La citazione che apre UDO - Guida ai videogiochi nell'Antropocene (SIDO, 2023) è tratta dal romanzo Il giovane Holden dello scrittore statunitense J.D. Salinger. Ai ragazzi, in classe, viene richiesto di fare un discorso su un determinato tema. Se l'oratore si sposta dal seminato, i compagni devono urlargli "Digressione!" il più velocemente possibile. "È una dichiarazione sulla modalità di costruzione del libro, che si basa su divagazioni", spiega Lupetti, che ha appena dato alle stampe con la casa editrice SIDO il volume UDO - Guida ai videogiochi nell'Antropocene, "e ho voluto inserirla anche per ragioni affettive".
Matteo Lupetti si propone di spaziare e lo fa con ampiezza del tutto singolare: nell'arco di sette capitoli, si parla di UFO, ecologia, crisi climatica, videogiochi indie, bug e glitch, critica letteraria. Sono tutti strumenti in un variegato bagaglio che Lupetti utilizza per interpretare - ma mai decodificare del tutto - gli universi del videogioco, definito nel libro "medium dell'Antropocene".
Abbiamo intervistato Matteo Lupetti in occasione degli IVIPRO DAYS, evento organizzato annualmente da Italian Videogame Program per raccontare il videogioco come risorsa per il territorio e il patrimonio culturale. Con Lupetti abbiamo discusso della sua visione del videogioco come oggetto digitale non identificato, del percorso che ha portato alla creazione di questo libro, di incontro tra mondo umano e non umano, ma anche dei processi produttivi e dell'impatto ambientale dei videogiochi.
Il videogioco come medium dell’Antropocene
Affermando che il videogioco può essere considerato un oggetto digitale non identificato, Lupetti non sostiene che il videogioco manchi di classificazione o che non possa riceverla dall'analisi critica, bensì che l'identificazione dell'oggetto-videogioco non sia mai del tutto possibile. È in questo mistero che la critica può muoversi, preservando tale mancanza di identificazione.
"L'idea alla base del libro nasce dall'ufociclismo, una disciplina che si è sviluppata in Italia a partire dall'ufologia radicale degli anni '90", ci spiega Lupetti, "soprattutto nella sua forma attuale, l'ufociclismo è un tentativo di creare pratiche non identificate tramite la bicicletta, in una forma di resistenza al capitalismo". Secondo i praticanti dell'ufociclismo, la bicicletta è un oggetto capace di promuovere una ribellione verso gli schemi imposti al movimento nelle città - pensati prettamente per le automobili - e muoversi in maniera sovversiva, proprio come un disco volante. "Ciò che volevo indagare era la possibilità di fare una ufocritica al videogioco, un tipo di critica che fosse inaccessibile al capitalismo", racconta Matteo Lupetti.
Questa è solo la prima delle tante digressioni proposte da Matteo Lupetti, che per parlare di videogiochi non si limita mai all'ambito che siamo abituati a considerare come strettamente videoludico. Traendo ispirazione dalla filosofia di Donna Haraway, e in particolare dallo straordinario Chthulucene (edito in Italia da NERO, 2019), Lupetti ricostruisce il videogioco come possibilità di incontro e confronto con ciò che non è umano, abbandonando ogni ambizione di controllo. Un tema su cui l'umanità tutta è chiamata a riflettere nella nostra epoca geologica, definita da molti studiosi "Antropocene" a causa del trasformarsi della specie umana in una vera e propria forza geologica.
"Nell'Antropocene ci rendiamo conto di quanta agency l'uomo abbia sul mondo", commenta Lupetti, "l'essere umano può modificare il clima, le rocce. L'essere umano è una forza geologica. Ma l'Antropocene dimostra anche l'agency del non umano: ci sono moltissime entità non umane che influenzano la nostra storia". Altra definizione proposta per la presente era geologica è quella di "Capitalocene", termine che mette al centro le conseguenze del sistema capitalista sul piano ambientale. E il videogioco, in quanto medium dell'agency, si è sviluppato proprio nel momento di massima crescita dell'impatto antropico sul pianeta. "Il libro svolge una serie di percorsi per comprendere il perché il videogioco sia rappresentativo dell'Antropocene, in questo momento storico in cui comprendiamo di trovarci nell'Antropocene", spiega Lupetti.
