"Quando partecipavi alle riunioni in Looking Glass Studios, avevi sempre l'impressione di essere la persona meno intelligente della stanza". A pronunciare queste parole è stato Warren Spector, riflettendo sul lungo periodo trascorso nella fucina che ha dato i natali a System Shock. In effetti, nel sottobosco dello sviluppo di videogiochi si fa riferimento a quelle sale come a una sorta di università capace di elargire veri e propri master nello sviluppo, un luogo in cui alcune fra le menti più brillanti dell'industria si sono improvvisamente trovate a condividere idee in libertà, talmente carico di talento da non riuscire ad accontentarsi della più semplice e banale idea di divertimento. Una caratteristica, questa, che nel corso degli anni si è trasformata in una sorta di maledizione capace di colpire un genere intero: alla nascita di System Shock, nel 1994, si fa infatti coincidere quella dell'intera ispirazione degli "immersive-sim".
Una natura i cui contorni sono ancora oggi tanto sfocati quanto discussi e che ha sempre vissuto un rapporto dolceamaro con il mercato dei videogiochi, pur entrando sotto pelle ai creativi che vi si confrontarono allora. A quel progetto lavorarono Doug Church, leggendario programmatore di tutti i principali eredi, Warren Spector, che finì a dirigere Deus Ex, Austin Grossman, legato a doppio filo con la serie Dishonored, o ancora Robb Waters, artista alle spalle di un Bioshock che fra l'altro fu ideato da Ken Levine, all'epoca un giovane acquisto di Looking Glass Studios. Ma il big bang creativo che ancora oggi riecheggia in mezzo a titoli di straordinaria caratura conobbe la sua scintilla proprio sulla stazione spaziale Citadel, accanto agli anelli di Saturno, sotto lo sguardo inquietante dell'intelligenza artificiale SHODAN: questa è la storia di come System Shock ha cambiato il mondo dei videogiochi.
La genesi
La genesi di System Shock pianta radici profonde nei confini dei suoi predecessori indiretti, ovvero quella coppia di titoli del filone Ultima Underworld che per primi sterzarono dal binario del classico gioco di ruolo. Internamente si parlava da tempo di "simulazioni immersive", di quanto gli elementi ruolistici stessero passando in secondo piano in seguito all'introduzione degli ambienti tridimensionali, ma si iniziava soprattutto a percepire il peso del confronto con una formula che stava diventando inevitabilmente ripetitiva. L'input iniziale provenne proprio da Doug Church, che assieme ad Austin Grossman iniziò a buttare giù le idee per dar forma al futuro di Looking Glass Studios: l'idea fondamentale era quella di raddoppiare sul realismo e sulla componente interattiva, liberandosi dalle catene della tradizione fantasy per trovare una nuova valvola di sfogo che fosse capace di sostituire ogni genere di dialogo con l'esperienza diretta del giocatore.
Ciò, tuttavia, non significava necessariamente abbandonare l'idea del simulatore di dungeon, ma tradurla secondo un'ispirazione che avrebbe offerto opportunità inedite: Doug Church, Austin Grossman e Paul Neurath di Origin Systems optarono allora per l'universo sci-fi, individuando nell'ambientazione della stazione spaziale un perfetto equivalente delle tombe sotterranee. Allora iniziò ad andare in scena l'enorme sforzo di produzione, specialmente sul lato ingegneristico, che condensò sistemi di gioco estremamente innovativi, un motore fisico costruito da zero e un approccio alla scrittura mai visto prima - se non dalle parti dell'Antologia di Spoon River - all'interno della stazione spaziale Citadel, che trovò quasi per caso il suo deus ex machina nell'intelligenza artificiale SHODAN. Il 23 settembre del 1994 fu pubblicata la versione floppy disk di System Shock, cui a stretto giro seguì una variante CD-Rom che lasciò un'impronta pesantissima nel mondo dei videogiochi.
