Questo inverno ho messo la testa tra i giochi da tavolo e ne sono uscito cambiato. È un universo che collima con quello dei videogiochi nello scopo, che è naturalmente divertire, e nelle figure professionali coinvolte, in primis il game designer che qui non può che essere il ruolo centrale. Ci sono cresciuto con i giochi da tavolo, agli inizi i classici perché esistevano quasi solo quelli, e poi godendomi la nuova ondata di proposte degli anni novanta. Più maturo e sempre più vorace di nuove e più complesse esperienze, passai presto ai giochi di ruolo, inutile ora elencarli, abbandonando al loro destino i vari Hero Quest, Hotel, L'Isola di Fuoco, il Labirinto Magico.
Tornai ad interessarmi ai giochi da tavolo tutte le volte che poi hanno avuto a che fare con i videogiochi, per esempio ai tempi di Axis & Allies e dei primissimi Europa Universalis, e quando scoprii Carcassonne grazie alla splendida app per Xbox 360 (in quei server, sembra incredibile, c'è ancora attività!).
Videogiochi di carta
Le cose sono iniziate a cambiare circa due anni fa, per colpa e merito ancora una volta dei videogiochi. Altrimenti non ne parleremmo su Multiplayer.it, no? Mentre vedevo i grandi videogiochi moderni trasformarsi in esperienze sempre meno interessanti e profonde, puntando sempre più sul cinema invece che sul gameplay vero e proprio, dall'altra parte della staccionata notavo una straordinaria vitalità che finì inevitabilmente per attirare la mia attenzione. Non abbastanza, però, per fare il grande passo: non ho tempo, non ho spazio, non ho soldi, boh.
Fino a quando non ne ho ricevuto uno in regalo e ho finalmente capito cosa mi stavo perdendo. Questo primo gioco è Flemme Rouge, gioco da tavolo basato sul ciclismo classico che in poche semplici regole riesce ad esprimere l'essenza di uno sport che in realtà non ho mai amato, ma che in questa forma mi ha letteralmente rapito. Quel che mi ha colpito di questo Flemme Rouge non è molto diverso da quel che solitamente mi colpisce in un videogioco: la proceduralità, la rigiocabilità, l'essere avvincente pur non rinunciando alla giusta dose di profondità.
Board Game digitali
In Flemme Rouge, come in altri giochi, il percorso è diviso in tasselli di varie forme sui quali sono disegnate curve, ponti, restringimenti, cambi di superficie; con l'espansione puoi anche andare a modificare il meteo nei vari tratti della gara. Il gameplay si basa sulle carte fatica che andranno ad appesantire il mazzo man mano che spingeremo i nostri atleti al limite: Dagli stessi autori poi ho scoperto quella meraviglia di Heat Pedal to the Metal, dove le regole di Flemme Rouge vengono potenziate e l'ambientazione passa alla Formula 1 dei primi anni '60. Nonostante i circuiti in questo caso siano prestampati, ogni gara può variare nelle regole in base ad eventi speciali e situazioni metereologiche che andranno a modificare il circuito in parte e/o totalmente. Le regole presenti permettono di creare delle situazioni in cui la pioggia battente colpisce solo una parte del tracciato, o nelle quali il caldo va a influire sul raffreddamento del motore solo nella metà del circuito dove non sono presenti nuvole. Il gioco naturalmente non è così preciso, ma gli eventi casuali permettono di immaginare quasi sempre una situazione pre-gara tanto varia quanto logica e credibile.
Re Gameplay
E quanti insegnamenti può dare Heat ai videogiochi di corse moderni. Più mi addentravo nelle sue regole, più nella mente riflettevo su come certi suoi elementi potessero essere riadattati nel medium a cui ho dedicato così tanto della mia vita; più macinavo gare e più cercavo di capire perché quel gioco da tavolo riusciva a trasmettermi sensazioni che né l'ultimo Forza o Gran Turismo sono riusciti a darmi. Anche se il tema sono le corse, Heat è un board game e non può trasmetterti la sensazione di velocità con una grafica in 4K a 120 frame al secondo e deve quindi riuscire a farlo con il suo regolamento. E ci riesce benissimo: devi stare attento alle condizioni della singola curva, tirare al massimo in motore cercando di non farlo imballare proprio sul rettilineo finale, decidere come affrontare una chicane, sfruttare le migliorie che il team applicherà alla vettura dopo ogni gara.
Ci sono poi eventi speciali che andranno a influire lo stress che si porteranno in pista i piloti, il numero di giri, il regolamento, i fotografi che se deliziati concederanno delle carte sponsor in grado di dare un considerevole, ma momentaneo potenziamento alle prestazioni. Tutti elementi che rendono Heat divertentissimo oltre che straordinariamente immersivo. E tutto quello di cui ha bisogno per riuscirci, oltre alla strumentazione minima, sono sei stramaledette macchinine colorate. Non ci sono 50 Hyundai, 30 Ferrari, 15 Porsche, non c'è un processo matematico che calcola in tempo reale il contatto delle gomme sull'asfalto, ciò nonostante una volta in pista le emozioni hanno la stessa intensità. I videogiochi di guida sono in mano a degli ingegneri e ai game designer non resta che il compito di tirar fuori una modalità carriera di merda, quando basterebbero dieci gare e una buona modularità negli eventi. Non è quello che ci ha insegnato proprio il recente e divertentissimo New Star GP (qui la recensione)?
