Ventiquattro anni e sentirli, sentirli tutti: è esattamente dal 2000 che la serie di Dynasty Warriors ripropone la stessa formula, quell'uno-contro-mille di stampo spiccatamente arcade che ci coinvolge nelle spettacolari battaglie per l'unificazione della Cina imperiale narrate nel Romanzo dei Tre Regni, trasformando i condottieri descritti nell'antico libro in guerrieri straordinari, capaci appunto di affrontare da soli interi eserciti.
Difficile biasimare Koei Tecmo e Omega Force per non aver mai cercato di variare quel percorso, reiterato di volta in volta in maniera così precisa e caratterizzato da novità soltanto marginali rispetto al fulcro dell'esperienza: il pubblico continuava a premiare l'impostazione classica dei musou e l'unico tentativo di cambiare è stato alquanto infelice, visto che la struttura open world del nono episodio si è rivelata un disastro.
Tuttavia, abbiamo provato Dynasty Warriors: Origins in concomitanza con l'uscita della demo e sembra proprio che le cose siano destinate a cambiare. Finalmente.
Una narrazione tutta nuova
Abbiamo parlato di "rivoluzione", ma intendiamoci: quello che Dynasty Warriors: Origins cerca di fare è in realtà prendere la formula tradizionale della serie e ammodernarla attraverso tutta una serie di modifiche e aggiunte, col risultato finale di rendere l'impianto decisamente più interessante ma evitando di proporre ai fan di lunga data un prodotto del tutto alieno da quello che hanno sempre apprezzato.
Tutto parte da alcune intuizioni relative alla trama, che sviluppano concetti già sperimentati all'interno dei tanti spin-off della serie; a cominciare dal protagonista misterioso, un "vagabondo" (così si fa chiamare all'inizio della storia) che ha perso tutti i propri ricordi ma non la sua straordinaria abilità nel combattimento, né l'indole che lo spinge ad affrontare le ingiustizie per difendere i più deboli.
Nel primo capitolo di una campagna che promette di essere piuttosto corposa (abbiamo impiegato circa quattro ore per completarlo), il protagonista di Dynasty Warriors: Origins incontra il generale Zhang Jiao proprio mentre quest'ultimo sta ponendo le basi per quella che diventerà la Rivolta dei Turbanti Gialli, e inizialmente appoggia il desiderio delle persone comuni di ribellarsi contro un governo che li sta affamando.
A un certo punto, tuttavia, il movimento guidato da Jiao assume una connotazione differente e i Turbanti Gialli cominciano ad agire come spietati saccheggiatori a loro volta, il che spinge il nostro personaggio a unirsi alla squadra di Liu Bei, che sta riunendo i più abili combattenti al fine di fornire all'esercito le capacità necessarie per porre fine all'insurrezione.
Non sono dunque gli eventi de Il Romanzo dei Tre Regni a cambiare, né il modo in cui la saga prodotta da Koei Tecmo prova a reinterpretarli, bensì l'approccio alla narrazione e la direzione, che appaiono completamente rinnovati e offrono un punto di vista inedito, affascinante e ben raccontato, andando a confezionare un comparto narrativo sostanzialmente superiore alla media di Dynasty Warriors.
La cosa interessante è che gli sviluppatori sono riusciti a ottenere questo risultato introducendo poche ma importanti novità, qualche dialogo finalmente accattivante, piccoli dettagli che vanno ad arricchire la storia ma soprattutto i risvolti mistici e sovrannaturali legati alla natura del protagonista, che ben presto scoprirà di avere un nome e soprattutto un ruolo da svolgere.
Il gameplay moderno di Dynasty Warriors: Origins
Se la trama di Dynasty Warriors: Origins potrebbe rappresentare un valido motivo per cimentarsi con questo nuovo capitolo, specie agli occhi di chi ha giocato tutti gli episodi usciti finora, è il gameplay a porsi come l'elemento centrale del rinnovamento voluto dal producer Tomohiko Sho, che abbiamo intervistato qualche tempo fa e che ci ha parlato di una nuova direzione per la saga.
È buffo a dirsi, ma basta partire dall'inedito concetto di "game over" per comprendere quanti e quali cambiamenti siano stati apportati all'approccio originale, che era fatto di combattimenti sempre uguali in cui, eseguendo un numero limitato di combo, si spazzavano letteralmente i campi di battaglia da orde numerosissime di nemici senza preoccuparsi che qualcuno di loro potesse ferirci.
Il protagonista unico e inedito da questo punto di vista rappresenta senz'altro una scommessa, ma al contempo l'opportunità per gli sviluppatori di puntare a un sistema di progressione più dettagliato e decisamente meno dispersivo, con un albero delle abilità ben leggibile, armi diverse e soprattutto valorizzate nelle loro unicità, senza perdersi all'inseguimento di numeri fini a sé stessi.
