Era pressappoco il 2004 quando in redazione, all'epoca quella di Play Media Company, venimmo a conoscenza di un gioco chiamato Ryu ga Gotoku. La notizia colpì particolarmente perché quello era a tutti gli effetti il primo grande gioco della nuova Sega, ora alleata con Sammy, la regina multimilionaria dei Pachinko. Più scioccante fu per me, che tanto avevo amato Shenmue, ritrovare il DNA del gioco di Yu Suzuki in un contesto così diverso, senz'altro meno poetico, ma decisamente più accattivante.
Dove tutto è cominciato
In quel periodo avevamo degli ottimi rapporti con Sega of Japan: ci spediva materiale in esclusiva su supporti digitali mai visti prima, ma ci volevano giorni per trovare qualcuno capace di aprire quei file, e ci rilasciava interviste senza nessun problema. Quegli strani appassionati italiani sembravano stargli un bel po' simpatici e infatti, poco dopo l'annuncio di Ryu Ga Gotoku, ne approfittammo per spedire una mail tutta impostata, rispettando tutti e duecento i sacramenti della perfetta email da spedire a un giapponese, per chiedere un'intervista proprio al director Toshihiro Nagoshi.
Il Nagoshi di un tempo era una persona totalmente diversa da quella di oggi: il look era quello dell'impiegato che si concede come unico vezzo un capello un po' più lungo del normale, su abiti però mai troppo colorati, e non sembrava nemmeno avere una gran voglia di apparire o quantomeno esporsi. Questo tratto della sua personalità di allora, lo ritrovammo anche nelle risposte all'intervista che, dopo pochi giorni d'attesa, arrivarono nella nostra casella postale.
Risposte concise e domande ignorate lasciarono trasparire un sentimento che noi percepimmo come una sorta di... imbarazzo. Toshihiro Nagoshi sembrava imbarazzato e forse anche un po' stupito che dall'Italia ci fosse così tanta curiosità verso un gioco che, ci disse, non era sua intenzione portare in occidente. Imbarazzato anche all'idea che un titolo come quello, una sorta di specchio della società giapponese che per quanto deformata veniva messa a nudo, potesse raggiungere occhi estranei come lo erano appunto i nostri. In realtà le cose andarono poi diversamente e col nome che mai ho condiviso di Yakuza la serie debuttò da noi soltanto un anno dopo.
Tempistiche nemmeno così lunghe considerando la media dell'epoca; penso che il CEO di allora volesse sfruttare la grande affinità che, dopo i successi di Monkey Ball ed F-Zero GX, si era creata con Nagoshi e il pubblico occidentale. Scoprimmo poi che Shenmue era un argomento da non tirare in ballo, per Nagoshi come anche per la stessa Sega dove rimase un tabù per quasi un decennio. Anche se Yakuza non è mai stata ufficialmente collegata a Shenmue, il punto di contatto tra le due serie esiste ed è proprio Toshihiro Nagoshi. Lo sviluppatore lavorava proprio in Sega AM2 dove Shenmue è stato sviluppato, ne è stato anche il supervisore, salvo poi rinunciare all'incarico perché non contento della direzione che stava prendendo il gioco; e sempre su Shenmue Nagoshi tornò verso le battute finale dello sviluppo, quando sia Suzuki che il Presidente di Sega of Japan gli chiesero di ricoprire il ruolo ad interim di producer e director.
Influenze negate
È davvero difficile credere che l'esperienza con Shenmue non abbia influenzato la nascita di un gioco che ne condivide così tanti aspetti. Ma in fondo non è così importante, lo è invece che Yakuza sia nato e, nel tempo, sia anche divenuto una sorta di cult amato tanto in Giappone, quanto in America e in Europa. Al punto che da qualche capitolo a questa parte, incluso il prossimo Infinite Wealth, il gioco è tornato ad essere completamente tradotto anche in lingua italiana. Il successo di Yakuza è un caso di studio davvero interessante perché molti dei suoi aspetti vincenti, in altre serie ne decreterebbero il fallimento. La sua mappa è di dimensioni ristrette e per molto tempo è stata sempre la stessa, il timing del racconto è quello inesorabilmente lento dei drammoni prodotti dallo Shochiku Studio, ma con una spruzzata di Masahiro Shinoda e Takeshi Kitano, inoltre è strambo, a volte persino grottesco, come solo un videogioco giapponese sa essere. E infatti all'inizio, nonostante una certa spinta mediatica, in occidente Yakuza fatica e faticherà per molti anni ancora, anche per colpa di Sega che a volte sembra crederci, ma mai a sufficienza.
Kiryu Superstar
Personalmente sono stato un decennio a sgolarmi, cercando di convincere un pubblico che però aveva sempre un altro gioco a cui giocare o da aspettare. Le cose sono cambiate lentamente e grazie al passaparola, ma per Yakuza prima e Like a Dragon dopo la vera svolta in fatto di popolarità è stato l'arrivo su Game Pass di Xbox. Da lì una valanga, e finalmente il riconoscimento meritato. Ma forse è proprio per come è stato ideato il motivo per cui Yakuza ha avuto bisogno di tutto questo tempo per affermarsi. Anche se c'è chi lo ha apprezzato da subito, molte delle sue peculiarità sono emerse negli anni: capitolo dopo capitolo la sua piccola mappa si è trasformata in simile coacervo di storie ed avvenimenti da sembrare davvero un luogo reale, e lo stesso è avvenuto con i suoi abitanti. I dettagli grafici, elemento su cui la serie non si è mai concessa troppo, sono qui sostituiti da una quantità pazzesca di ricordi che il giocatore avrà vissuto in un lasso di tempo lungo undici anni (escludendo quindi i Like a Dragon).
