Di tutte le difficoltà che hanno circondato lo sviluppo di Dying Light 2: Stay Human abbiamo parlato a lungo nel nostro precedente articolo sul gioco: un corposo hands-on legato a un press tour a Varsavia che ci aveva permesso di mettere finalmente le mani su questo travagliato sequel. Già in quell'occasione avevamo espresso qualche perplessità sulla pulizia del gioco e sul bilanciamento generale dell'esperienza parkour e del combattimento. Ma, allo stesso tempo, ci eravamo prodigati in numerosi complimenti sulla qualità dell'open world e, in qualche modo, sulla sua originalità che, pur partendo da una manciata di cliché post-apocalittici, riusciva ad avere una sua precisa identità.
Ora che mancano meno di 48 ore all'uscita sul mercato del gioco, siamo finalmente pronti a entrare nel dettaglio di un giudizio complessivo su questo denso e complesso lavoro svolto dai ragazzi di Techland dopo una sessione di review che ci ha tenuto incollati al prodotto per più di 40 ore scoprendo luci e ombre di un progetto che, è evidente fin dai primi minuti di gioco, deve aver subito numerosi e drastici cambi di programma con tagli e ripensamenti che devono aver attraversato trasversalmente ogni reparto di sviluppo.
Quello che vi ritroverete tra le mani, se deciderete di procedere con l'acquisto, è una sorta di giro sulle montagne russe: c'è sempre una lunga, lunghissima salita da fare, prima di poter urlare del godimento provato scendendo a folle velocità, effettuando giri della morte e avvitamenti. E questa metafora cercheremo di spiegarvela meglio nel corso di questa recensione di Dying Light 2: Stay Human.
Una storia piacevole ma piena di buchi
Dying Light 2: Stay Human si svolge cronologicamente 20 anni dopo gli eventi del primo capitolo. Cambia il protagonista, cambia la città e in qualche modo cambia anche lo stato fisico e mentale dei sopravvissuti e degli infetti, con evidenti ripercussioni su tutta l'ambientazione e sul tono delle vicende raccontate. Tutto ciò comporta un'ovvia conseguenza: questo sequel può essere giocato e affrontato anche da chi è completamente all'oscuro degli antefatti e di quanto avvenuto nel titolo d'esordio della serie, ma ovviamente chi è a conoscenza del background potrà godere di qualche piccolo riferimento storico e apprezzare l'evoluzione del mondo creato da Techland.
Una breve introduzione all'inizio del gioco permette di prendere subito confidenza con il mondo post-apocalittico, con la natura militare del virus che tramuta gli umani in zombie e con la nuova struttura sociale dei sopravvissuti, mentre a farci prendere dimestichezza con il gameplay e con Aiden Caldwell, il Pellegrino che ci ritroveremo a controllare, ci penserà un buon tutorial e tutta una serie di suggerimenti che ci accompagneranno per gran parte del gioco, man mano che prenderemo possesso di armi, gadget, movenze di parkour e affronteremo tutte le più svariate attività.
Buona parte delle vicende narrate si svolge all'interno dei confini fortificati di Villedor, per gli amici la Città, una delle ultimissime roccaforti gestite dai pochi sopravvissuti dove una parvenza di vita normale si riesce ancora a svolgere. L'insediamento urbano rappresenta l'ossatura dell'open world di Dying Light 2: Stay Human anche se lo sviluppatore ha adottato un artificio tecnico per non dover gestire l'intero mondo di gioco per tutto il tempo avendo spezzato in due parti la struttura della cittadina. Una prima porzione di Villedor è infatti composta da 4 quartieri e ci farà compagnia per una lunghissima fase iniziale di gioco, mentre la cosiddetta Linea Centrale che raggiungeremo più avanti, è suddivisa in 8 distretti. Entrambe le zone possono essere navigate liberamente, ma per passare dall'una all'altra avremo bisogno di un viaggio rapido attraverso la metropolitana.
