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Anna Hollinrake: una carriera da art designer e l’esperienza con l’ADHD

Con Anna Hollinrake, veterana dell'art design per videogiochi, abbiamo parlato del suo impegno sul tema del disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività.

INTERVISTA di Andrea Maderna   —   29/05/2023
Anna Hollinrake: una carriera da art designer e l’esperienza con l’ADHD

Anna Hollinrake era destinata dalla nascita a lavorare nei videogiochi. Figlia dei primi anni Novanta, fin da piccola era "ossessionata da un PC con Windows 3.1 che avevamo a casa. Giocavo a qualsiasi cosa su cui riuscissi a mettere le mani." Cresciuta appassionandosi ai Pokémon su Game Boy Color, scopre il suo lato creativo pasticciando con Windows 98, iniziando a studiare il Basic e a programmare, ma solo da adolescente capisce che è possibile coniugare le sue due grandi passioni, il disegno e i videogiochi. "Stavo giocando a Fable III e mi resi conto che nelle schermate di caricamento c'erano questi ritratti, in stile manifesti di ricercati. Ero già molto presa dalla pittura in digitale, ma in quel momento pensai per la prima volta che forse un giorno avrei potuto fare quella cosa." A quel punto, scatta la missione, segue un percorso di studi dedicato alla grafica per videogiochi e impara "a lavorare col 3D e con gli engine, quindi più sulla creazione di spazi che solo belle immagini". Vent'anni dopo, quando la incontriamo al Reboot Develop Blue di Dubrovnik, ha già alle spalle una carriera invidiabile, che l'ha vista spaziare in maniera estremamente versatile su progetti di ogni tipo, collaborare a un fenomeno enorme come quello di Fall Guys e, di recente, mettersi in proprio, come cofondatrice dello studio Electric Saint.

Ma quanto è stato fondamentale seguire un suo percorso di studi specifico, e in particolare imparare a padroneggiare il lato tecnologico, per ottenere questi risultati? "Direi molto importante, anche se dipende da cosa intendi quando parli di aspetto tecnologico." Oggi, qualunque adolescente con un iPad sa destreggiarsi con Photoshop o quel genere di strumenti, ma "padroneggiare il 3D e capire il funzionamento di un engine grafico può fare una differenza enorme, anche se poi dipende da cosa vuoi fare. Per esempio, pure se vuoi lavorare solo come concept artist, anche in quell'ambito si usa sempre di più il 3D. Ed è utilissimo se vuoi occuparti di ambienti o veicoli. Certo, se vuoi lavorare su videogiochi dall'approccio estetico più stilizzato, non è magari così prioritario.

I manifesti di Fable III hanno fatto capire ad Anna Hollinrake che poteva avere un futuro nello sviluppo di videogiochi
I manifesti di Fable III hanno fatto capire ad Anna Hollinrake che poteva avere un futuro nello sviluppo di videogiochi

In generale il 3D rende tutto più semplice e veloce e, se vuoi occuparti di veicoli o di personaggi, è davvero indispensabile." D'altro canto, anche qui, oggi come oggi si tratta di cose che puoi apprendere facilmente seguendo un corso e sfruttando le tonnellate di materiali disponibili. Ciò da cui davvero non si può prescindere in ambito artistico, secondo Anne Hollinrake, sono le basi: "La prospettiva, la composizione, la teoria del colore... ed essere in grado di trasferire quelle conoscenze nel medium con cui hai scelto di lavorare. Penso sia molto importante essere in grado di disegnare paesaggi in maniera precisa, qualsiasi sia l'ambito in cui vuoi lavorare. Perché ti richiede di ragionare sulle forme, devi saper gestire la colorazione delle ombre sulle montagne, saper individuare gli elementi importanti della scena... E sono tutte capacità utili per lavorare sui concept o per comprendere come funziona il 3D. Per esempio, guardi un albero e sei in grado di intuire al volo come costruirlo in uno spazio 3D. La capacità di ragionare in questi termini è utilissima. E parte tutto da una comprensione delle basi."

