L'epoca d'oro delle avventure grafiche targate LucasArts ha sfornato dei capolavori senza tempo. Tra questi è possibile trovare Indiana Jones and the Fate of Atlantis, ancora oggi da molti soprannominato "Indy 4", a indicarlo come vero erede della trilogia cinematografica originale nonostante l'uscita di Indiana Jones e il Regno del Teschio di Cristallo. Un riconoscimento più che meritato per Fate of Atlantis, con cui l'archeologo più famoso del mondo si consacrò definitivamente anche in ambito videoludico, dopo aver già ottenuto ottimi risultati con L'Ultima Crociata, nel 1989. Fate of Atlantis uscì tre anni dopo, nel 1992, a pochi mesi di distanza da Monkey Island 2, insieme al quale segnò un'incredibile doppietta che precedette tutte le altre avventure grafiche sfornate da LucasArts negli anni '90. Prima che il genere si avviasse verso il suo triste tramonto, abbiamo infatti visto altri successi in un elenco che comprende titoli come Day of the Tentacle, Full Throttle e Grim Fandango, all'interno del quale però per i fan di Indiana Jones è sempre mancato qualcosa. Nonostante gli ottimi risultati di Indy in ambito videoludico, viene infatti anche adesso naturale chiedersi come mai l'unico appuntamento con Indiana Jones dopo Fate of Atlantis sia stato La Macchina Infernale, arrivato solo nel 1999. Ben sette anni dopo, per abbandonare tra l'altro il genere delle avventure punta e clicca a favore dell'azione in terza persona in stile Tomb Raider. Se siete tra coloro che hanno atteso per anni invano un "Indy 5", vi farà forse piacere sapere che il progetto è in realtà esistito, o forse la cosa vi farà mordere ancora di più le mani: è quello che abbiamo fatto anche noi, leggendo i documenti su Indiana Jones and the Iron Phoenix venuti a galla nelle ultime settimane. Del gioco si era parlato occasionalmente anche in precedenza, ma questa occasione è di sicuro la migliore per sapere tutto quanto c'è da sapere sul seguito di Fate of Atlantis che non c'è mai stato.
La breve storia di Indiana Jones and the Iron Phoenix, avventura alla quale non abbiamo mai giocato
Il ritorno di Hitler
Secondo quanto ricostruito, i lavori su Indiana Jones and the Iron Phoenix iniziarono subito dopo Fate of Atlantis, nel 1993. A capo del team c'era Joe Pinney, designer passato in tempi più recenti alla corte di Telltale Games. I primi problemi nacquero proprio quando Pinney decise di farsi da parte per dedicarsi ad altre cose, lasciando il gruppo al lavoro su Indy 5 orfano di figure di particolare rilievo: Ron Gilbert e Dave Grossman erano già emigrati altrove, mentre Tim Schafer era impegnato su un altro progetto.
Alla fine la scelta ricadde su Aric Wilmunder, una delle persone alle quali si deve l'esistenza del motore SCUMM che ha fatto girare tante delle avventure grafiche di LucasArts. Dopo essere stato messo alla guida del progetto, Wilmunder mise anima e corpo nella scrittura del documento di design del gioco, lo stesso al quale abbiamo fatto riferimento poco fa: è stato proprio lui a pubblicarlo sul proprio sito personale. Tra le 67 pagine, spicca naturalmente quella che sarebbe dovuta essere la trama di Indiana Jones and the Iron Phoenix. Ambientato nel 1947, il gioco avrebbe dovuto aprirsi con il protagonista impegnato a Berlino per restaurare alcuni reperti danneggiati durante la Seconda Guerra Mondiale, per poi dare il via a una trama che lo avrebbe portato sulle tracce della pietra filosofale. Indiana Jones avrebbe così potuto precedere di qualche anno Harry Potter, lanciandosi alla ricerca del mitico artefatto nel bel mezzo di una corsa tra un gruppo di nazisti, sopravvissuto alla fine della guerra, e le forze sovietiche. All'inizio della storia avremmo infatti visto Indy vedersela con la fuga dall'imprigionamento architettato da Nadia Kirov, agente scelto del governo sovietico: dopo la classica incomprensione iniziale, Indiana Jones si sarebbe poi unito con Nadia per porre fine allo scellerato piano nazista di usare la pietra filosofale per far risorgere Adolf Hitler. Da Berlino l'avventura ci avrebbe portati fino all'America del Sud, passando con la famosa linea rossa tratteggiata attraverso ambientazioni eterogenee come Kiev, l'Irlanda e il Tibet, rivedendo anche volti conosciuti come quello di Marcus Brody. Per quanto riguarda i personaggi, il documento di design ci descrive un Indiana Jones segnato rispetto a quello visto in Fate of Atlantis, ma allo stesso tempo più aperto verso il sovrannaturale. Inaridito dagli orrori dei nazisti e sempre in prima linea nella difesa dei reperti dalle mani del Reich, Indy vuole evitare che possa accadere qualcosa di analogo nell'Unione Sovietica, ritrovandosi confinato nella zona rossa di Berlino dopo aver attirato l'attenzione di Nadia. Quest'ultima viene descritta all'inizio della storia come una comunista modello, prima di aprirsi maggiormente ai misteri della vita con lo sviluppo della trama, che la vede determinata per motivi personali a eliminare ogni briciola di nazismo presente al mondo. E poi c'è il cattivone, Matthias Jäger, "dottore" tedesco già famoso per i suoi tentativi di rianimare i tessuti morti durante il Reich. Dopo aver torturato la famiglia di Nadia Kirov proprio per condurre alcuni dei suoi folli esperimenti, Jäger scopre che la pietra filosofale si trova in Sud America e fa di tutto per impossessarsene, con lo scopo di liberare il defunto Führer.