La storia raccontata nel gioco è lunga, a tratti anche avvincente e con qualche piacevole colpo di scena, ma è anche il primo riferimento di tutto quello che non è andato bene durante lo sviluppo di Dying Light 2. Ora, non è chiaramente il nostro obiettivo fare dietrologia e riprendere in mano i vecchi proclami del team di sviluppo ai tempi della partnership con Chris Avellone, ma bastano le prime ore di gioco per iniziare a provare una sensazione che tenderà poi ad acuirsi man mano che andremo avanti nell'arco narrativo fino a colpirci con violenza al momento dell'epilogo: c'è sempre qualcosa che non torna.
Le reazioni di alcuni personaggi, una serie di cambi di scenario e di punti di vista, moltissimi dialoghi, l'ordine cronologico degli eventi, fino proprio alle motivazioni alla base di una lunga serie di scelte e azioni dei co-protagonisti spesso risultano poco chiari, per non dire addirittura ingiustificati o incoerenti con lo svolgimento delle vicende. Sembra costantemente che manchino delle parti, che qualcosa sia stato tagliato brutalmente o non venga mai spiegato con cognizione di causa da chi partecipa alla scena. Persino le motivazioni che guidano il nostro antagonista, che ovviamente tralasceremo per questioni di spoiler, appaiono superficiali e poco credibili in più di un contesto.
Questa sensazione di "incompiuto" si ripercuote anche nel concetto di cause e conseguenze, così a lungo evidenziato nelle comunicazioni del team di sviluppo, in funzione delle scelte effettuate dal giocatore durante la sua esperienza con Dying Light 2. Chiaramente ci sono degli effetti legati al nostro comportamento, ma spesso si esauriscono nell'immediato, portandoci magari a svolgere piccole porzioni di una missione al posto di un'altra, oppure a causare l'allontanamento di un determinato personaggio. Non sembra esserci mai una reale modifica allo svolgimento della trama che appare quindi "inchiodata" su un binario unico scritto e sceneggiato dallo sviluppatore.
3 fazioni in lotta per un pugno di macerie
Villedor è un territorio in guerra continua: non solo contro gli infetti che vagabondano per le strade e abitano gran parte delle strutture urbane, ma anche e soprattutto tra le tre fazioni che si combattono senza esclusione di colpi alla ricerca di un fragilissimo equilibrio sempre in procinto di saltare per aria.
In Dying Light 2 infatti, gran parte delle vicende che ci vedranno protagonisti ci porteranno a interloquire e finanche schierarci con i Sopravvissuti o i Pacificatori: i primi puntano alla lenta ricostruzione di una struttura sociale senza troppe regole ma che permetta a ogni abitante di svolgere semplici lavori così da assicurare la sussistenza della specie umana; i secondi sono invece fortemente militarizzati e spingono sulla gestione marziale delle attività e degli insediamenti urbani. Queste due alleanze si sopportano a malapena cercando un timido tentativo di co-esistenza. Ci sono poi i Rinnegati: malviventi parzialmente strutturati che vogliono l'anarchia totale e che, per motivi che inizialmente ignoriamo, hanno iniziato ad attaccare indiscriminatamente le strutture delle altre due fazioni dopo un lungo periodo di relativa pace.
Mentre i Rinnegati rappresentano in qualche modo una sorta di nemico comune che dovremo limitarci a combattere in ogni occasione, Sopravvissuti e Pacificatori con i loro leader e le figure di spicco, saranno i raggruppamenti che ci offriranno le missioni da svolgere e con cui ci rapporteremo per l'intero gioco. Ma anche in questo caso si percepisce la vacuità del sistema di cause e conseguenze di cui parlavamo poco sopra. Pur tentando in tutti i modi di schierarsi contro i Pacificatori, tutta una serie di step della trama principale dovremo comunque farli in loro compagnia, beccandoci anche elogi e apprezzamenti come se nulla fosse successo, e lo stesso vale per buona parte dei personaggi con cui interagiremo. Se eliminiamo pochissimi casi sporadici, favorire concretamente una fazione o un co-protagonista non determinerà mai un cambio sostanziale della storia portando ad esempio all'impossibilità di avere interazioni con l'alleanza vessata.