Rivoluzione immersiva
Analizzando System Shock si parla spesso della sua capacità di codificare il genere dell'immersive-sim, trasformando quelle che erano idee sconnesse in un ordinato insieme legato all'identità concepita da Doug Church. I simulatori immersivi oggi mirano per l'appunto a simulare uno spazio tridimensionale estremamente realistico nel quale l'avatar del giocatore esiste come entità fisica e attiva, ed è proprio da questo presupposto che nasce il concetto di immersività. Ma il genere non sarebbe tale senza la capacità di premiare l'espressione del libero pensiero del giocatore, che deve trovarsi a interagire con lo spazio esattamente come farebbe nel mondo reale, in maniera più che intenzionale: gli viene fornito un obiettivo e tutti gli strumenti necessari per raggiungerlo, ma non esistono percorsi predeterminati; tocca guardarsi attorno, esaminare le risorse a disposizione, studiare piani d'azione, in sostanza bisogna improvvisare anziché azzeccare l'opzione corretta scelta dagli sviluppatori.
Altre caratteristiche essenziali sono la struttura sistemica e la presenza del cosiddetto "gameplay emergente": invece di affidarsi alla messa in scena di eventi precalcolati, filmati in alta definizione o soluzioni obbligate, System Shock scommetteva unicamente sull'intelligenza artificiale dei nemici, sulle loro routine, sulla struttura delle mappe, nonché sull'interazione di meccaniche sulla carta semplici per generare costantemente situazioni uniche e imprevedibili. L'istante in cui si prendeva per la prima volta il controllo dell'hacker fu dirompente: si scopriva improvvisamente di poter utilizzare il cursore per interagire non solo con gli elementi bidimensionali dello scenario ma anche con parte del fondale in 3D, quasi a voler ricordare la messa in scena in un ambiente tridimensionale delle regole delle classiche avventure testuali. Ovviamente, ciò traspare ulteriormente nei confini del recente remake: hai premuto questo pulsante? Qualcosa è cambiato... hai provato a toccare questo tastierino numerico? Non è successo nulla.
Il rapporto causa-conseguenza e l'osservazione dell'ambiente circostante diventavano dunque gli elementi cardine della produzione, e non è un caso se abbiamo menzionato i tastierini numerici, perché System Shock era proprio questo: capitava di imbattersi in una porta sigillata e si poteva star certi che da qualche parte, nelle vicinanze, si nascondessero uno o più metodi per aggirare quel limite, magari proprio il codice di apertura annotato da un impiegato della TriOptimum in un momento antecedente la catastrofe. Il che è utile per ricordare come System Shock costituiva una delle prime esperienze in assoluto ad adottare una tecnica di scrittura post apocalittica: nell'interezza dell'esperienza, l'hacker protagonista intratteneva contatti con personaggi fisicamente esistenti solamente per mezzo di posta o comunicazioni radio, mentre la narrazione e la caratterizzazione scaturivano unicamente dalle testimonianze di persone ormai scomparse, come in una sorta di tributo alla succitata Antologia di Spoon River.
Ancora oggi si riaccendono le discussioni quando si parla di immersive-sim: si tratta davvero di un genere di videogiochi a sé stante? Perché sono fra i titoli più amati e apprezzati in assoluto nonostante facciano fatica sul fronte commerciale? Non è facile trovare risposte, ma si potrebbe discutere del fatto che tutti i videogiochi avrebbero dovuto - e in certi casi l'hanno fatto - trarre lezioni dai lavori di Looking Glass Studios: System Shock ha rappresentato un'oasi tecnologica che ha fondamentalmente proiettato nel futuro di oltre un decennio le regole dell'interazione con il mondo virtuale. Era ciò che William Crowther prima e Don Woods poi immaginavano durante la creazione di Colossal Cave Adventure nel 1976, ed è ciò di cui ancora oggi si sente la mancanza, per esempio, dalle parti di colossal come lo Starfield di Bethesda Softworks.
L'eredità di System Shock
Per quanto riguarda System Shock, l'opera ricevette un seguito nel 1999 che fu il frutto di una collaborazione tra Looking Glass e i neonati Irrational Games dell'uscente Ken Levine, anche se era già da qualche tempo che l'ispirazione tentava di liberarsi dal contesto sci-fi. Nel 1998 vide infatti luce Thief: The Dark Project, in Italia distribuito come Dark Project: l'Ombra del Ladro, titolo che contribuì ad allargare i confini dell'embrione del genere puntando enormemente sulla componente stealth, fra l'altro integrando per primo luci e suoni nelle effettive dinamiche di gioco. Ma, come brevemente accennato, le tecnologie, le idee e soprattutto la filosofia di design sviluppata allora divenne elemento pervasivo della produzione di chiunque si era trovato coinvolto in tali progetti.