Prima persona e quick time event
La trama di Indy 5 ci sembra degna di un film di Indiana Jones, ed è per questo che come dicevamo all'inizio ci siamo morsi le mani nel leggere il documento di design di questo gioco. Ma i dettagli non finiscono qui, visto che alla storia lo stesso testo affianca anche quelle che sarebbero dovute essere le novità di Indiana Jones and the Iron Phoenix rispetto a Fate of Atlantis in termini di gameplay.
Scorrendo fino alla pagina dedicata all'aspetto prettamente videoludico, si scopre infatti che per Indy 5 si era pensato a dei personaggi più grandi su schermo, probabilmente simili a quelli che avremmo poi visto in titoli come Full Throttle e Sam & Max. Da quest'ultimo, il gioco avrebbe dovuto ereditare l'interfaccia grafica, permettendo al giocatore di scegliere tra i verbi delle azioni attraverso il clic del bottone destro del mouse, ritrovando invece l'inventario ridotto a un'icona espandibile in basso a sinistra sullo schermo. Le scene d'azione vengono descritte di tre tipi: quelle di lotta, quelle in prima persona e quelle in stile Dragon's Lair. Per le prime c'è poco da dire, visto che si parla dei combattimenti come quelli visti in Indy 4: in questo caso i problemi erano legati all'assenza di punti della trama in cui far lottare Indiana Jones con qualche nemico. Le scene in prima persona avrebbero dovuto invece avere luogo in due occasioni: la prima quasi all'inizio del gioco, con il protagonista impegnato ad attraversare in moto una Berlino devastata dalla guerra, mentre la seconda quasi alla fine, alla guida di un aereo Ju 52 tra i pericolosi picchi delle Ande. In entrambi i casi l'interattività sarebbe stata limitata al movimento del mouse a destra o a sinistra, per evitare i pericoli. Per quanto riguarda invece l'azione alla Dragon's Lair, l'idea era quella di usare quelli che oggi chiamiamo quick time event per dare al gioco un livello d'azione simile a quello presente nei film dedicati a Indiana Jones, intervallando così con qualche momento di maggiore adrenalina gli enigmi classici delle avventure grafiche. Di questi ultimi, naturalmente, il documento di design è pieno. Indiana Jones and the Iron Phoenix avrebbe ricalcato la struttura di Monkey Island 2, dando al giocatore la possibilità di andare in ordine casuale alla ricerca dei tre pezzi della pietra filosofale come Guybrush Threepwood cercava la mappa del Big Whoop. I tre percorsi azione, squadra e ingegno, grazie ai quali Fate of Atlantis poté contare anche su una straordinaria longevità, non sarebbero stati ripresi questa volta. Per i più curiosi, nella sezione del documento dedicata alla tecnologia si parla anche dei requisiti minimi di un PC che avrebbe dovuto far girare Indiana Jones and the Iron Phoenix: un 386 dotato di 2 MB di RAM e un drive floppy, con CD-ROM opzionale per la versione con parlato.
Una gestazione complicata
Dopo essersi rimesso in carreggiata in seguito all'avvicendamento tra Wilmunder e Pinney all'interno del progetto, in teoria per Indiana Jones and the Iron Phoenix la strada sarebbe dovuta essere tutta in discesa. Il numero di condizionali usati fin qui parla già da sé, e infatti dal completamento del documento design non passò molto per vedere i primi veri problemi.