Ma quindi in concreto, vi starete chiedendo, cosa vuol dire schierarsi con una fazione in Dying Light 2? Semplicemente significa assegnarle la struttura nevralgica presente in ogni distretto: una torre idrica o una centrale di produzione di energia. Una volta che le avremo conquistate completando alcuni enigmi ambientali, saremo infatti chiamati a "concederla" ai Sopravvissuti oppure ai Pacificatori e questo determinerà un bonus permanente applicato a tutti gli altri distretti assegnati alla stessa fazione. Nel caso dei Sopravvissuti guadagneremo funi, airbag e altri ammennicoli che renderanno più semplice ed efficace il parkour. Favorendo i Pacificatori invece troveremo installate trappole, armi e fortificazioni che ci permetteranno di avere la meglio contro gli infetti durante il nostro girovagare per le strade di Villedor.
Ci saranno anche numerosi mulini a vento che dovremo scalare e attivare con chiarissime reminiscenze dei primi Assassin's Creed e questi serviranno a sbloccare una serie di rifugi sicuri gestiti dalla fazione che controlla quel distretto, e per mettere in evidenza i vari punti d'interesse che identificano le numerose attività secondarie che è possibile svolgere.
Il gameplay
E arriviamo così finalmente a parlare del gameplay di Dying Light 2. Il gioco, lo ricordiamo se ancora non fosse chiaro, è un action con visuale in prima persona con una spiccata componente ruolistica e un'anima più leggera da adventure. Inoltre può essere giocato interamente anche in coop fino ad un massimo di 4 giocatori. Il tutto innestato su una struttura open world che spinge fortissimo sull'esplorazione e l'attraversamento della città sfruttando al massimo appigli e sporgenze per esibirsi nel parkour. Oltre alla trama principale ci sono un mare di missioni secondarie e attività opzionali da svolgere oltre a tonnellate di loot da scovare e recuperare. Immaginatelo come un connubio tra un Assassin's Creed e un Mirror's Edge ma con gli zombie di mezzo a darci noia. Noi abbiamo impiegato 42 ore a finirlo, ma non fatichiamo a immaginare che sia davvero possibile investire più di 100 ore nel titolo per vedere tutti i suoi contenuti.
Proprio gli infetti rappresentano uno dei due nemici che dovremo fronteggiare per l'intero gioco, con l'altro avversario rappresentato dai Rinnegati e da qualche sporadico gruppetto di malviventi che talvolta si addensa sui tetti e per le strade. La presenza di questi sfidanti è regolata dal ciclo giorno/notte su cui si basa la vita quotidiana di Villedor: di giorno la popolazione sopravvissuta tenderà a svolgere le sue principali attività e, talvolta, ad avventurarsi tra le viuzze della Città, approfittando del fatto che gran parte degli zombie siano nascosti all'interno delle strutture con quei pochi che girano raminghi per strada fortemente indeboliti dalla luce del sole. Di notte la situazione si capovolge con gli umani arroccati nei propri rifugi sicuri e gli infetti che sciamano per le strade, arrivando talvolta anche sui tetti, pronti a inseguire e attaccare chiunque capiti a tiro, forti dei loro numeri e della violenza inaudita che anima le loro movenze.
Questa dinamica ha radici profonde in tutta una serie di aspetti del gameplay: consci del fatto che buona parte degli interni saranno svuotati di zombie durante la notte, molte missioni di ricerca e recupero, così come buona parte delle attività secondarie che contemplano la raccolta di risorse, andranno svolte di notte. In questo modo Dying Light 2 riesce a stimolare naturalmente il giocatore ad abbandonare la sicurezza della luce del giorno in favore delle tenebre, per poter mettere le mani sull'equipaggiamento migliore e guadagnare tutta una serie di bonus extra che attiveremo svolgendo le nostre scorribande di notte e che avranno ripercussioni dirette sullo sblocco dei talenti.