Trovare una strada

Quando ancora il Photo Mode non era la norma, il Camera Mode di Smash Bros. Melee costituiva un bel modo per esprimere la propria creatività
Quando ancora il Photo Mode non era la norma, il Camera Mode di Smash Bros. Melee costituiva un bel modo per esprimere la propria creatività

Lavorare al lato estetico di un videogioco può però significare tante cose e, nel corso della sua carriera, Anna ha già ricoperto diversi ruoli. Col tempo, si è resa conto di fare fatica a trovare un ambito specifico che le desse soddisfazione... perché le piace fare tutto: "Più passa il tempo e più mi rendo conto che amo curare l'insieme, mettere assieme tutte le componenti visive. All'inizio volevo occuparmi di concept art. Amo dipingere, amo creare mondi, amo gli approcci stilizzati... Poi mi sono resa conto della soddisfazione enorme che mi dà mettere assieme dei mondi all'interno dei motori di gioco. Creare un asset 3D super dettagliato non mi dà necessariamente una gran gioia, ma metterli tutti assieme all'interno dell'engine sì. Diciamo che il ruolo a cui mi sento più vicina è quello dell'art director, perché mi piace seguire tutto il processo di creazione." Si tratta di un punto di vista interessante, perché implica una visione d'insieme, "dall'alto", in cui la tua impronta artistica non viene impressa direttamente, tramite la creazione di elementi singoli, ma lavorando sulla coesione dell'insieme, sulla soddisfazione di mettere le cose assieme per creare una bella scena. "Mi piace capire cosa renda una scena efficace, che storia racconti, anche al di là della sua semplice bellezza estetica. Cosa mi dicono i segni e l'usura su quella cassa? Cosa si trova al suo interno? Perché sta lì? Da dove arriva? Ha dei piccoli dettagli divertenti? Magari c'è scritto sopra un messaggio? Qualcuno ci ha rovesciato sopra una birra? Che genere di piccole cose possiamo infilarci per ampliare la descrizione del mondo di gioco? La passione per queste cose mi ha spinto naturalmente verso il ruolo di art director." Ma è difficile, per una persona dal forte impeto creativo, gestire un team e permettere che tutti esprimano il loro stile assieme, rinunciando magari ad avere un controllo autoriale totale? "È un lavoro molto collaborativo ma in cui si lascia spazio all'espressione personale e per me è bellissimo rendermi conto del talento di questa o quella persona, valutare i loro bozzetti, dare loro delle note, vedere come li rielaborano... Io, del resto, so perfettamente di non essere molto brava a fare un sacco di cose. Il mio talento sta nella visione d'insieme, nel saper cogliere un'atmosfera, e quindi sono felicissima quando posso lavorare con persone che sono invece fenomenali nel fare una cosa specifica che sarà parte dell'insieme."

E proprio perché l'atmosfera, il "mood" di un gioco costituisce un aspetto così importante del lavoro di Anna, può essere interessante provare a capire come sia arrivata a definire il suo stile, le sue tendenze. La sua formazione videoludica, per così dire, è composta come detto in apertura dai Pokémon e dal fantasy di Fable, ma l'esperienza che definisce come più profonda per i suoi anni formativi è quella di The Legend of Zelda: The Wind Waker. "Mi ci sono persa. Non che fossi particolarmente brava, non credo di aver mai vinto la battaglia finale senza usare dei cheat, cosa abbastanza imbarazzante. Ma adoravo il mondo e la grafica, tutto. E credo di averne distrutto tre copie diverse, a furia di giocarci." In generale, Anna è cresciuta come fedelissima di Nintendo, continuando a seguire la serie di Zelda ma per esempio anche allenando in qualche maniera il suo approccio artistico grazie al Camera Mode di Super Smash Bros. Melee: "Lo usavo come una sorta di casa delle bambole virtuale, in cui creavo delle scene. Collegavo tutti i controller, sceglievo i personaggi e li muovevo in giro. Creavo delle performance. Poi mi piaceva anche giocarci normalmente, ma quello che mi affascinava davvero era creare quelle rappresentazioni." Nel raccontarci del suo passato videoludico, menziona anche esperienze multiplayer ossessive, per esempio con Left 4 Dead 2, ma tende sempre a tornare verso una direzione artistica ed estetica ben precisa, per esempio quando ci parla del suo amore nei confronti di Journey.