Quando Warren Spector si unì alle file di Ion Storm divenne direttore e produttore di un'esperienza che avrebbe indirettamente influenzato il successivo ventennio videoludico, ovvero Deus Ex. Era dai tempi di Ultima Underworld II che l'autore aveva iniziato a immaginare i contorni di questa IP, ma fu solo quando John Romero decise di credere in lui che poté finalmente dedicarcisi a tempo pieno, arricchendo ulteriormente le fondamenta erette ai tempi di System Shock attraverso la contaminazione di altri generi, dalla forte impronta RPG fino alla propensione all'avventura tradizionale. Un discorso simile si può fare per Arx Fatalis, opera prima di Arkane Studios e di Raphael Colantonio, che tentò in ogni modo di trasformarla in un terzo episodio di Ultima Underworld con la benedizione di Paul Neurath di Origin, ma Electronic Arts si mise di traverso costringendolo a realizzare un mondo originale.
La storia di Arkane Studios non cessò d'intrecciarsi con l'eredità di System Shock: se Dishonored si può dire mutuato da quell'immaginario e soprattutto da un'esperienza come Thief, a svolgere un ruolo fondamentale fu proprio il coinvolgimento di Austin Grossman e persino di Terri Brosius, scrittrice e game designer che divenne leggenda per aver prestato la sua voce all'iconica SHODAN. Non c'è poi bisogno di spendere troppe parole riguardo il Prey di Arkane Austin, che nella sua stazione spaziale Transtar Talos I ha racchiuso tutta l'ispirazione della sua progenitrice Citadel, di fatto trasformando il protagonista Morgan Yu in una novella incarnazione dell'hacker, mentre l'intero approccio al gameplay in una rilettura in chiave moderna delle regole fissate da Looking Glass.
Resta da menzionare solamente Bioshock di Irrational Games, che coincise con la definitiva consacrazione di Ken Levine avvenuta per le strade sottomarine di Rapture. Passato attraverso innumerevoli riletture in fase di progettazione, il titolo scelse infine di porsi come successore spirituale di System Shock 2, stravolgendo completamente l'ambientazione ma mantenendo intatti punti cardinali come l'interazione con altre entità esclusivamente attraverso audiolog e comunicazioni radio, la necessità di confrontarsi con sistemi di sicurezza automatizzati, nonché uno studio dei livelli quasi perfettamente sovrapponibile alle architetture di Looking Glass. Insomma, nel corso degli anni l'eredità della stazione Citadel è passata tra dozzine di mani eccellenti, ha raggiunto straordinari traguardi artistici, ma ha anche conosciuto un imponente lato oscuro.
La maledizione e la benedizione dell'immersive sim
Oggi si parla spesso di "maledizione degli immersive sim" per fare riferimento alla forbice che esiste fra gli altissimi giudizi del pubblico e della critica e i risultati spesso sottotono sul fronte delle vendite. Al tempo della pubblicazione dell'originale System Shock la pirateria giocò un ruolo fondamentale nel portarlo su milioni di PC senza rimpinguare le casse di Looking Glass Studios, ma cosa accadde in seguito? Probabilmente parte della responsabilità risiede nella natura stessa di questi progetti, inevitabilmente destinati ad essere considerati videogiochi "per intenditori", difficilmente classificabili tra le diffuse e accessibili file dei tradizionali FPS ma al tempo stesso intimidatori e concettualmente indecifrabili per gli appassionati dei classici giochi di ruolo ed esperienze similari.
Certo è che System Shock, ora tornato anche su console grazie all'operazione remake di Nightdive Studios, si presentò fin dal 1994 come una produzione atterrata direttamente dal futuro: la maggior parte delle sue meccaniche rappresentano tutt'ora un miraggio per un mondo dello sviluppo AAA che, rimasto ingabbiato nell'inseguimento della curva tecnologica, sta dedicando sempre meno attenzione alla profondità dell'interazione. Se da una parte le basi gettate allora sul fronte tecnico-narrativo sono riemerse nella maggior parte degli eredi diretti, ma anche tra le pieghe di capolavori come Half Life, tutti i videogiochi moderni dovrebbero trarre insegnamento da System Shock, probabilmente il titolo che più d'ogni altro ha proiettato nel futuro la visione embrionale degli originali pionieri del medium.