Allo stesso tempo però, andare in giro di notte attiva un ulteriore pericolo dovuto all'infezione di Aiden: se infatti non saremo irradiati dal sole o da una luce ultravioletta, la nostra immunità comincerà a diminuire e sarà sempre ben indicata da un timer in sovrimpressione. Terminato questo conto alla rovescia, inizieremo a perdere salute fino a morire. In questo modo Dying Light 2 riesce a gestire adeguatamente le nostre scorribande notturne impedendoci di essere troppo riflessivi e obbligandoci a guardarci continuamente in giro alla ricerca di una fonte salvifica di luce o di gadget e oggetti in grado di ripristinare parte della nostra immunità.
Proprio parlando della progressione del nostro avatar, avremo a che fare con due diversi ambiti di potenziamento. Da un lato c'è una gestione abbastanza classica dell'equipaggiamento che contempla il solito campionario di armi, vestiario, consumabili e oggetti da lancio con tanto di livello e rarità. E non manca anche un crafting tradizionale con i progetti da acquistare e i conseguenti prodotti che possono essere creati, a patto di avere i reagenti necessari. Ci sono poi 2 peculiarità che personalmente abbiamo apprezzato ma che probabilmente faranno discutere: il nostro livello generale determinerà quello degli oggetti che potremo trovare e comprare. Per intenderci non sarà mai possibile mettere le mani su uno strumento di offesa che non potremo utilizzare perché al di sopra dei nostri valori. Nel momento in cui si livella (e questa cosa avviene molto lentamente svolgendo le missioni) automaticamente cambieranno tutti gli oggetti presenti nei vendor e nelle casse sparse per la città. In seconda battuta le armi si consumano e non possono essere riparate in alcun modo. Esistono dei bonus che potremo applicare per aumentare la loro longevità, ma sono tutte destinate a rompersi con l'uso prima o poi.
Il secondo elemento di progressione è relativo invece ai talenti. Rispetto al primo Dying Light, Techland si è persa per strada un ramo di abilità visto che ora ne avremo soltanto due a disposizione: uno focalizzato sul combattimento e l'altro sul parkour con una buona selezione di perk che potremo sbloccare investendo i punti talento ottenuti man mano che, concretamente, combattiamo o ce ne andiamo in giro per la città. Più siamo efficienti in questi due ambiti del gioco, più velocemente guadagneremo esperienza in quel ramo, quindi otterremo un punto talento relativo all'attività, che potremo poi investire in quell'albero. I perk sono molteplici anche se si nota un forte sbilanciamento tra alcuni veramente imprescindibili e altri che sembrano essere lì più per fare numero che per reali ripercussioni sul nostro modo di giocare.
C'è però una variabile molto interessante che terrà in qualche modo, a bada, la nostra progressione: gli inibitori. Si tratta di collezionabili molto speciali disseminati in casse e casseforti ben nascosti nelle zone più rischiose o impervie di Villedor. Questi serviranno a potenziare sia la nostra energia vitale che il vigore: la stamina che consumeremo svolgendo qualsiasi mossa di parkour e utilizzando le armi. Alcuni talenti potranno infatti essere acquistati solo possedendo un certo valore minimo di salute e vigore e, in questo modo, il gioco terrà a bada anche la nostra capacità di andare verso le zone di livello più alto senza prima essere abbastanza potenti visto che, ad esempio, non potremo esibirci in lunghe scalate fintanto che non avremo recuperato abbastanza inibitori e quindi migliorato il nostro vigore.
Il combattimento
Se quindi a livello strutturale, della progressione e per quello che concerne la densità dell'open world possiamo ritenerci adeguatamente soddisfatti pur con tutta una serie di sbavature di cui dobbiamo tenere conto, è nel combattimento che si annida una parte dei problemi più vistosi del gioco insieme a quelli relativi alla trama. Il gioco, esattamente come il suo predecessore, prevede quasi solo un'azione melee con una lunga serie di armi contundenti e taglienti. Non mancano anche archi e balestre e numerosi oggetti da lancio, però il cuore è dato dalla costante alternanza tra attacchi ravvicinati e spostamenti o fughe rapide sfruttando il parkour.
