestanza fisica grazie a cui riescono a venirci a beccare praticamente ovunque. E pure in fretta. Anche se di tanto in tanto si nota qualche black-out o indecisione o con l'esperienza è possibile sfruttare certe "zone buie" delle loro routine comportamentali, gli algoritmi di pathfinding di cui godono questi esemplari sono davvero ottimi, considerando la prontezza con cui si adeguano alla mole di variabili ambientali per raggiungere l'obiettivo: noi.
A spasso
Le chance di sopravvivenza di Crane una volta in strada, in mezzo ai morti, dipendono anche da uno sfruttamento più attivo dell'ambiente. Sparsi per il territorio ci sono dei rifugi, zone franche dove si può sfuggire agli inseguitori, amministrare il proprio inventario e ripartire in caso di morte, evitando di sorbirsi a ripetizione tratte eccessivamente lunghe, che in stile Far Cry vanno prima conquistate.
Oltre a spuntoni sparsi qua e là, ci sono poi una serie di trappole da predisporre, volendo attivabili comodamente "al volo", in caso di particolare urgenza, come auto esplosive, campi elettrici e lampioni che proiettano luce ultravioletta in grado di nuocere alle creature fotosensibili. Piace inoltre come, sempre prendendo spunto da Mirror's Edge, taluni obiettivi, come il raggiungimento dell'interno di un'abitazione o un altro centro di interesse siano dei veri e propri "puzzle ambientali", da risolvere aguzzando fisico e spirito di osservazione. Gli scampoli di avventura che abbiamo giocato ci hanno proposto una serie di quest non particolarmente originali ma ben integrate nel tessuto di gioco, invitando a confrontarci e a prendere dimestichezza con svariati dei suoi tratti salienti. A queste poi si somma un quantitativo di missioni facoltative piuttosto folto, che spaziano da compitini veloci e banali a situazioni più strutturate e imprevedibili. Come già in Dead Island, poi, in giro può capitare di imbattersi in gente in pericolo, a cui si è liberi di prestare o meno aiuto, senza considerare le complicazioni fornite da bande di sopravvissuti ben poco amichevoli, con cui può capitare di doversi confrontare. A condire poi ci sono le sfide, di cui abbiamo scoperto due tipi. Il primo è un classico Time Trial alla Mirror's Edge, una corsa contro il tempo in cui mettere alla prova le proprie abilità di runner. Il secondo è la Zona di Quarantena, un'area pullulante di mostri e insidie ambientali, particolarmente ostica. C'è infine un elemento un po' più specifico con cui Dying Light già in queste prime fasi ingrossa la lista delle cose da fare, valorizzando al contempo un po' tutte le sue caratteristiche: gli approvvigionamenti lanciati via aereo dal governo, a intervalli regolari, da recuperare avventurandosi in ogni dove (ci è capitato di doverlo fare anche sott'acqua) e in fretta (prima che ne se ne approprino bande rivali). Non male.
A mazzate
Un'altra componente importante è, ovviamente, il combattimento. Qui la parentela con Dead Island è davvero evidente, sebbene si persegua una strada differente. Anche se è possibile fabbricarsi strumenti di lotta e modificarseli dotandoli di proprietà elementali come fuoco, ghiaccio ed elettricità, sembra esserci molto meno l'accento sulla corsa agli armamenti e la sperimentazione di effetti particolari, in una tipica febbre alla Borderlands, così come anche sottolineato dal fatto che non si può giocare a tirassegno con le armi impugnate e che la loro selezione passa per un sistema meno agevole, che non permette di passarle in rassegna con la stessa facilità. Può sembrare paradossale a proposito di un titolo in cui si combina ogni genere di acrobazia, ma il tiro generale sembra insomma molto più con i piedi per terra, fisico, meno parossistico e scevro da certe implicazioni "sovrannaturali", come quelle dovute alla modalità Furia dei protagonisti di Dead Island, qui assente.