In un articolo alla cui stesura ha partecipato anche lo stesso Wilmunder, The International House of Mojo li ha raccolti tutti, partendo dal dualismo interno a LucasArts con The Dig, progetto che negli stessi anni veniva rivitalizzato, assorbendo parte delle energie di quello che era conosciuto come il "Lord SCUMM" di LucasArts. Anche se per Wilmunder The Dig diventò la priorità principale, il designer continuò comunque a lavorare a Indy 5, affrontando la prima grana legata al punto di vista artistico. Fate of Atlantis era infatti una delle ultime avventure di LucasArts a impiegare su schermo personaggi dalle dimensioni piuttosto piccole, dettate dalla tecnologia VGA (320x200 per 256 colori) presente all'epoca. Con Day of the Tentacle le cose cambiarono, e anche per Iron Phoenix l'ordine iniziale fu quello di procedere nella creazione di protagonisti più grandi per sfruttare l'intera area di gioco. Siccome l'atmosfera di Indy 5 non era quella di Day of the Tentacle, il design grafico doveva però essere di tipo più realistico rispetto a quest'ultimo. Su questa direttiva iniziò a lavorare nella creazione dei fondali l'illustratore Bill Stoneham, mentre allo stesso tempo il capo animatore Anson Jew si rendeva conto che per dare ai personaggi di Indiana Jones un taglio più serio di Bernard Bernoulli e compagnia avrebbe dovuto contare su un set di colori che all'epoca non era ancora disponibile. Anzi, la tecnologia prevedeva che il numero dei colori dei personaggi e quelli dei fondali condividessero lo stesso totale in un'unica palette, determinando quindi una situazione in cui un'aggiunta tra i primi determinava un posto in meno per i secondi, e viceversa. Il risultato fu un inevitabile compromesso, in cui i personaggi assomigliavano a quelli della serie animata di Batman andata in onda negli anni '90. Mentre si dibatteva sullo stile che avrebbe dovuto avere Indiana Jones and the Iron Phoenix, arrivò una decisione scellerata a mettere un altro chiodo sulla sua bara: LucasArts decise di far realizzare le animazioni in outsourcing a una società di Montreal, probabilmente Strategy First, presentatasi alla porta con un'offerta interessante dal punto di vista economico, ma sopravvalutando enormemente la propria capacità di realizzare un'avventura grafica. Per uno come Wilmunder non fu difficile capire che il team canadese aveva un'esperienza tendente allo zero, ma come spesso accade le decisioni prese dal management pensando ai soldi sono difficili da riportare indietro. Morale della favola, Indy 5 non vide alcun progresso per mesi e mesi, perdendo terreno rispetto allo stesso The Dig. Wilmunder iniziò infatti a dedicarsi a quest'ultimo in modo più deciso, annusando probabilmente già ciò che sarebbe stato del progetto dedicato a Indiana Jones.
Il problema tedesco e l’eredità
Nonostante le diverse grane, Iron Phoenix continuava a esistere. Per tentare di risolvere sia il problema delle animazioni che non arrivavano che quello dello stile grafico, cogliendo così due piccioni con una fava, si decise di tentare la strada del live-action per la realizzazione delle scene. La tecnologia alla quale si pensò fu il rotoscoping, già usato in minima parte per Fate of Atlantis. Qualche sessione di demo sembrò dare speranza per la ripresa del progetto, ma anche stavolta furono questioni di tipo economico a determinare quella che fu la mazzata finale per Indy 5.
Dopo aver mostrato il gioco all'European Computer Trade Show, il defunto ECTS londinese, LucasArts si rese conto che pubblicare Iron Phoenix in Germania sarebbe stato alquanto complicato. Il problema era di tipo legale, visto che come testimoniato anche da problemi sorti in tempi più recenti per altre produzioni, dopo la fine del Reich nella nazione europea è vietato pubblicare opere che contengano riferimenti al nazismo. Le uniche eccezioni riguardano quelle di tipo storico o artistico. Considerati opere d'arte, i film di Indiana Jones non ebbero problemi, ma nell'epoca di cui stiamo parlando i videogiochi erano ancora dei semplici giochi, per cui ogni riferimento a svastiche e altri elementi restava impossibile. Nel caso di Indiana Jones e il Bastone dei Re, datato 2009, la decisione è stata quella di trasformare i nazisti in "tedeschi" e le svastiche in croci, ma per un gioco in cui l'obiettivo finale di un gruppo di nazisti era quello di far risorgere Hitler le cose apparivano decisamente complicate. Il simbolo principale del Reich era infatti un elemento portante della trama del gioco, che doveva quindi essere completamente stravolta per arrivare in Germania. Vedendosi privata di un mercato come quello tedesco, ritenuto particolarmente importante per le avventure grafiche, LucasArts issò definitivamente bandiera bianca sul progetto di Indy 5, che tuttavia rinacque in una forma completamente nuova. Dando giustificazione alla fenice presente nel suo titolo, Indiana Jones and the Iron Phoenix trovò infatti spazio per diventare una storia a fumetti, realizzata da Dark Horse in quattro albi nei quali appaiono anche i ringraziamenti a LucasArts per il lavoro svolto sulla storia. Riadattata e trasformata per i comics con dei nazi-zombie inizialmente non previsti, la trama di Indiana Jones and the Iron Phoenix è stata celata nella sua forma completa fino a qualche settimana fa, quando Aric Wilmunder deve aver deciso che chi s'interrogava sull'assenza di Indy 5 tra le avventure grafiche degli anni '90 meritasse una risposta. Quest'ultima è arrivata, e sebbene essa sia dolorosa per ciò che Iron Phoenix sarebbe potuto essere, in realtà sappiamo che si trattò di un progetto burrascoso, del quale dopo circa quindici mesi di sviluppo non c'era nulla da mostrare. Pur restando dispiaciuti, riteniamo sia meglio avere un buon ricordo delle avventure di Indiana Jones, con un Fate of Atlantis ancora giocabile ai giorni nostri, che infangare la memoria videoludica di uno degli eroi più amati dei nostri tempi, con un progetto che alla fine non gli avrebbe reso giustizia.