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Ritorno a Morrowind

In attesa dell'omonima espansione per The Elder Scrolls Online, rivediamo brevemente il terzo capitolo della serie

SPECIALE di Simone Tagliaferri   —   22/05/2017

La regione di Morrowind si trova nella parte nord orientale di Tamriel, il mondo dove sono ambientate tutti i The Elder Scrolls. Confina a sud con Black Marsh e a ovest con Skyrim e Cyrodill. Ha la particolarità di essere formata da una grossa e frastagliata isola, Vvardenfell, incastonata in una conca naturale attaccata al continente.

Ritorno a Morrowind

Dopo aver visitato una gigantesca Hammerfell in The Elder Scrolls II: Daggerfall, con il capitolo successivo, Morrowind, Bethesda decise di provare qualcosa di completamente diverso a livello stilistico, scegliendo come ambientazione una delle aree più esotiche di Tamriel, nonché la patria degli elfi oscuri. Trascinato a Vvardernfell a bordo di una nave, il protagonista, completamente personalizzabile nella razza e nelle caratteristiche, viene fatto sbarcare al porto di Seyda Neen, dove viene registrato e dove gli viene affidata una missione: recarsi nella città di Balmora per parlare di una delicata vicenda con un certo Caius Cosades, il capo dell'Ordine degli Spadaccini. Pare che diversi segni indichino il ritorno del culto della Sesta Casata, che potrebbe rappresentare un immenso pericolo per tutti. Fatti i primi passi, gli estimatori di Daggerfall si trovarono inizialmente spiazzati da Morrowind, il cui mondo di gioco era molto più piccolo. Il perché era chiaro: lì dove il secondo capitolo della saga offriva ambienti spogli e ripetitivi, migliaia di dungeon generati proceduralmente e una serie di quest spesso molto blande, Morrowind sfruttava i più recenti ritrovati della tecnologia per caratterizzare meglio personaggi e ambientazioni, rendendo il suo mondo aperto più organico e dinamico rispetto a quello della maggior parte degli altri giochi di ruolo occidentali. Insomma, Morrowind aveva una concezione del gameplay globalmente più moderna, che emergeva chiaramente osservando le limature apportate alla maggior parte delle meccaniche già viste nei passati The Elder Scrolls. Nonostante ciò non scendeva a compromessi sulla difficoltà e la ricchezza dell'esperienza ruolistica, che continuava a rimanere nei solchi della tradizione.

Ricordi

Oggi la grafica di Morrowind non stupisce più di tanto. In particolare i personaggi appaiono goffi e malformati, con quelle articolazioni da dummies e le animazioni legnose. Da allora di mondi virtuali ne abbiamo visti e vissuti molti, quindi il primo impatto non può che essere inferiore rispetto ad allora (stiamo sempre parlando di un titolo del 2002).

Ritorno a Morrowind

Eppure chi scrive ricorda il primo avvio del gioco, comprato dopo una corsa spasmodica dal suo negoziante di fiducia (all'epoca esistevano ancora); ricorda l'apparire delle case ultra dettagliate tra la nebbiolina che serviva a limitare la visibilità per non appesantire troppo la scheda video; ricorda la vitalità delle città di cui era piena la regione; ricorda l'ammirato stupore provato di fronte alle impressionanti architetture di Vivec, alla composta bellezza di Balmora, e ai paesaggi che si potevano ammirare scalando le montagne poste nella pare centrale di Vvardnefell; ricorda i più bei specchi d'acqua che avesse mai visto in un videogioco, con rifrazioni, increspature e quant'altro. Oggi molte di quelle descritte sono conquiste tecnologiche diffuse, ma allora non erano così scontate e uscire da un buio dungeon ritrovandosi bagnati dal sole faceva il suo effetto, anche se non c'erano luci dinamiche a impreziosire la scena. Il salto compiuto da Bethesda partendo da Daggerfall era stato davvero abissale ed esplorare il mondo di Morrowind regalava emozioni mai provate prima, che si mescolavano alla tensione creata dai pericoli sempre in agguato: soprattutto nelle prime fasi di gioco. Oblivion e Skyrim, i due capitoli successivi, hanno in un certo senso ampliato tutti questi elementi, ma è stato Morrowind a introdurli nella serie, rendendoli strutturali. Non per niente sono molti tra i puristi a ritenerlo ancora oggi il miglior gioco di ruolo di Bethesda. Questo è anche il motivo per cui l'annuncio dell'espansione omonima per The Elder Scrolls Online ha suscitato tanto interesse: sarà un modo per tornare a vivere quelle sensazioni, oppure sarà soltanto un tributo estetico che mira a sfruttare la fama del Morrowind originale? Vedremo, ma intanto torniamo alla nostra avventura contro il malvagio Dagoth Ur.

Quote

Cerchiamo di capire come mai Morrowind significhi davvero molto per gli amanti di The Elder Scrolls

Un'isola di serpi

Morrowind offriva una libertà d'azione amplissima, dando al giocatore la possibilità di sviluppare completamente il suo personaggio, nell'aspetto e nell'anima. In questo caso il sistema di gioco ricalcava le possibilità offerte da quello di Daggerfall, che però, a essere obiettivi, ne prevedeva anche di più. Per fare un paio di esempi, le minori dimensioni del territorio avevano costretto a porre dei limiti all'incantesimo di levitazione, mentre i negozi erano molto meno ricchi di merci da rubare.

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Insomma, tanti aspetti erano stati riequilibrati per adattarsi alla diversa struttura di gioco. In generale comunque, era uno spasso andarsene in giro e sfruttare le capacità del proprio alter ego, facendole crescere con l'utilizzo (come tradizione vuole). Con la pratica si poteva diventare dei potenti maghi, degli arcieri provetti, dei guerrieri indomabili o degli scaltri criminali. A differenza dei capitoli successivi, i designer gestirono molto meglio i rapporti del protagonista con le diverse fazioni sparse per l'isola, creando contrasti e interessi incrociati, che rendevano molto meno lineare e scontata l'affiliazione con gilde e casate (Redoran, Telvanni e Halaalu) rispetto a Oblivion e, soprattutto, a Skyrim. C'erano anche delle fazioni segrete che si palesavano solo se ci si rendeva interessanti ai loro occhi. La trama stessa era abbastanza complessa e, pur essendo incentrata sull'impedire a un'antica divinità di rinascere, prevedeva un certo margine interpretativo degli eventi, soprattutto rispetto ai fatti che erano avvenuti nei secoli precedenti a quelli narrati in gioco. A questa complessità narrativa, sia diretta che indiretta, si sommava la maggiore difficoltà generale rispetto ai The Elder Scrolls più recenti, dovuta a scelte molto più radicali (e sensate) per l'esplorazione e la crescita della sfida, con quest'ultima che era sì legata al livello del personaggio, ma che evitava assurdità tipo armi leggendarie che, se trovate al primo livello, erano più deboli di un tagliacarte, o dungeon remoti protetti da topi giganti. Insomma, Morrowind era un vero gioco di ruolo, non un luna park fantasy, ed esplorare i suoi anfratti significava mettersi in pericolo e rischiare la vita, concezione che purtroppo si è persa con i più recenti capitoli. Che si se il nuovo Morrowind online sarà altrettanto pericoloso e gratificante da vivere. Lo speriamo sinceramente perché sarebbe un peccato veder sprecare uno scenario simile.

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