Non serve molto a Despelote per bucarti il petto e arrivare al cuore. Anzi, a dirla tutta, lo fa prima ancora di iniziare: nel menù c'è una piccola piazza assolata, animata dal vociare in sottofondo e da qualche piccione che tuba. Poi, il suono inconfondibile: quello del piede che colpisce il pallone. La palla entra nell'inquadratura, rimbalza lentamente, attraversa la piazza facendo volare via i piccioni infastiditi. C'è già molto di quella poesia popolare che rende Despelote un'esperienza preziosa, capace di rievocare una parte fondamentale dell'infanzia di moltissime persone: una mattina tranquilla, le risate delle persone, quel tonfo sordo della palla che rimbalza.
Despelote è un videogioco ecuadoriano a firma di Julian Cordero, figlio d'arte, dal momento che i suoi genitori Sebastian Cordero e Isabel Dávalos sono rispettivamente regista e produttrice di Ratas, ratones, rateros, il primo film dell'Ecuador ad arrivare al Festival del Cinema di Venezia e a suscitare un certo entusiasmo nei critici. Viene riconosciuto come il primo passo per il cinema ecuadoriano verso film con standard produttivi internazionali. È importante saperlo, perché Despelote è una storia di prime volte, di momenti in cui l'Ecuador si è unito sotto un'unica bandiera; che fosse il cinema o lo sport è poco importante.
Despelote ha comunque molto a che spartire con il cinema, soprattutto quello documentaristico, dal momento che ne ripropone temi, tempi e tecniche narrative. Julian Cordero è una presenza costante all'interno dell'opera, ne giostra i fili dall'alto, taglia e cuce ciò che dobbiamo vedere e sentire. Spesso prende il sopravvento sulla storia attraverso una voce narrante che ci racconta meglio il contesto in cui ci troviamo, le difficoltà che il Paese ha dovuto superare, e ovviamente i momenti di gioia, quando tutti gli attori in campo sembravano uniti all'inseguimento di un unico obiettivo: calciare in porta, fare gol per le qualificazioni dell'Ecuador ai Mondiali di calcio del 2002 in Sud Corea e Giappone. Despelote è un racconto dell'Ecuador attraverso il calcio, ma non solo quello professionistico, che vede Julian come testimone della sua nazionale che per la prima volta si qualifica; ha a che fare con il pallone come presenza nella sua e nella nostra vita.
Golazo!
Il finire dell'estate del 2001 è molto importante per gli ecuadoriani. Non solo per i tifosi di calcio, sarebbe riduttivo. Julian inizia raccontandoci delle Olimpiadi del 1996, quando Jefferson Leonardo Perez Quezada, maratoneta dell'Ecuador, vinse le prime due medaglie d'oro in assoluto per il Paese. Ce lo presenta come un evento epocale: dal giorno dopo, a Quito, la città dove Julian è cresciuto, tutti marciavano come Jefferson e la marcia era diventata sport nazionale. Lui non era ancora nato: classe 1997, la sua prima vera testimonianza sportiva dell'Ecuador è quella lunga qualificazione ai Mondiali di Calcio nel 2001.
Tutto inizia con una meravigliosa carrellata sulla televisione del salotto di casa Cordero: c'è Perù - Ecuador. È la partita che inaugura la qualificazione al mondiale. Considerando però che il motto della squadra è: "giochiamo come non abbiamo mai fatto, perdiamo come sempre", non c'è molta speranza che le cose vadano diversamente. L'Ecuador non si è mai qualificato al mondiale, non c'è mai andato nemmeno vicino. Nonostante questo, gli ecuadoriani amano il calcio, basta fare un giro fuori da casa di Julian per trovare frotte di bambini che si passano la palla, o che al bisogno trasformano in pallone qualsiasi cosa, anche le bottiglie di vetro. Julian stesso è un appassionato, e passa le sue giornate giocando a Tino Tini's Soccer '99 sulla console, indispettendo la sorellina che vorrebbe solo vedere i suoi cartoni animati.
Quella volta, però, è differente: l'Ecuador segna due volte e vince contro il Perù. A quel punto le quattro partite successive si rivelano fondamentali; c'è la concreta possibilità che la squadra possa volare dall'altra parte del pianeta, nell'Olimpo dei grandi, e che il mondo sappia che l'Ecuador può realisticamente vedersela con il Brasile - che vincerà il mondiale del 2002 -, con cui hanno vinto a marzo di quell'anno, o con l'Argentina, che invece li batte due a zero il 15 agosto, mettendo in ombra il sogno di arrivare in Corea del Sud. Insomma, che tra le grandi squadre dell'America Latina, esista anche l'Ecuador.
Sarebbe però ingeneroso ridurre Despelote a una storia sul calcio. A un certo punto Julian dice che dopo la qualificazione: "tutti a Quito dovevano svegliarsi presto a causa del fuso orario per supportare la squadra". Utilizza il verbo dovere, ed è proprio lì il cuore della questione. Perché Despelote è il racconto di un Paese, delle persone che lo abitano, dei suoi primati. Le olimpiadi, il cinema, il calcio, sono solo occasioni per raccontare il sentimento di appartenenza a qualcosa di grande, di identitario.
