Kevin Jakubowski è uno scrittore statunitense che ha avuto questa originalissima idea di scrivere un romanzo tutto incentrato sulla nostalgia, gli anni '80 e un gruppo di ragazzini alle prese coi compagni di scuola, i problemi famigliari e le mode del momento. Nulla che non abbiamo già visto un milione di volte negli ultimi anni, soprattutto dopo che è esploso questo trend con Super 8 e Stranger Things, ma Jakubowski ha avuto effettivamente un colpo di genio ambientando la sua storia nel periodo natalizio e mettendoci in mezzo i videogiochi. Warner Bros. Pictures e New Line Cinema hanno trovato l'idea interessante e ci hanno fatto un film che coinvolge nientepopodimeno che Neil Patrick Harris, l'ottimo attore che molti conosceranno soprattutto per aver interpretato Barney Stinson in How I Met Your Mother.
Ecco com'è andata a finire nella nostra recensione di Natale a 8 bit.
Natale a casa Doyle
In realtà, Neil Patrick Harris si vede abbastanza di rado: pur interpretando il protagonista Jake Doyle, lo vediamo solo all'inizio e alla fine del film e in qualche intermezzo, poiché è proprio lui a raccontare la storia a sua figlia Annie. La bimba desidera tantissimo uno smart phone per Natale, così suo padre, dopo averle mostrato il suo preziosissimo NES, decide di raccontarle come ha avuto quella console che desiderava tanto nel momento in cui la volevano tutti, ma poche famiglie potevano permettersela. Il film si trasforma quindi in un lunghissimo flashback che racconta le disavventure di Jake, incompreso dai suoi genitori e costretto a mendicare qualche partita al NES di un suo arrogante ma ricchissimo compagno di scuola.
Tra uno stratagemma e l'altro, Jake e i suoi amici cercheranno a tutti i costi di farsi regalare un Nintendo per Natale, o di procurarsene uno per conto loro: i loro strampalati e disperati tentativi sono esilaranti, ma naturalmente il natalizio film del regista Michael Dowse punta a una morale piuttosto significativa e cioè che non bisogna farsi accecare dalle ossessioni, altrimenti si finisce per sprecare i momenti più importanti della vita senza goderli fino in fondo. È una lezione che Jake imparerà in modo sorprendente e cercherà di trasmettere a sua figlia tanti anni dopo.
Effetto nostalgia
Anche se i contesti più "americani" del film possono sfuggirci, bisogna dire che chiunque abbia vissuto gli anni '80 all'età del piccolo Jake Doyle riconoscerà le mode e i brand che hanno toccato da vicino anche l'Italia. Il film di Dowse ricostruisce benissimo quell'epoca ma non ricerca ossessivamente il dettaglio o il marchio come fanno molti film: si affida più che altro alle interazioni tra i piccoli protagonisti e a qualche dialogo, agli spicchi di realtà quotidiana e famigliare che molti di noi probabilmente hanno vissuto. Chi non ha avuto una sorella o un fratello che ci ha reso la vita impossibile, salvo essere il primo o la prima a sostenerci, anche soltanto con un abbraccio, nel momento del bisogno?
In questo senso, Natale a 8 bit è un film veritiero, ma calca un po' troppo la mano quando c'è da tratteggiare le dinamiche famigliari: i coniugi Doyle, per esempio, interpretati da Steve Zahn e June Diane Raphael, appaiono meschini e bugiardi, e se è vero che la storia è idealmente filtrata attraverso gli occhi di Jake che la racconta, rimane comunque difficile empatizzare coi suoi genitori nell'inevitabile lieto fine natalizio.
C'è poi da dire che la sceneggiatura di Jakubowski si sofferma forse anche troppo sui bulletti che tormentano Jake e i suoi amici: questi ultimi avrebbero meritato probabilmente più spazio, specie perché alcuni hanno potenzialità enormi quando entrano in scena, che però restano sprecate o ridimensionate a mere gag. L'amico fanfarone e bugiardo Jeff - alzi la mano a chi non è capitato un elemento simile a scuola o nelle compagnie - e la secchiona Tammy, per esempio, sono semplici caricature, ma è anche vero che il film non racconta la loro storia, ma quella di Jake.