Le novità sono anche strutturali, con una mappa del mondo che è possibile esplorare "passeggiando" e interagendo con eventuali personaggi, mercanti, locande, oggetti da raccogliere e punti di interesse che sbloccano nuove zone, consentendo di effettuare viaggi rapidi mentre seguiamo le indicazioni della trama principale oppure affrontiamo brevi battaglie estemporanee lungo il cammino.
Una volta sul campo di battaglia, tutti questi elementi trovano una sintesi che ribadisce il concetto di rivisitazione piuttosto che di rivoluzione: la sensazione è che qualcuno negli uffici di Koei Tecmo si sia finalmente svegliato e abbia deciso di portare Dynasty Warriors in questo decennio, ma facendo attenzione a non tradire lo spirito che da sempre anima la saga, come detto.
Ritroviamo quindi il layout dei comandi a cui siamo abituati (ma che, personalizzazioni permettendo, farebbe bene a invertire schivata e Ultimate), così come le meccaniche legate all'esecuzione delle combo, la parata e le diverse manovre speciali che si caricano affondando i colpi, da creare utilizzando determinati materiali fra una missione e l'altra.
Il nostro personaggio subisce però l'attacco dei nemici, specie gli ufficiali, e le possibilità di ripristinare la salute sono limitate, il che significa che non solo è possibile morire in Dynasty Warrior, ma che per farlo non è necessario aumentare al massimo il livello di difficoltà, finendo intrappolati fra le pieghe di un bilanciamento che finora è sempre stato molto, molto approssimativo.
Questa sorprendente novità porta con sé un ripensamento delle tattiche e l'impiego di approcci meno spregiudicati, a tutto vantaggio di uno spessore che riesce a mascherare l'inevitabile ripetitività dell'azione, che al netto di qualche piccola variazione sul tema (vedi i "sortilegi" e l'impellenza di eliminarne la fonte) riprende le dinamiche di liberazione della mappa che ben conosciamo.
Anche la grafica è tutta nuova
Arriviamo infine alla realizzazione tecnica, anch'essa completamente rinnovata. Il protagonista e alcuni comprimari legati alle sue personali origini vantano ovviamente un design inedito e originale, mentre i vari condottieri riprendono per molti versi lo stile già utilizzato nei precedenti capitoli di Dynasty Warriors, ma sono gli scenari ad aver subito le modifiche più importanti.
La serie Koei Tecmo ha sempre dovuto scendere a compromessi nel tentativo di portare sullo schermo il maggior numero possibile di personaggi, riuscendo effettivamente a mettere in scena spettacolari battaglie su larga scala con migliaia di nemici in movimento e senza per questo cedere sul fronte del frame rate. Origins, invece, compie un deciso passo nella direzione di ambientazioni interessanti e belle da vedere al posto delle solite mappe scarne e desolate.
Intendiamoci: il grado di interattività non è cambiato (anzi, forse per assurdo è diminuito) e il modo in cui ci si muove all'interno degli scenari è ancora votato alla rapidità piuttosto che al peso e alla "presenza", aspetto che si riflette anche in un feedback dei colpi discreto ma ben distante dagli standard della (sfortunata) serie rivale Sengoku Basara; eppure il miglioramento è anche qui nettissimo e indiscutibile, specie sul fronte dell'effettistica.
Certo, la grafica si muove un po' fra alti e bassi, evidenziando di nuovo il desiderio di pensare innanzitutto alle prestazioni: lo dimostra il fatto che con una RTX 4070 è possibile giocare a 4K (DLSS su qualità) con tutto al massimo e godere di 60 fps stabili anche nelle situazioni più incasinate, e trovando un supporto già molto completo sotto il profilo degli upscaler (DLSS 3 e FSR 3 con tanto di Frame Generation, nonché XeSS), che magari avremo modo di sviscerare in fase di recensione.
Dynasty Warriors: Origins sembra davvero l'episodio della svolta per la serie prodotta da Koei Tecmo, che finalmente ha avvertito l'esigenza di ripensare la formula attraverso un'impostazione più moderna e interessante, pur senza rinunciare a quegli elementi a cui milioni di giocatori sono ancora affezionati. Dal comparto narrativo alla direzione artistica, dalla struttura al gameplay, passando infine per la realizzazione tecnica, Origins eleva in maniera sostanziale gli standard a cui eravamo abituati, e che temevamo fossero destinati a non cambiare mai.
CERTEZZE
- Gameplay decisamente più solido, interessante e impegnativo
- Trama e direzione artistica di livello nettamente superiore
- Finalmente anche gli scenari sono belli da vedere
DUBBI
- Grado di varietà dell'azione ancora tutto da verificare
- Peccato non sia stato fatto quel passo in più sul feedback dei colpi
- La grafica è bella ma ci sono anche momenti poco ispirati