Il problema principale è negli avversari che, oltre a non rappresentare mai una sfida davvero complessa, danno vita a un tipo di combattimento molto semplificato, quasi arcade, complice anche la leggerezza della fisica che interviene a esagerare la potenza dei nostri colpi e i conseguenti slanci degli avversari. Le mosse sono molte, è vero, ma tranne un paio di nemici speciali che fanno parte dei ranghi degli infetti, potrete cavarvela molto facilmente semplicemente attaccando e schivando con le mosse basilari e anche quando circondati, non farete fatica ad avere la meglio sfruttando le gravi deficienze nelle reazioni degli avversari.
Deficienze che sono ben visibili anche nello stealth, implementato all'acqua di rose da Techland e che non diventa praticamente mai un'opzione davvero perseguibile se non in quei contesti di trama dove il gioco ce lo rende praticamente obbligatorio. I nemici si scordano molto facilmente di noi, non tengono conto dei corpi dei compagni a terra e spesso rimangono anche imbambolati se li bersagliamo da lontano a suon di frecce. Morale della favola: lanciarsi a tutta velocità dentro un accampamento avversario senza preoccuparsi di tattiche o strategie o accessi secondari, dà sempre ottimi risultati e questo comporta un abbassamento della qualità della sfida offerta da Dying Light 2.
Puntare subito al livello di difficoltà più elevato dei tre disponibili può aiutare, ma di fondo la natura stessa della progressione che stimola il grinding attraverso il loot e lo svolgimento delle attività secondarie, tende a far diventare il nostro avatar rapidamente e facilmente più forte del livello richiesto dalle missioni aumentando ulteriormente quella sensazione di potenza eccessiva che ci ha accompagnato per tutto il gioco.
Requisiti di Sistema PC
Configurazione di Prova
- Processore: AMD Ryzen 7 5800X
- Scheda video: NVIDIA GeForce RTX 3080
- RAM: 32 GB DDR4
- Sistema operativo: Windows 11 64 bit
Requisiti minimi
- Processore: Intel Core i3-9100 o AMD Ryzen 3 2300X
- Scheda video: NVIDIA GeForce GTX 1050 Ti o AMD Radeon RX 560 4 GB
- RAM: 8 GB
- Sistema operativo: Windows 7
- Spazio su disco: 60 GB
Requisiti consigliati
- Processore: Intel i5-8600K o AMD Ryzen 7 3700X
- Scheda video: NVIDIA GeForce RTX 3080
- RAM: 16 GB
- Sistema operativo: Windows 10 64 bit
Un comparto tecnico approssimativo
E arriviamo probabilmente al più grande tallone d'Achille di Dying Light 2: il suo comparto tecnico. Anche in questo caso avevamo espresso più di qualche perplessità in occasione del nostro precedente incontro con il gioco, ma averlo avuto tra le mani per decine di ore ci ha dato l'ennesima dimostrazione che questo progetto ha avuto un percorso di sviluppo incredibilmente travagliato.
Nonostante la potenza del PC con cui abbiamo testato il gioco, abbiamo faticato non poco a farlo girare anche solo a 30 FPS complice il supporto al DLSS di NVIDIA e alla Super Resolution di AMD che è arrivato solo in concomitanza con l'uscita del gioco. Pur avendo a disposizione il nuovissimo monitor MSI Optix MPG321UR-QD, uno dei primi display ad arrivare sul mercato con risoluzione 4K e refresh a 144 Hz (di cui potrete leggere a brevissimo la recensione), non siamo riusciti a far girare il titolo oltre la risoluzione 1440p con le impostazioni grafiche non al massimo e con soltanto il Ray Tracing basilare. Anche in questa situazione abbiamo incontrato enormi rallentamenti nei contesti più affollati e più in generale un'abbondanza di crash di sistema che ci hanno lasciati interdetti in più di un'occasione. Tra l'altro il titolo non prevede il salvataggio libero ma si basa esclusivamente su checkpoint automatici che insistono su un singolo slot di profilo.
