Non avrei dovuto intervistarlo io Yu Suzuki, ma l'ho desiderato talmente tanto che forse il destino ci ha messo lo zampino. Il problema è che sono venuto a sapere di questa opportunità in tempi strettissimi, mentre ero impegnato in una delle live quotidiane in diretta da Lucca, costringendomi ad una rocambolesca corsa tra le vie della città toscana che in quel momento erano piene di visitatori e sotto una costante pioggia battente. Ma alla fine ce l'ho fatta. Gocciolante e col fiatone, finalmente davanti a uno dei creatori di videogiochi più importanti di sempre, mi sono esibito nel più rigoroso inchino giapponese e ho iniziato a sparare domande...
Un incontro magico
Erano ventitré anni che non ci incontravamo, naturalmente io mi ricordavo di lui ma lui non di me, perché il buon Suzuki è stato fondamentale per la mia carriera. Nel 2000 dirigevo la rivista Dreamcast Arena e nello stesso anno sono andato per la prima volta all'E3 di Los Angeles ma, con un Dreamcast senza più un referente italiano, era molto difficile organizzare incontri simili e infatti mi ritrovai in fiera senza l'adesivo sul badge necessario per entrare nel grande stand di Sega. Ci provai lo stesso, ma l'uomo corazzato all'ingresso mi respinse più volte fino a che non desistetti definitivamente. Succede però che girovagando per la fiera mi imbatto proprio in Yu Suzuki ed è in quel momento che, giocandomi il tutto per tutto, faccio un po' come i due protagonisti di Wayne's World quando si ritrovano davanti ad Alice Cooper e inchinandosi davanti a lui iniziano a ripetere "siamo delle merde". Il sistema funziona: Yu Suzuki mi raccoglie da terra, si fa seguire fino allo stand di Sega e lì mi presenta al buttafuori come suo amico. Immaginate la mia faccia!
Coin-op
Capite quindi l'emozione di incontrare di nuovo quello che per me è un mito. Per tutto quello che vi ho raccontato ma soprattutto per il suo contributo al mondo del gaming. Avevo sei anni quando provavo a piegare con la moto del cabinato di Super Hang-On buttando tutto il mio peso da bamboccio da una parte all'altra: che divertimento, e che fatica. Poi Space Harrier, con i comandi su cloche da mille e una notte, Afterburner di cui ho divorato soprattutto in sala giochi la versione G-Lock su cabinato R360 che ti consentiva di vivere tutta l'emozione di un (quasi) giro della morte. Poi è stato il turno del 3D rivoluzionario di Virtua Fighter, di cui però mi sono innamorato solo nel 2001 con il mastodontico quarto capitolo, F355 col cabinato che ti stampava la telemetria e infine Shenmue. Shenmue mi ha cambiato la vita e anche se oggi appare sbiadito e fuori dal tempo è stato seminale per l'industria dei videogiochi.
Blu Sky
Dopo avergli ricordato il nostro passato, ho potuto finalmente chiedergli cosa ne pensasse dei caratteristici cieli dei giochi Sega, divenuta famosa anche grazie a questo blu compatto e felice che donava atmosfere uniche. Suzuki ha risposto di non averci mai fatto caso, e che probabilmente la scelta è stata prevalentemente inconscia o forse in alcuni casi ispirata ai cieli di alcuni quadri di Claude Monet, dove effettivamente il blu utilizzato non è molto dissimile da quello, per esempio, di Outrun. E se si nomina Outrun, è impossibile non dedicargli una domanda ad hoc: da quanto tempo è che Yu Suzuki non gioca a quello che probabilmente è il suo titolo più famoso? A sorpresa, Suzuki ci racconta che dalla sua ultima partita sono passate pochissime ore, visto che nella stanza adiacente a quella dove ci trovavamo se ne stavano nascosti diversi cabinati Sega che ha voluto provare di persona e poi autografare per la gioia di proprietari.
Yu Arcade
Per tornare al presente ci siamo spostati su Air Twister, ovvero l'ultimo gioco di Suzuki uscito originariamente su iOS, dove al debutto è stato incluso nel servizio Apple Arcade (molto simile al GamePass). Suzuki ci spiega che Apple Arcade come altri servizi di videogiochi on demand sono per lui estremamente positivi, visto che permettono agli utenti di provare tantissimi prodotti diversi e, di riflesso, ai giochi di trovare più facilmente un pubblico ricettivo a quel che offrono. In coda alla risposta, dopo qualche secondo di silenzio, Suzuki ci guarda e, premettendo di non averlo detto a nessuno (ci scuserà se non ci crediamo), ci rivela di essere già da tempo al lavoro su di un nuovo progetto.
Un annuncio che ci lascia sorpresi, ma in modo amaro: l'uomo non sembra più così in forma, così veloce e sagace come ce lo ricordavamo. Gli anni sono passati, e quindici anni della sua carriera si sono volatilizzati in un silenzio in parte voluto, in parte obbligato.
Chissà a cosa ci avrebbe fatto giocare se Shenmue II fosse stato un successo e Sega non fosse mai caduta...