Eppure, sul piano creativo e lavorativo, c'è voluto un po' per rendersi conto che il suo stile poteva andare in quella direzione e, anzi, si era convinta di doverne inseguire uno cupo, sporco, ruvido. Forse, ipotizza, è accaduto perché è cresciuta negli anni in cui l'approccio estetico dominante dei giochi tripla A andava verso quella direzione, "come se tutto fosse passato per un filtro color caffè", e del resto fu magari anche quello a spingerla come giocatrice verso i giochi Nintendo, lasciandole però addosso la sensazione che, sul piano professionale, il caffè fosse la via da seguire. Ma oggi vede comunque come molto positivo questo suo periodo di scoperta e sperimentazione. "Ho sempre amato le illustrazioni fantasy e fantascientifiche classiche, che tipicamente erano super dettagliate, super realistiche, serie, seriose, poco colorate. E forse ho sempre avuto la sensazione di dover fare quel genere di cose, in parte anche perché giocando a molti videogiochi ero esposta soprattutto a quel tipo di scelte estetiche, mentre se fossi stata più focalizzata sul mondo dell'animazione avrei avuto tendenze diverse. Però sono contenta di aver avuto questi periodi differenti, di aver esplorato tanti stili diversi."

Resistance: Fall of Man costituisce un ottimo esempio dei tempi in cui i videogiochi avevano abbracciato il marrone
Resistance: Fall of Man costituisce un ottimo esempio dei tempi in cui i videogiochi avevano abbracciato il marrone

Questo suo percorso l'ha portata a lavorare su progetti molto diversi. Fra i primi c'è stato Lola and the Giant, un gioco mobile in VR che si è rivelato essere un'esperienza preziosissima, tanto per imparare il processo collaborativo in un team, quanto per lavorare in un contesto di grafica 3D, per di più nell'ambito della realtà virtuale e dei limiti tecnici che questa impone quando devi renderizzare tutto due volte su uno smartphone. "Iniziare con un progetto del genere, lavorando in un piccolo team, ha cristallizzato il modo in cui ho cercato di continuare a lavorare poi. Quel livello di collaborazione, le conversazioni continue coi designer, cosa che per altro assume ancora più significato oggi che sono molto interessata nel design. L'idea di poter risolvere problemi di design tramite decisioni artistiche mi ha subito affascinata." E col tempo si è resa cont di amare il ruolo manageriale: "Lo vedo quasi come un enigma da risolvere, capire chi sarebbe adatto al tal compito specifico e capire come far funzionare al meglio tutti assieme. È una cosa che mi dà grande soddisfazione e chiaramente parte della sfida è anche occuparmene senza perdere di vista il mio lavoro creativo, che amo."

Il disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività (ADHD)

Anna Hollinrake ha fondato lo studio Electric Saints con Pavle Mihajlovic con la speranza di creare giochi personali e sperimentali
Anna Hollinrake ha fondato lo studio Electric Saints con Pavle Mihajlovic con la speranza di creare giochi personali e sperimentali

Negli ultimi anni, parallelamente all'evoluzione della sua carriera, Anna ha cominciato anche a darsi da fare per portare attenzione sulle difficoltà che può incontrare chi lavora nel settore ed è affetto da disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività (ADHD). In questo senso, per lei è stata decisiva l'esperienza del lockdown, che l'ha spinta a cercare conferme su ciò che da tempo sospettava. "Quando mi sono ritrovata chiusa in casa tutta sola, è stato un incubo. Mi sono resa conto che senza volerlo avevo messo in piedi tutta una serie di accorgimenti che in un certo senso negavano alcuni tratti del mio ADHD, al punto che non dovevo confrontarmici troppo. Mi era per esempio molto utile avere persone attorno per fare sdoppiamento del corpo (l'esecuzione di un compito in presenza di un'altra persona). Ritrovandomi da sola, improvvisamente non avevo più questa presenza di qualcun altro al mio fianco e l'ho immediatamente patito. E poi il semplice rituale di andare al lavoro: mi piace molto andarci in bicicletta o a piedi. È una mezz'ora quotidiana di spostamento, di esercizio, anche, che è ottimo per chi soffre di ADHD, soprattutto la mattina. Non tornerei mai a lavorare in ufficio cinque giorni a settimana ma poterlo fare in maniera regolare è per me importante."

Ritrovarsi costretta ad affrontare di petto la realtà della sua situazione e arrivare quindi ad ottenere una diagnosi è stato importante per molti motivi ed è anche per questo che Anna è molto attiva nel fare divulgazione e alimentare la conversazione sul tema. Una diagnosi è importante perché costituisce "La validazione del fatto che non sei semplicemente pigra. Il giorno in cui dovevo andare a parlare con lo psichiatra per concludere il processo di diagnosi, non sapevo cosa mi avrebbe detto, pensavo che forse ero semplicemente molto pigra e dovevo darmi una mossa. È una paura costante, avrei potuto fare questo, fare quello... se solo mi fossi organizzata, magari sarebbe andato tutto a posto. Ricevere una conferma di quel tipo è una cosa molto tangibile." Senza contare che, ricevuta una diagnosi, hai poi accesso a tutta una serie di aiuti, contatti, e puoi farti prescrivere medicine che ti sono di grande aiuto.