Incontri tra umano e non umano: le idee di H.P. Lovecraft
L'incontro tra umano e non umano, così evidente nell'Antropocene, è un tema da sempre indagato nella produzione letteraria, cinematografica, videoludica, in particolare dai generi dell'horror speculativo e nella più ampia categoria del weird. Il mondo videoludico è ancora oggi molto influenzato dalla produzione di uno scrittore di inizio '900, H.P. Lovecraft: basti pensare a videogiochi come Bloodborne o The Last Case of Benedict Fox e Dredge, questi ultimi due usciti nel corso del 2023.
"Racconti come quelli di Lovecraft si scontrano con il limite di dover trasformare a tutti i costi in orrore l'incontro tra umano e non umano, quando si scopre che cose o entità immateriali sono in grado di agire su di noi o sul mondo", commenta Lupetti, "Lovecraft è un'eredità difficile. Il suo concetto di orrore come paura dell'ignoto si basa sulla xenofobia, ossia sulla paura di ciò che è diverso da noi. C'è l'idea che l'ignoto debba farci per forza paura: eppure, se ci pensiamo bene, è difficile avere paura di qualcosa che non conosciamo. Si ha paura di discriminazione, morte, sfruttamento, della manifestazione di sistemi complessi contro di noi. Di cose ben precise".
È l'idea di James Bridle in Nuova era oscura (edito in Italia da NERO, 2019): nell'ignoto può celarsi una speranza, e non necessariamente un qualcosa di negativo. Il terrore dell'oscurità ci è rimasto attaccato, tramandato dalla tradizione della letteratura gotica e, poi, da H.P. Lovecraft. Come influisce questo immaginario sul videogioco? "Tutto ciò che è altro - che sia umano o non umano - nel videogioco viene formalizzato e descritto rendendolo nemico e spaventoso, di solito", spiega Lupetti, "e questo è vero anche per tante opere horror che parlano di Antropocene e continuano a trattare in questo modo il rapporto tra umano e non umano, descrivendolo in maniera traumatizzante, in una chiave che guarda alla xenofobia di inizio '900. Un qualcosa di molto lontano da noi nel tempo, e di non più attuale".
L'Altro viene puntualmente descritto come astuto, potente, pronto tutto pur di sconfiggerci. "Le grandi teorie della cospirazione sono basate proprio su questo", dice Matteo Lupetti, "l'Altro non è mai sotto di te nella catena alimentare. Nella letteratura di Lovecraft non esistono alterità sottoposte all'essere umano".
L'etichetta indie
In questo libro fatto di specchi e di rincorse, dove il videogioco non è mai soltanto videogioco ma è anche - e soprattutto - ponte verso l'Altro, il secondo capitolo propone una riflessione sulla definizione di videogioco indie, considerata da Lupetti come un'etichetta proveniente dal mondo del marketing. "Collego questa nomenclatura al cibo biologico, al bisogno di genuinità", afferma, "è un'etichetta che richiama sincerità".
Come ricorda Lupetti, il concetto di indie videoludico è stato molto influenzato dall'esistenza di una produzione indie in ambito cinematografico. La spinta propulsiva della "rivoluzione indie" degli anni '10 del nostro secolo si esaurirebbe, secondo Matteo Lupetti, nel 2014, anno in cui emerge il Gamergate, considerato come una risposta alle spinte di democratizzazione nello sviluppo dei videogiochi, oltre che all'idea che il videogioco possa parlare di tutto. Come spieghiamo l'ampio successo dell'etichetta "indie", allora? "La comunicazione del marketing è indipendente dai processi produttivi", afferma Lupetti, "viviamo in una società occidentale cittadina di consumo industriale, in cui il consumatore non ha più alcun rapporto con i percorsi di produzione. Questi processi vengono sostituiti da etichette come 'biologico', 'indie', che promettono un recupero di un rapporto genuino con la produzione, di un legame più immediato con chi fa le cose, con l'autorialità di chi le produce. Ma questa brandizzazione non ci fa conoscere in alcun modo le modalità produttive dei videogiochi: l'etichetta nulla ci dice su questo".
Classifiche diverse, premi diversi, e per qualcuno la necessità che i videogiochi "indie" vengano valutati con parametri diversi. Solo che un accordo universale su cosa sia "indie" e cosa non lo sia non esiste, e non sono rare accese discussioni sull'utilizzo di questo termine. "È un'etichetta usata per comodità", commenta Matteo Lupetti, "pensando che questi videogiochi abbiano un sistema di produzione diverso. La verità è che conoscere chi e come ha prodotto il videogioco che usiamo è difficile come scoprire chi ha prodotto la sedia su cui sediamo".
