Il guerriero è stanco. Seduto di fronte a un mortifero fuocherello, sembra assorto in profonda riflessione mentre distrattamente scalcia un paio di sassolini qui e lì, il suo sguardo apparentemente perso sulla spada a due mani con cui ha appena trafitto un Bell Gargoyle. Sia lui che io, però, siamo consapevoli che il tempo per riposare è poco, giusto quei pochi minuti per riempire le fiaschette di Estus e poi ripartire.
Questa scena suonerà decisamente familiare per chiunque abbia passato anche un minimo di tempo nell'universo di Dark Souls ed Elden Ring: quella potente sensazione di solitudine e lacerante malinconia, inevitabile dopo un combattimento all'ultimo sangue che ci ha lasciato quasi senza fiato. In questo senso, potrebbe non sorprendere venire a sapere che queste atmosfere sono ben note a FromSoftware da parecchi anni prima di uscire con Demon's Souls. In realtà, potremmo seguirne le tracce quasi trent'anni indietro, fino al loro debutto nel mondo videoludico.
Riscopriamo King's Field, il gioco che gettò le basi per i Souls.
Un RPG poligonale per la PlayStation
King's Field è stato il primo gioco pubblicato dalla software house giapponese, anche se l'azienda esisteva già da alcuni anni, essendo precedentemente impegnata con software da ufficio. Originariamente uscito in Giappone nel 1994 come esclusiva PlayStation, fu tra i primissimi titoli disponibili per la console Sony, lanciato poco più di due settimane dopo l'uscita. Una ricezione della critica tiepida non impedì un buon successo di pubblico in madrepatria ma, ciò nonostante, il titolo non è mai uscito ufficialmente in Occidente. Alcuni appassionati hanno reso disponibile una patch di traduzione in inglese, qualora qualche giocatore ardimentoso volesse cimentarsi.
Il primo titolo della serie che ricevemmo in Occidente fu, invece, il seguito del 1995, King's Field 2, da noi uscito come "King's Field". Il seguito, King's Field 2, è - come avrete intuito - in realtà il terzo gioco della serie. Insomma, una classica confusione di titoli in stile Final Fantasy per Super Nintendo. Nell'originale il protagonista è Jean Alfred Forester, figlio del capitano delle guardie del regno di Verdite. La storia di Jean inizia proprio al cimitero, per cercare di trovare qualche informazione in più sulla tragica fine di suo padre, scomparso dopo essersi imbarcato in una pericolosa spedizione con l'obiettivo di sconfiggere i demoni che affliggono il reame. I seguiti esplorano le successive avventure del reame di Verdite, ma sempre con un personaggio predefinito, dato che manca quella che sarebbe divenuta la classica creazione dell'avatar dei Souls.
Una quadrilogia frammentaria
Il terzo gioco, come citato, uscì sempre per l'originale PlayStation mentre, nel 2001, la serie arrivò alla generazione di console successiva. King's Field: The Ancient City per PlayStation 2 fu il quarto, e (per ora) ultimo capitolo. La narrativa di King's Field, già nell'originale ma così anche nei seguiti, viene presentata in maniera decisamente frammentaria. Al giocatore vengono comunicati solo pezzetti d'informazione, spesso alquanto criptici, consegnati dai diversi personaggi, come pescatori o maniscalchi che Jean Alfred (e gli altri protagonisti) incontreranno nella loro esplorazione dei luoghi abitati di Verdite.
Quella è però solo una parte dell'esperienza, poiché la maggior parte del tempo il giocatore la passerà esplorando oscuri dungeon e caverne. Si tratta di una scelta quasi forzata per l'epoca, considerando come King's Field sia uno dei primi titoli interamente poligonali in 3D ad arrivare sul mercato.
La limitata capacità tecnologica di PlayStation (perlomeno per quanto riguarda i primi titoli) avrebbe complicato oltremodo la creazione di un mondo da esplorare all'aperto: per questo, in quel senso, la libertà del giocatore ha finito per essere piuttosto contingentata.