Lola and the Giant è uno dei primi giochi su cui Anna Hollinrake ha lavorato
Lola and the Giant è uno dei primi giochi su cui Anna Hollinrake ha lavorato

Si tratta, per altro, di un tema abbastanza significativo nel settore dei videogiochi: solo nella scena dello sviluppo britannica, secondo un censimento di settore, il 10% delle persone dichiara di soffrire di ADHD, cosa che sembra suggerire una percentuale ben superiore rispetto ad altri settori. Come mai? "Sviluppare videogiochi ci attira perché è un'attività davvero multidisciplinare e in generale i videogiochi ci risultano attraenti perché si basano su uno schema di compiti e ricompense," ci ha spiegato Anna, "Ma d'altro canto possono generare anche molta pressione. Molte persone che soffrono di ADHD finiscono a fare i medici, o i pompieri, proprio perché attratte da quel genere di pressione. Sviluppare videogiochi non è altrettanto intenso, ma è comunque un'attività che mette grande pressione addosso. E poi, sì, i videogiochi costituiscono anche un po' un rifugio per persone che fanno magari fatica a socializzare e si sentono sempre fuori posto." Parlare apertamente di questi temi, soprattutto quando Anna ha iniziato a farlo qualche anno fa, non è necessariamente semplice, perché ti mette addosso un certo livello di pressione ma anche per il timore di incappare in una qualche forma di stigma. Anna, non nega una certa dose di nervosismo al riguardo ma ci dice di non aver visto particolari conseguenze negative e che, di contro, col passare del tempo le cose si fanno più facili, grazie al feedback sempre positivo e soprattutto al fatto che a un certo punto la conversazione sul tema inizia ad autoalimentarsi. Più se ne parla, più diventa facile farlo, più persone affrontano l'argomento apertamente, più diventa semplice prendere misure per aiutare chi ne ha bisogno nel contesto lavorativo. Ma perché quest'ultima cosa possa accadere, è necessario che ci sia una conversazione viva e continuativa.

Fall guys è il progetto di più alto profilo su cui Anna Hollinrake ha lavorato
Fall guys è il progetto di più alto profilo su cui Anna Hollinrake ha lavorato

Se una persona si riconosce anche solo in parte nelle cose di cui parla Anna, cosa deve fare? La risposta non è necessariamente semplice, perché dipende anche da dove si vive e da che genere di accesso si ha a diagnosi, aiuti, medicine. "Diciamo che la prima cosa da fare è capire dove trovare supporto e informazioni, perché avere a che fare con qualcuno che ci è già passato, meglio se di recente, è fondamentale. A un livello più personale, serve un livello radicale di accettazione e conoscenza di sé stessi. Vale a dire trovare la volontà di non combattere il modo in cui funziona il proprio cervello ma limitarsi ad accettarlo. Ho provato un sacco di volte a cambiare la mia vita, dicendomi che era la volta buona, che ci sarei riuscita, che non sarei stata pigra, che era solo una questione di forza di volontà. Ma non funziona così. Posso preparare tutti i piani elaboratissimi che voglio e tutti i compiti da eseguire che penso mi servano, ma il fallimento è sempre dietro l'angolo."

E quindi? E quindi bisogna comprendere e accettare le cose che funzionano, anche se possono sembrare bizzarre. Per esempio, Anna trova utile compilare "semplici elenchi di cose da fare, magari con colori legati alle stagioni, eliminando tutto ciò che invece mi infastidisce. Anche se sembra una cosa di poco conto, va molto meglio. Funziona così. Se devo fare una presentazione, ho bisogno di indossare delle grosse scarpe da festa, perché ho bisogno di sentire pressione sui piedi. Ho bisogno di vestirmi una certa maniera per essere nello stato mentale giusto. Non dovrebbe essere importante ma lo è e accettarlo fa parte appunto dell'accettare se stessi e del conoscere se stessi, capire quali sono le cose con cui fai fatica e come superarle."

Una creazione di Anna Hollinrake
Una creazione di Anna Hollinrake

Se volete informazioni sul disturbo da deficit dell'attenzione/iperattività, potete cominciare facendovi un giro sul sito dell'Associazione Italiana per i Disturbi di Attenzione e Iperattività e su quello dell'Associazione Italiana Famiglie ADHD.