Tutti ambientati nello stesso luogo, anche se con qualche eccezione. Sempre strettamente legato all'attualità, oggi ogni Yakuza rappresenta una sorta di straordinaria cartolina del periodo storico in cui è ambientato. Tra uno Yakuza e l'altro, si può anche vedere come è cambiata la politica della raccolta dei rifiuti nella zona di Kabukichō (nel gioco Kamurocho); come non mancano i cenni alla situazione politica su cui tra l'altro spesso fa leva la trama, come accade per esempio in Yakuza 3 e la base militare in costruzione su cui, si vociferava, aleggiava un esplosivo giro di tangenti che il gioco trasforma in una rocambolesca gangster story.
Persone vere, situazioni speciali
Ma Yakuza non sarebbe quello che è senza i suoi personaggi. Il più importante è naturalmente Kazuma Kiryu di cui oramai seguiamo le gesta da quando era un giovane imberbe. Non esiste altro personaggio dei videogiochi su cui è stato puntato un simile Truman Show, come del resto non esiste un altro personaggio dei videogiochi con una vita raccontata in modo così minuzioso, praticamente di anno in anno. L'umanità di Shun Akiyama, la sua storia, è qualcosa di straordinario proprio come lo sono l'ispettore Makoto Date, Goro Majima, Akira Nishikiyama. Nomi che la prima volta che giochi ti fanno girare la testa, ma che poi inizi sorprendentemente a ricordare anche con un certo affetto. Questa girandola di volti nel tempo è invecchiata, alcuni sono morti e altri persino risorti più volte, al punto che con la recente reincarnazione da Yakuza a Like a Dragon, la serie si ritrova a dover gestire un inevitabile passaggio di consegne tra vecchia e nuova generazione di eroi, di comprimari e anche di sviluppatori (perché nel frattempo Nagoshi è andato via). Eppure con il primo Like a Dragon il passaggio di consegne sembrava già bello e fatto (benvenuto Ichiban!) ma un passato così ingombrante non lo si fa fuori dal giorno alla notte: ecco quindi rispuntare Kiryu nello spin-off The Man Who Erased his Name, e come comprimario anche nel prossimo Like a Dragon: Infinite Wealth. Ma un lungo addio, è pur sempre un addio; speriamo che quando arriverà il momento, questo non sia doloroso come però già promette di essere. Quando gli autori giapponesi vogliono farti male, lo sanno fare straordinariamente bene.
Reinventare i turni
Inoltre come si fa a non provare affetto verso una serie che, mentre tutti stanno cercando di abbandonare i turni, fa il percorso contrario abbandonando le scazzottate in tempo reale in favore di un combattimento più ragionato e ruolistico? Un passaggio persino spiegato nella trama del gioco, attraverso il modo di vedere il mondo di Ichiban che da grande amante di Dragon Quest immagina di vivere dentro un JRPG. La scelta sembra anche essere stata vincente: il nuovo sistema di combattimento funziona alla grande in Like a Dragon, al netto del grind un po' troppo pressante verso la fine del gioco, e promette diverse importanti migliore in Infinite Wealth. Svecchiare la serie optando per un sistema di combattimento che potrebbe sembrare anacronistico fa ridere come una delle più geniali battute del gioco, è meta, ma è anche una sfida quella di renderlo moderno, accessibile, veloce, come del resto riesce per esempio ai cugini di Atlus.
Un punto di svolta
Se il team riuscirà a superare la fase critica del post Kazuma Kiryu e dell'addio di Toshihiro Nagoshi, e la prova ce l'avremo molto probabilmente con Infinite Wealth, per Yakuza/Like a Dragon il futuro potrebbe rivelarsi ben più roseo del suo comunque illustre passato. E sono davvero pochi i videogiochi che dopo venti anni di carriera hanno la fortuna di ritrovarsi in una posizione simile. Ancora meno sono i giochi che, pur avendo mantenuto la stessa formula per tanti anni, sanno ancora divertirti ed emozionarti. Da grande fan ho avuto diversi momenti di stanchezza, per esempio ho saltato il recente Like a Dragon Gaiden: The Man Who Erased His Name che reputo uno spin-off di troppo che si accavalla pericolosamente a Infinite Wealth; gli Ishin pur avendoli desiderati tantissimo nel corso degli anni sono poi stati una grande delusione, anche se appartengono al passato; e ammetto di temere questo ritorno sulle scene di Kazuma Kiryu, che puzza di parola rimangiata e coraggio in riserva.
Ma a scrivere ora è la mia parte cinica, alla quale è giusto dare retta anche se solo fino ad un certo punto. La verità è che Infinite Wealth sembra a tutti gli effetti un punto di svolta generazionale, e se c'è qualcuno che può sentirsi ottimista, almeno secondo la nostra anteprima, sono proprio i fan di Like a Dragon.