Lo fa anche descrivendo a meraviglia il posto in cui Julian è nato, Quito, con i suoi vicoli labirintici, i parchi, le figure ricorrenti e leggermente comiche, come il maestro con la faccia arrabbiata sempre pronto a confiscare il pallone dei ragazzini che lo disturbano, o il tipo perennemente al telefono che porta a spasso i cani. O i coniugi Cordero, che parlano spesso di film, delle ultime uscite, della produzione cinematografica del Paese.
Si tratta spesso, in effetti, di un videogioco di bambini che ascoltano i discorsi degli adulti. Distrattamente, magari, in secondo piano, mentre sono nascosti sotto a un tavolo a un ricevimento di matrimonio, sussurrandosi strambe filastrocche e ridendo come pazzi. O magari di notte, seduti sul sedile posteriore dell'auto, con la sorellina che dorme e i grandi che parlano di cosa non va nella loro vita, nella relazione o nelle rispettive famiglie. Julian, che in testa ha solo il calcio, disegna distrattamente sul finestrino. Solo una piccola parte del suo cervello è dedicata ai problemi degli adulti. Quella di Despelote è una storia sulla gioia di scorgere i tuoi amici, da lontano, che hanno una palla sotto il braccio e ti chiamano a giocare con loro. E a quel punto non ti importa nemmeno di essere vestito elegante, o che la mamma ti abbia assolutamente proibito di sporcarti. Vuoi solo dare un calcio a quel pallone.
Un videogioco neorealista
Despelote è realizzato con una tecnica molto affascinante, che sovrappone immagini realizzate a partire da foto reali di Quito a disegni che sembrano tracciati da un bambino e che, solitamente, rappresentano gli elementi e le persone con cui si può interagire. È una trovata interessante, che mette in scena il ricordo come una memoria sfumata che diventa nitida solo quando riguarda i protagonisti (i signori Cordero, quei quattro amici storici e ovviamente il pallone), ma che si limita alla suggestione per quanto riguarda le architetture di Quito. Il merito dell'atmosfera autentica che si respira - allo stesso tempo nostalgica e allegra - è soprattutto di un lavoro eccezionale sui suoni ambientali e sul doppiaggio in spagnolo. L'utilizzo di un'estetica così grezza, il lavoro sui dialoghi, la voglia di mettere in scena un'atmosfera popolare, ricorda perfino il neorealismo cinematografico. Sembra di essere seduti lì, a colazione a casa dei Cordero, con i nonni che bisticciano, e la sorellina che parla dei compiti con la mamma.
Protagonisti sono anche gli intermezzi delle vere partite di calcio che accompagnano l'Ecuador verso la qualificazione ai mondiali. Gli schermi che danno le partite sono onnipresenti: li vedi in casa Cordero, oppure nella videoteca della mamma, al ricevimento di nozze, al di là delle vetrine dove gli ecuadoriani vestiti da ultras seguono il destino della loro squadra. Queste sovrapposizioni tra le trasmissioni reali e il mondo virtuale idealizzato da Julian, sono protagoniste di almeno un paio di momenti che è impossibile non seguire con la pelle d'oca, mentre questo bambino assiste meravigliato a un pezzo di storia del suo Paese e, fuori di casa, i clacson delle automobili impazziscono di gioia.
Despelote è un videogioco peculiare, che fa poche cose, pochissime per la verità: per la maggior parte del tempo si prende a calci un pallone mentre si ascoltano distrattamente i discorsi degli adulti. Ti dà però la libertà di ficcare il naso in giro, a patto di rispettare gli orari della mamma. Si può trascorrere il pomeriggio giocando con gli amici, o magari andare a zonzo a Quito, per origliare qualche discorso da grandi, o rubare il pallone a quel gruppo di adolescenti al parco. Tutto torna poi sui binari; Julian prende spesso il sopravvento per raccontarci il passato e il presente di Quito, o per regalarci parentesi di lirismo assoluto.
È una storia piena d'amore e di poesia, che mette in campo il punto di vista di un oggetto inanimato, quel pallone che è vero protagonista della vicenda, a cui si torna costantemente lungo tutta la storia. È anche un racconto che ci insegna quanto poco importante sia vincere: la storia ci dice che l'Ecuador sarà eliminato praticamente subito al primo girone del mondiale (dall'Italia, tra l'altro, che gli rifilerà due reti pesantissime!). Ma non è quello l'importante. Non lo è mai stato.
Conclusioni
Despelote è un documentario interattivo su un Paese, su uno sport, su una vita. È la storia dell'Ecuador alle prese con la sua prima qualificazione a un mondiale di calcio. Julian Cordero racconta Quito, la città in cui è nato, e l'estate del 2001, quando tutti erano parte di un evento collettivo che ha portato la nazionale ecuadoriana tra i campioni, e ha trasformato lo sport non più in una presenza sussurrata nella vita dei bambini, ma nel protagonista assoluto delle giornate dei grandi. È un'opera sincera, delicata, con cui è difficile non emozionarsi. Anche e soprattutto se non si ama il calcio.
PRO
- Delicata, sincera, una storia che colpisce
- Utilizza molte tecniche tipiche dei documentari cinematografici
- Il doppiaggio in spagnolo contribuisce a creare un'atmosfera autentica
CONTRO
- Appartiene a un genere particolare: si fa poco, quel poco è tirare calci a un pallone
- A volte è difficile seguire tutte le discussioni che avvengono attorno a Julian