Nell'evoluzione tra le due generazioni, il design del mondo di King's Field è diventato chiaramente più complesso, pur non arrivando mai a un vero e proprio open world, per quanto nel quarto titolo le aree da esplorare siano maggiormente connesse tra loro e tematicamente variegate.
Viene, dunque, naturale descrivere la serie King's Field come un classico "dungeon crawler", quel sotto genere di giochi di ruolo il cui gameplay si svolge quasi esclusivamente in ambientazioni sotterranee e, spesso, viene presentato con una visuale in prima persona. Dal capostipite Dungeon Master, fino a titoli più recenti come Legend of Grimrock, per quanto potremmo affermare che non si tratta di un sottogenere dall'immensa popolarità, ha indubbiamente avuto il suo seguito. Tuttavia, mentre il primo King's Field è quasi esclusivamente ambientato in vari sotterranei, gli altri titoli presentano anche lunghe scalinate e torri altissime da esplorare, fino ad arrivare alle foreste di King's Field 4.
Come per l'originale, l'intera serie di FromSoftware è caratterizzata da meccaniche in prima persona, e di conseguenza il combattimento non raggiunge la complessità degli RPG più recenti dello studio giapponese. I movimenti sono oltretutto lenti, quindi non c'è possibilità di evitare i colpi con parate e schivate, e perfino scappare dai nemici è spesso reso complicato da quanto lentamente si muove Jean Alfred. La meccanica di combattimento si riduce a tirare un colpo con la nostra arma, aspettare che la barra della stamina si ricarichi e poi riprovare. Sono presenti anche attacchi magici, così come archi e frecce, ma per gran parte del tempo, l'arma bianca è quella più efficace.
In maniera simile alla serie The Elder Scrolls, per aumentare la nostra capacità di attacco dovremo semplicemente fare pratica. Così, per diventare più forti e precisi, bastava qualche centinaio di colpi a vuoto. Una tra le tattiche maggiormente più efficaci era il girare attorno ai nemici, così da arrivare ad attaccarli alle spalle. Gran parte degli avversari erano ancora più lenti dei personaggi principali, quindi riuscire a prenderli alle spalle era relativamente facile.
Una quadrilogia della disperazione
Fin qui, abbiamo visto come lo studio giapponese è riuscito a creare in maniera brillante un RPG da zero; ma qual è il collegamento tra la FromSoftware del 1994 e quella del 2022? Il motivo principale in cui King's Field sembrerà familiare ai fan dei capitoli della serie Dark Souls non risiede nel combattimento, né semplicemente nei riferimenti e nelle citazioni della serie (come la Moonlight Sword). Piuttosto, sembrerebbe trovarsi nel modo in cui l'intero universo della serie RPG dello studio giapponese è stato costruito. Il regno di Verdite dell'originale King's Field è un luogo in cui la speranza ha smesso di abitare ormai da decenni. I dialoghi con gli NPC ricordano costantemente al giocatore di trovarsi di fronte a una missione quasi impossibile: quella di salvare il reame da una presenza malefica e demoniaca.
Al di là della nostra missione, l'umore dei personaggi che incontreremo sarà sempre quello disperato che ci è ben familiare. Una delle prime missioni dell'originale King's Field consiste proprio nel dover trovare il figlio di un becchino che, come si scopre successivamente, non ha bisogno di esser salvato, visto che è stato già trucidato da una mummia. Oltre questo, si incontrano anche guerrieri sconfitti che letteralmente "non ce la fanno più" e implorano al giocatore di essere uccisi, atto necessario per guadagnare un oggetto della missione. Nella tradizione di FromSoftware, siamo liberi di uccidere chiunque incontriamo, il che potenzialmente è la classica arma a doppio taglio. Far fuori il personaggio sbagliato vorrà dire infilarsi in una strada senza uscita.