Stessa origine
Heat, come tanti altri giochi da tavolo, dimostrano che i videogiochi tripla A sono diventati troppo didascalici: per ogni azione un'animazione, per ogni missione un dialogo e così via. Un'idea costa troppo, una meccanica ruba tempo al ben più vendibile effetto grafico di ultima generazione. Non è un caso che i videogiochi più profondi nelle meccaniche abbiano le grafiche meno appariscenti: tra questi Dwarf Fortress, RimWorld, Minecraft. Per quale motivo Crusader Kings 3 è visto anche come uno dei giochi di ruolo più incredibili di sempre, e perché riesce a generare storie umane così intense e credibili? Perché le vite dei suoi nobili sono riassunte in schermate prevalentemente fisse. Cos'è Crusader Kings 3 se non un gioco da tavolo troppo complesso per funzionare senza l'ausilio di un computer? E lo stesso si può dire di tanti giochi Paradox e di tanti altri titoli. Del resto, specialmente in passato, prima di realizzare un prototipo digitale di certi videogiochi questi venivano testati proprio sottoforma di rudimentali board game. Chissà quanto poi questo modus operandi ha influito sulla rinascita dei giochi da tavolo che sicuramente, nella loro ricerca di una maggiore complessità, hanno sicuramente preso spunto a loro volta dai videogiochi. A volte i videogiochi sono talmente simili a dei board game che possono trasformarsi in uno di essi addirittura migliorando, come per alcuni è accaduto con lo già splendido This War of Mine degli 11bit Studios.
Giochi mentali
Con Scyte ho riscoperto la bellezza della guerra fredda negli strategici. In questo gioco devi fare due cose: raccogliere risorse con dei poveri agricoltori dell'est europa, mentre difendi i territori con dei giganteschi mech. La cosa bella è che la guerra resta quasi sempre soltanto una minaccia perché, anche in caso di vittoria, da uno scontro si esce sempre indeboliti e altri giocatori ne potrebbero approfittare. C'è una costante tensione ai confini che si protrae lungo tutta la partita e che contribuisce a creare un'atmosfera unica.
Fin troppi videogiochi strategici oggi hanno paura di perdersi l'utente per strada, puntando a una velocità che non sempre si confà al genere. Il ritmo delle partite con altri esseri umani è sempre indiavolato, stampo Starcraft, resta così poco spazio per le tattiche più raffinate e mentali che qui hanno l'ardire di rialzare, finalmente, la testa.
E i board game che diventano videogioco? Visto che il gameplay è sacro, a patto che ci sia dietro un budget degno le trasposizioni si rivelano prevalentemente videogiochi di qualità. Il videogioco di Gloomhaver è uno dei dungeon crawler più apprezzati su Steam, anche Nemesis se la cava benino ma, fatevelo dire, non è la stessa cosa che giocare con carte, cartone e miniature. Il videogioco è un bene digitale praticamente da sempre, la sua forma fisica è momentanea e destinata a scomparire, al contrario l'esperienza data dal board game non può essere digitalizzata.
Insieme
Dover toccare con mano, non avere una UI che ti consiglia sempre cosa fare e come farlo, ti mette al comando di tutto il sistema gioco responsabilizzandoti e tenendoti attento, concentrato sul tuo stesso divertimento. Montare, leggere per imparare, invitare fisicamente qualcuno per giocare insieme come ai tempi di Tekken 3, Chu-Chu Rocket, Soccer Slam è stato rinfrancante dopo anni di isolamento col pad legato al piede, la cuffia inchiodata alle orecchie. Alla fine quel dannato split screen che oggi a molti appare così demodé serviva a qualcosa: ci univa, ci faceva sedere uno accanto all'altro. È anche un'esperienza che pensavo unicamente videoludica quella che mi hanno fatto rivivere i giochi da tavolo. Ulteriore prova che in fondo, videogiochi e giochi da tavolo sono la stessa cosa anche per come questi ultimi vengono oramai prodotti: kickstarter, demo freeware da stampare e provare a casa e, se meritevoli, pubblicati da case editrici più o meno indipendenti. Al punto che quando sono entrato per la prima volta in un negozio specializzato in giochi da tavolo, ho avuto l'incredibile sensazione di entrare fisicamente dentro lo Steam di Valve, tanto era orizzontale la disposizione e la tipologia di offerta come anche in certi richiami grafici dei prodotti.
Troppo spesso si parla di gameplay come un concetto astratto, che si fatica a definire. Se volete capire davvero di cosa è fatto l'elemento portante dei videogiochi, forse è arrivato il momento di provare un gioco da tavolo moderno.