Pur lasciando da parte i gravi problemi di ottimizzazione (e tra l'altro ci sentiamo di mantenere una riserva anche per le versioni console old-gen che non abbiamo potuto testare), Dying Light 2: Stay Human si presenta sporco e approssimativo con moltissime animazioni mancanti, movimenti talvolta assurdi d'infetti e umani che provano a sfruttare salti e verticalità a proprio piacimento con risultati che non rispettano in alcun modo le leggi della fisica, e soprattutto una gestione molto approssimativa delle collisioni che spesso sfocia in frustrazione e in una sensazione di assenza di controllo. Talvolta nei combattimenti ci sembrerà di non capire adeguatamente perché una parata o una schivata non siano entrati, oppure staremo lì a chiederci come diavolo abbia fatto un determinato nemico a raggiungerci e colpirci così velocemente. Ma è soprattutto nel parkour che si percepiscono le maggiori conseguenze di questa approssimazione.
Correre attraverso la città è l'elemento cardine del divertimento di Dying Light 2, ma in troppe occasioni ci si incastra da qualche parte, si sbatte, si inciampa, Aiden non si aggrappa alla superficie corretta o, al contrario, rimane appeso quando noi cerchiamo in tutti i modi di farlo scendere. Magari durante una fuga o un inseguimento. E questo non va bene perché troppe volte genera frustrazione: non fa mai sentire il giocatore davvero padrone dei propri movimenti, del flusso del parkour.
Ed è chiaramente un peccato visto che in termini di level design e di vastità dell'ambiente, il lavoro svolto da Techland è encomiabile. Abbiamo apprezzato davvero moltissimo la struttura e soprattutto la verticalità di Villedor con i suoi grattacieli da scalare, la geometria perfettamente strutturata che rende piacevoli sia gli spostamenti a piedi che quelli a bordo del parapendio o magari sfruttando i migliori appigli con il rampino. Anche i personaggi che incontreremo sulla nostra strada, pur non brillando per conta poligonale o qualità delle espressioni, risultano comunque credibili e ben animati fatta eccezione per i modelli standard molto spesso duplicati a pochissima distanza l'uno dall'altro.
Molto buoni gli effetti sonori e piacevole l'accompagnamento musicale che talvolta prende corpo e sostanza durante gli incontri più violenti. Segnaliamo infine che Dying Light 2: Stay Human non presenta un doppiaggio in italiano: soltanto i testi sono nella nostra lingua. E anche in questo caso purtroppo la promozione non può essere con pieni voti essendo presenti numerosi errori di traduzione, anche grossolani, e svariati strafalcioni ortografici.
Conclusioni
Dying Light 2: Stay Human è l'emblema vivente del vorrei ma non posso, di quel puntare troppo in alto che talvolta può far cadere rovinosamente. Sia chiaro, si tratta di un gioco che sa essere molto divertente e appagante, con una buona progressione e una straripante quantità di contenuti che entusiasmeranno tutti i fan del primo capitolo. È però evidente in troppi contesti che qualcosa nel corso dello sviluppo non è andato per il verso giusto e questo ha obbligato il team a effettuare tagli nella storia, approssimazioni nel motore fisico e nella gestione dell'intelligenza artificiale, così come lo ha costretto a dedicare meno tempo del previsto alla fase di pulizia e ottimizzazione del codice. Se siete alla ricerca di un action denso, originale e che sappia farsi notare nel mare di open world di questi ultimi anni grazie ad alcune peculiarità, potete lanciarvi su questo gioco, ma tenete conto delle nostre critiche visto che dovrete necessariamente passare sopra a tutta una serie di problematiche.
PRO
- Villedor è vasta e presenta una geometria interessante e con una grande verticalità
- Tra missioni secondarie, attività opzionali, collezionabili, loot e trama principale, il gioco vi terrà impegnati molto a lungo
- Nonostante si basi su alcuni cliché post-apocalittici, sa offrire un punto di vista originale e interessante
CONTRO
- Ci sono problemi di bilanciamento della difficoltà e della progressione
- Troppo spesso non ci ha fatto sentire gli artefici di ciò che avveniva su schermo
- C'era bisogno di ulteriore pulizia e ottimizzazione