Gli occhi del videogiocatore
Il paradosso è che Natale a 8 bit, pur essendo incentrato su questa spasmodica ricerca del NES manco fosse il Santo Graal, tratta i videogiochi con meno rispetto di quanto avremmo voluto. Il NES in realtà è nient'altro che un MacGuffin, un pretesto, ma ciò non giustifica gli anacronismi, le imprecisioni e le mezze verità che racconta il film. Se è vero che la distribuzione del NES sul finire degli anni '80 negli Stati Uniti e nel resto del mondo fu erratica a dir poco, appare poco realistico che nella città di Jake del 1988 nessuno fosse riuscito a procurarsene uno, eccezion fatta per il riccastro della scuola. Questo è forse l'esempio più lampante, dato che muove tutta la narrativa del film: potremmo giustificarlo asserendo che è lo stesso Jake, da adulto, a dire di non ricordare proprio benissimo ogni dettaglio di quegli anni, ma è una scusa un po' tirata per i capelli.
Il film di Dowse si sofferma poi su alcuni tormentoni che hanno effettivamente un riscontro nella realtà, per esempio il fallimentare esperimento del Power Glove targato Nintendo, protagonista di quello che è forse lo spezzone più esilarante del film... rovinato, però, dal fatto che in quel momento i protagonisti stanno giocando un titolo che su NES non è mai esistito, in una modalità co-op che il Power Glove non supportava e che soprattutto sfoggia una grafica fin troppo avveniristica per la console a 8-bit della grande N. Quale che sia stato il motivo che abbia spinto il regista a inventarsi di sana pianta un videogioco - magari voleva essere soltanto una "licenza poetica", per così dire? - resta una decisione irrispettosa, sebbene i difetti della periferica rimarcati nel film siano tutti sacrosanti.
La cosa più assurda è che i vari protagonisti della pellicola menzionano in un paio di occasioni titoli come Super Mario Bros. o The Legend of Zelda, ma nessuno di questi giochi iconici del NES fa la sua comparsa sullo schermo. Persino le versioni di Paper Boy e Rampage che Jake gioca in due momenti diversi del film non sono veramente quelle per NES, perciò non possiamo fare a meno di pensare che la Warner Bros. non sia riuscita a ottenere i diritti per mostrare i videogiochi del NES in un film tutto incentrato sull'acquisto della medesima console!
Come abbiamo detto, il NES è solo un pretesto nella storia di Natale a 8 bit, ma chi ha vissuto quegli anni, o molto semplicemente ama questo medium, difficilmente resterà impassibile di fronte a queste storture. Esse non rovinano certo il film, né interferiscono col bel messaggio che cerca di trasmettere, ma restano sullo sfondo come un fastidioso brusio, un'occasione mancata per mostrare più rispetto al videogioco mentre si sfrutta per raccontare una simpatica storia natalizia. Che cosa costava essere più precisi e realistici?
Conclusioni
Multiplayer.it
6.5
Natale a 8-bit è un gradevole film natalizio che ci riporta nel 1988 per raccontarci le disavventure di un ragazzino che tanto vorrebbe un NES e l'importanza di vivere il presente e assaporare ogni momento prima che ci sfugga tra le dita perché siamo troppo impegnati con le nostre ossessioni. Nonostante qualche sbavatura, il film di Michael Dowse è abbastanza divertente, con qualche gag riuscita e qualche altra molto meno, e gioca sulla nostalgia senza strafare, ma imbrocca tanti, troppi errori e anacronismi sulla console Nintendo che tanto è centrale alla vicenda, mostrando poco rispetto, o tanta noncuranza, per il medium al centro della storia.
PRO
- È una gradevole commedia natalizia per tutta la famiglia
- Cerca di trasmettere un messaggio molto importante e per nulla scontato
CONTRO
- C'è poco Neil Patrick Harris in questo film con Neil Patrick Harris!
- Alcuni personaggi, come i genitori del protagonista, sono insopportabili
- Le imprecisioni e gli anacronismi sono irritanti e spezzano l'illusione