Oltre che a fendenti inferti servendosi di tubi, assi di legno, coltelli, mazze da cricket, martelli e altri oggetti contundenti o taglienti, a una o due mani, secondo variabili e una padronanza progressivamente più marcate man mano che si livella il ramo della Forza, gli scontri danno parecchia importanza a calci volanti, atterramenti, schivate, pestoni, spinte ed esecuzioni in salto, secondo dinamiche che in alcuni casi ricordano da vicino il corpo a corpo di Far Cry 3 e Far Cry 4. Il sistema di controllo risponde benone anche in questi frangenti, permettendo di dare fondo al repertorio via via a disposizione in maniera intuitiva e precisa, anche quando le cose cominciano ad acquisire una certa complessità, senza il rischio che mosse dall'esecuzione simile vengano mal interpretate. Considerato che abbiamo affrontato solo la frazione iniziale e che i trailer sembrano promettere di più, ci consideriamo soddisfatti dal bestiario con cui ci si deve confrontare: oltre a tonnellate di zombie comuni, che come tradizione insegna è meglio non prendere troppo sottogamba, ai già citati infetti veloci (in grado anche di schivare e menare ceffoni rapidi e dolorosi) e banditi (che schivano e menano ancora di più), abbiamo affrontato energumeni particolarmente coriacei, dotati di devastanti pilastri di cemento che non guardano in faccia niente e nessuno, e morti sovrappeso gonfi di gas nocivo. Per quanto riguarda il feeling estetico-meccanico, l'impressione è che rispetto a Dead Island si ragioni meno per mutilazioni e più per contusioni, fratture e impatti fracassanti, con una resa in linea generale soddisfacente, ma a proposito di cui non nascondiamo affatto che ci saremmo aspettati di più, sia per quanto riguarda la precisione nella corrispondenza tra colpi inferti e reazioni dei corpi dei nemici, sia per quanto riguarda la chiusura della fisica, non esente da svirgole come compenetrazioni o reazioni dalla consistenza eccessivamente "leggera" rispetto ad altre. A colpirci in maniera estremamente positiva, sempre parlando di fisica, è invece il fatto che i corpi dei nemici adesso sono un'entità a tutti gli effetti: in altre parole possono intralciare, travolgere, arrestare o sgambettare gli altri. Niente che un buon titolo basato su Source e molti altri giochi in prima o terza persona non facciano già da anni, ma è un aspetto che spesso volentieri viene ignorato e che in un titolo in cui si tende a lottare contro masse di nemici, dove il controllo della folla è all'ordine del giorno, permette di ottenere un quadro più coeso, dinamico e ricco di sfumature. Da rimandare qualsiasi considerazione sulle armi da fuoco, visto che nel codice preview siamo entrati in possesso unicamente di una pistola, che se da un lato ci ha lasciato l'amaro in bocca per il modo con cui sembrava andare fin troppo facilmente a segno, dall'altro ci ha piacevolmente stupito per la maniera con cui può portare a complicarsi le cose per via del rumore generato, specie quando non si resiste alla tentazione di indirizzarla verso un barile esplosivo, attirandosi addosso l'inferno. Sempre sotto un'ottica prettamente survival ci hanno convinto i primi approcci con armi da lancio a supporto, come shuriken e molotov, che assicurano qualche vantaggio collaterale senza tuttavia apparire sgravi, vuoi per gli effetti veri e propri, vuoi per il fatto per le scorte tutt'altro che generose di cui è possibile entrare in possesso, tramite l'acquisto o il crafting.
Nocturno
Qual è la sensazione di più martellante impotenza avete provato in un videogioco a sfondo horror? Le corse col cuore che batte così in forte da arrivare quasi ad uscirvi dalla gola in Outlast? Ecco, immaginatele fondate su dinamiche di gioco libere ed effettive, non mortificate da script e trial and error prossimi al laser game. L'avanzare inarrestabile di un Tank in Left 4 Dead in vostra direzione? Immaginatelo in un ambiente totalmente aperto e interpretabile secondo la quasi infinita serie di traiettorie del parkour. Le fughe in notturna dagli Zed di DayZ e dagli indigeni di The Forest? Immaginatele dentro una rappresentazione del buio altrettanto feroce, di un nero che non concede sconti alla finzione, che cela però al suo interno interazioni meglio chiuse e limate. Questi sono alcuni dei paragoni che vengono in mente le prime volte che ci si trova alle prese con la notte, in Dying Light, a tu per tu con un'esperienza horror dall'impatto devastante.
E anche quando si prendono le misure, si acquista dimestichezza con le dinamiche di gioco e si sbloccano nuove abilità, il terrore è lì, che rimane, magari cambiando giusto volto, per assomigliare a un'angoscia asfissiante. Techland l'aveva promesso: la notte cambia tutto, i nemici diventano molto più aggressivi e, per quanto di giorno ci si possa sentire sempre più disinvolti e sicuri di sé stessi, al calar del sole da predatore si diventa preda. Non è affatto un discorso originale, visto che l'hanno già fatto altri titoli, come il primo Dead Rising quasi 10 anni fa, ma è un discorso che funziona benone, tanto nelle sue implicazioni ludiche che sul piano dell'atmosfera. D'accordo, ma cosa succede esattamente di notte? Diversi infetti sembrano colti improvvisamente da un attacco di rabbia, che li trasforma in corridori, e le strade pullulano maggiormente dei nemici speciali in cui è possibile imbattersi sotto la luce del sole. E poi ci sono le star, dei mutanti che escono esclusivamente al buio, dotati di un pathfinding all'altezza dei corridori, ma di una forza e una resistenza incredibile (tant'è che, di fatto, non abbiamo trovato il modo di ucciderne uno). Non stupisce, dunque, che vengano assegnati dei punti esperienza extra nel caso si riesca a sopravvivere a un inseguimento, vuoi perché si è riusciti a far perdere le proprie tracce, vuoi perché ci si è fiondati in un rifugio. E appare chiaro perché, a meno di non volersi complicare davvero la vita, di notte è meglio tenere un approccio cauto e abbracciare un po' di più la dimensione stealth del gioco, cercando di esporsi e fare meno rumore possibile, sfruttando un "sonar" con cui individuare le creature più pericolose nei paraggi e ricorrendo il più possibile a trappole e diversivi come i petardi, una torcia ultravioletta con cui rallentare temporaneamente gli inseguitori o razzi dotati di analoghe proprietà irradianti con cui improvvisarsi brevi scampoli di immunità (al cui interno, però, gli zombie standard non hanno paura di avventurarsi: attenzione). Una dimensione che, a giudicare dalla descrizione di alcune Abilità bloccate nel preview, come la possibilità di mimetizzarsi tra i cadaveri e quella di praticare esecuzioni silenziose, strada facendo dovrebbe arricchirsi di ulteriori variabili e rapporti causa/effetto, oltre che di nuovi mutanti, come quelli intravisti in certi trailer.