Senza contare che c'è una considerazione totalmente diversa del prodotto "indie" finalizzato a scopi commerciali, rispetto a quello creato come si potrebbe creare un disegno: in maniera spontanea, per un'esigenza intima, non necessariamente da collocare sul mercato. "È un'attività accettata solo se e in quanto produttiva", afferma Lupetti, "c'è una grande difficoltà ad accettare le attività che si svolgono al di fuori dei processi produttivi, in quanto fuoriescono dai processi di consumo. Si scoraggiano le persone dal fuoriuscire dagli ambiti tradizionali di consumo e distribuzione".
La forza della popaganda
All'interno di UDO - Guida ai videogiochi nell'Antropocene, Matteo Lupetti approfondisce anche l'utilizzo dei videogiochi come "popaganda", definibile come la trasmissione di nozioni egemoniche attraverso la produzione culturale di massa. Citando Napoleone Bonaparte ("l'importante è dirigere con polso monarchico il flusso di questi ricordi, ed ecco qual è l'unica storia", disse), Lupetti analizza la rielaborazione del crimine di guerra compiuto dalle forze statunitensi, canadesi, britanniche e francesi nel corso della Guerra del Golfo, che attaccarono truppe e civili iracheni in ritirata sulla strada che porta da Kuwait City all'Iraq. Quella strada rimase tristemente nota come "Highway of Death", l'autostrada della morte.
Solo che in Call of Duty: Modern Warfare del 2019 (remake di Call of Duty 4: Modern Warfare, uscito nel 2007) la storia va in maniera diversa. Una missione del gioco si chiama proprio Highway of Death, ma nella finzione videoludica i criminali sono i russi, non la coalizione americana. Il crimine di guerra viene così riscritto e ascritto al rivale storico degli USA, ossia la Russia. È soltanto un esempio di quello che negli USA viene definito "military-entertainment complex", ossia complesso militare-ricreativo, con stretti legami tra il dipartimento della difesa e il variegato universo dell'intrattenimento.
"La popaganda non si nota perché rispetta l'egemonia culturale, mentre le opere che 'stonano' vengono bollate come 'politiche'. Come se tutti cantano la stessa canzone e poi qualcuno si mette a cantare fuori dal coro", dice Lupetti, "la popaganda avviene mediante la cultura popolare: mentre videogiochi e altre produzioni culturali 'politiche' non rispettano l'ideologica dominante, la popaganda è invisibile e tutti la riproducono inconsapevolmente. Perché è stata assorbita, digerita. È ormai parte di noi".
Si arriva a situazioni a dir poco grottesche. "Inserire una persona con disabilità fisiche in un videogioco verrebbe considerata come una scelta 'politica', come inclusività a tutti i costi, come politicamente corretto", afferma Matteo Lupetti, "mentre accettiamo senza problemi cose totalmente irrealistiche. È molto più facile accettare i draghi sputafuoco piuttosto che un personaggio di colore".
Il videogioco come percorso
Il penultimo capitolo di UDO - Guida ai videogiochi nell'Antropocene è intitolato "Materia" e segue tutto il percorso di produzione e distribuzione di hardware e software videoludici, nel tentativo di comprendere l'impatto umano e non umano all'interno del processo. È un'idea che ricorda il percorso seguito da Paolo Pedercini (Molleindustria) nel suo videogioco satirico Phone Story, pensato per mostrare "il lato oscuro del tuo smartphone preferito", e incentrato sullo sfruttamento di minori e minoranze svantaggiate per recuperare le materie prime necessarie e assembleare il prodotto finito.
"Il videogioco è una merce inquinante", spiega Lupetti, "e di ciò bisognerebbe parlare più spesso. Recentemente, gli sviluppatori di Die Gute Fabrik hanno commissionato un rapporto sull'impatto ambientale del loro videogioco Saltsea Chronicles. Questo è un modo per riflettere sul fatto che il paesaggio videoludico è un paesaggio complesso, in cui non è vero che il giocatore è sempre e comunque al centro". Descrivere e identificare completamente questa complessità è impossibile, ma compiere un tentativo può essere il primo passo per riflettere criticamente sull'impatto dell'uomo sul pianeta. Sull'Antropocene, insomma: e, per la sua potenza prepotentemente divagatoria, UDO - Guida ai videogiochi nell'Antropocene è un esperimento felicemente riuscito.
Per trasparenza, si dichiara che l'autrice e Matteo Lupetti collaborano per il quotidiano Il Manifesto, e che la casa editrice SIDO ha fornito all'autrice una copia gratuita di UDO - Guida ai videogiochi nell'Antropocene.