Il coraggio di FromSoftware
Nel 1994 non c'erano tanti altri sviluppatori giapponesi con il coraggio di creare un'esperienza di gioco di ruolo del genere. Non solo perché era sviluppata completamente in 3D, di per sé già una bella sfida nel 1994, ma perché la filosofia di fondo è ben lontana dagli altri JRPG dell'epoca. King's Field sembra influenzato più che altro dai giochi occidentali, come il già citato The Elder Scrolls: Arena o, forse ancora di più, Ultima Underworld. Proprio lo spin-off della classica serie di Origin fu tra i primi a dimostrare come si potesse disegnare un RPG in prima persona, portato avanti da un motore grafico (pseudo) 3D.
Ma FromSoftware andò ben oltre il sentiero tracciato dallo studio americano, lasciando il giocatore alla mercé di un mondo senza pietà, costringendolo ad andare avanti con minimi indizi e senza guide (un sistema di mappe arriverà solo nel 2001). King's Field è proprio il modo con cui lo studio giapponese si è fatto le ossa: esperienze difficili che lasciano il giocatore in solitudine a esplorare territori pericolosi. Eppure, c'è un tocco in più che differenzia spesso i lavori dello studio giapponese da quelli della concorrenza.
Nonostante l'imperante tristezza che alberga nel regno di Verdite, è possibile trovare una fioca speranza, a malapena visibile tra le nubi oscure. Si nota specialmente in alcuni momenti di King's Field 2, dove il giocatore, dopo aver salito una torre che sembra non finire mai, finalmente vede la luce del sole che fa capolino tra le fronde di un enorme albero. Si tratta probabilmente di uno dei pochi momenti dell'intera serie in cui al giocatore è lasciato sperare un minimo. Magari, solo per un attimo finalmente il sole riuscirà a sconfiggere quell'orribile notte. Ma purtroppo quella vittoria è meramente effimera, poiché molto presto torneremo a stringere i denti immersi nell'oscurità.
Le lezioni imparate
Da King's Field sono passati 28 anni e, da allora, lo studio giapponese non ha smesso d'imparare costantemente dai propri titoli passati, affinando rigorosamente la capacità di creare universi alternativi e nemici memorabili. Giunti a questo punto, è bene specificare che il primo King's Field non sia certo invecchiato così bene, tra controlli "tank" e meccaniche inesorabilmente lente. Il discorso potrebbe valere anche per l'intera quadrilogia, visto che FromSoftware non ha mai voluto rivoluzionare quel concetto di base. Certo, King's Field 4 è molto più digeribile, ma comunque non cambia quanto visto in precedenza.
E, anche in questo, potremmo tracciare una facile linea parallela con i recenti lavori di FromSoftware. Nella parabole tra Demon's Souls, Dark Souls ed Elden Ring, possiamo osservare uno studio che costantemente impara, affina, aggiusta, sistema. Ma non rivoluziona. Di certo, possiamo affermare senza timore che Dark Souls (o Demon's Souls) non sarebbe mai esistito senza il lontano parente King's Field. E non solo, le similitudini tra le due serie sono talmente tante da far pensare che si tratti in realtà di un unico universo. In tutta la quadrilogia, gli elementi in comune con i recenti titoli di FromSoftware si sprecano: anelli magici, scorciatoie da sbloccare, armi che si consumano, trappole.
King's Field ha dimostrato per primo che la malinconia e la tristezza possono essere sconfitte, magari non per sempre, ma abbastanza trovare la speranza di andare avanti. Quella stessa fioca scintilla che ci fa sperare che possiamo alzarci anche oggi, magari con la volontà di riprovare ancora, di migliorarci. Magari, un giorno, saremo in grado di superare certe difficoltà apparentemente insormontabili. Insomma, King's Field per primo ha dimostrato la necessità di mantenere viva quella speranza di diventare più bravi. Di - come dire - "git gud".