Che aspetto ha la morte?
Come ogni titolo Techland, anche Dying Light è basato su Chrome Engine, il motore proprietario della software house polacca. La matrice è chiaramente quella di Dead Island, sebbene i passi in avanti siano evidenti. Banalmente, è tutto più robusto: quantitativo di roba portata a schermo, modelli poligonali, texture, bontà di shader, vegetazione e illuminazione. Il passaggio di nomenclatura da Chrome Engine 5 a 6, scelto dagli sviluppatori per definire l'ennesimo avanzamento di generazione della loro tecnologia, è insomma pienamente giustificato.
Non solo: in Dying Light Techland si presenta più matura anche a livello di caratterizzazione, dando l'impressione di aver imparato ad esprimersi meglio, con scelte cromatiche, registiche e fotografiche più oculate, corroborate da quelle sul fronte musicale, dove si alternano brani synth di stampo prettamente anni '80, in grado di far da eco all'ambientazione tropicale richiamando meravigliosamente Il Giorno degli Zombi di Romero, a partiture più aggressive e lancinanti, non meno efficaci, che danno sicuramente il loro contributo alla riuscita dell'esperienza in notturna. Nel codice testato è già presente il doppiaggio in italiano, che, tra alti e bassi, ci pare complessivamente buono. Poco soddisfacente invece il parco opzioni video dedicate al PC, che permettono di intervenire su una serie di voci piuttosto ridotta, fra cui tra le altre cose manca l'anti-aliasing. Il colpo d'occhio non ci è parso particolarmente vituperato da scalette, ma la qualità dell'immagine non è irreprensibile, con una resa tendente al pastoso, segno che con ogni probabilità è stato implementato "d'ufficio" un anti-aliasing in post-processing. Nullo l'apporto di fantomatiche "Funzioni Speciali Nvidia" non meglio specificate, la cui attivazione non porta ad alcuna differenza qualitativa e prestazionale, segno che dovevano essere ancora implementate nella build a nostra disposizione. E poi le performance: su una configurazione composta da un i5 2500K a 4.4 GHz, 8 GB di RAM di sistema e una GeForce GTX 970 overclockata di fabbrica, a una risoluzione di 1080p il gioco si aggira orientativamente sui 70-100 frame al secondo in interna e sui 65 in esterna, con qualche calo anche sui 40 frame al secondo. Contenti? Mica tanto, considerato che alla luce dei valori tecnici e quantitativi espressi a video sarebbe lecito aspettarsi di più, specie quando in Polonia si son fatti qualche "sconto" implementando un LOD particolarmente aggressivo delle ombre. C'era un po' da aspettarselo sin dal momento dell'annuncio dei requisiti, ma non possiamo esprimere del disappunto e porci doverosamente un interrogativo: l'ottimizzazione subirà un'ultima, decisiva limata? È uno dei quesiti a cui dovrà rispondere la versione definitiva sebbene, per esperienza, non ci aspettiamo di certo miracoli. Gli altri riguardano la struttura di gioco che deve dimostrare di avere fiato a sufficienza in fatto di varietà di quest, situazioni e nemici, cercando di mantenere al contempo il bilanciamento, specie nel momento in cui si renderanno disponibili le abilità più avanzate di Crane, affinché non si vanifichi quella morsa survival che ha reso queste prime ore particolarmente avvincenti. Senza scordarci, infine, di caratteristiche altrettanto determinanti come la modalità cooperativa e quella competitiva, che possono influenzare parecchio la riuscita del pacchetto complessivo. Insomma, abbiamo già giocato molto a Dying Light e ci è piaciuto molto, ma ha ancora molto, molto da dimostrare e non vediamo assolutamente l'ora di metterlo alla prova, da cima a fondo, una volta per tutte.
CERTEZZE
- Impostazione survival e open riuscite
- Il parkour funziona a meraviglia e il level design gli sta dietro
- La notte è terrificante
- Tante cose da fare
- Graficamente piacevole...
DUBBI
- ...ma si spera in una limata alle performance
- Ancora molti aspetti da valutare