Il counter non mente: oramai sono più di cento ore che il mio personaggio, System Alistair di trentatreesimo livello, solca lo spazio di Starfield. Se è vero che le prime dieci ore sono state decisamente sottotono, nelle novanta successive il gioco ha continuato a crescere esponenzialmente e sotto tutti i punti di vista.
Eroe in prestito
Ammetto che il mio approccio è un po' particolare: adoro immergermi totalmente nell'ambientazione e, se il gioco fornisce gli strumenti giusti, mi piace recitare al 100% la parte. È per questa predilezione che nel 1996 mi innamorai perdutamente di Daggerfall, il secondo gioco Bethesda della serie The Elder Scrolls. Fino alla recensione della rivista The Games Machine (se non ricordo male un 7,5 per i troppi bug - perché certe cose non cambiano mai), non avevo mai sentito parlare di questa software house che, scoprii in seguito, si era fatta un nome in USA soprattutto grazie a dei rigorosi simulatori di dragster (i missili su ruote che vanno solo in rettilineo, altrimenti decollano, e frenano con i paracaduti). Ma da quel momento in poi, dannazione potete scommetterci, ne diventai un avido fan.
Daggerfall era enorme, in parte procedurale e ogni sua storia necessitava di grande dedizione. Non bastava rubare un caciocavallo per attirare l'attenzione della Dark Brotherhood, se venivi infettato da qualche tipo di licantropia potevi passare mesi di gameplay nel trovare una cura, per diventare mago dovevi dimostrare totale dedizione e certo poi non potevi permetterti di reinventarti guerriero. Mentre arrivare ai titoli di coda era una vera impresa riservata a pochissimi. In Daggerfall non c'era una singola regione, come poi è stato fatto con i giochi successivi, bensì tutta Tamriel. Un'esperienza così non è stata più realizzata, nemmeno dalla stessa Bethesda che però lo trasformò in un concentrato davvero speciale chiamato Morrowind. Alla base di questi giochi una filosofia di game design incentrata sulla volontà di riproporre, in versione videoludica, l'immensa libertà concessa dai giochi di ruolo carta e penna.
Era la visione di Bruce Nesmith, Julian Lefey e Ted Peterson intravista nel capostipite Arena e che in Daggerfall trovava la sua massima grandezza, mentre in Morrowind il suo picco in complessità. Quando Todd Howard divenne unico imperatore di Tamriel, le cose cambiarono sia in meglio che in peggio: a migliorare furono grafica, sonoro e facilità d'uso, ma il gameplay divenne sempre più guidato e sempre meno permissivo. Considerando il successo nel quale Howard ha trasformato una serie nata di nicchia, senza dimenticare il trionfo dell'operazione Fallout, c'è ben poco da recriminargli; però per molti appassionati della prima ora come me, che sanno quanto è andato perduto, da Oblivion in poi non è mai stato vero amore. Passione irresistibile sì, non lo neghiamo mica; amore irrefrenabile come un tempo mai.
E poi è arrivato Starfield, maledetto lui. Con alle spalle la perfezione di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom e il rigore di Baldur's Gate III, il caos proposto solitamente dai giochi Bethesda mi ha trovato alquanto diffidente. Non hanno aiutato le prime debolissime ore di gioco, decisamente sottotono rispetto alle altre avventure di Bethesda, che sono solite aprire con lunghi e articolati dungeon che culminano con il primo, rivelatorio, contatto con l'aria aperta. Starfield è invece terribilmente sbrigativo, e tratta malissimo il suo mistero: ritrovarmi da minatore a membro di Constellation in men che non si dica e con una nave ai comandi non è stato affatto emozionante come speravo. Farmi strada attraverso tutte le quest che la città di New Atlantis mi gettava contro è stato invece terribilmente confusionario.
Un lavoro per te
Il rapporto con il gioco è iniziato però lentamente a cambiare durante la seconda visita a New Atlantis. Ero ancora frastornato per quel che avevo giocato fino a quel momento che decisi di sedermi a un bar per godermi l'atmosfera della sera. Prendo una birra, uno snack e ne approfitto per parlare con il barista che mi dice tante cose e mi propone un lavoretto niente male. Una cosa tira l'altra e mi imbatto negli uffici della Galbank dove mi viene proposto un lavoro nel recupero crediti. Interessante, e perfettamente in linea con il background immaginario del mio personaggio. Il bello di lavorare con la Galbank è stato viaggiare: mi ha permesso di avere una direzione nello spazio, iniziare a intascare i primi veri crediti e testare le mie capacità di orientamento e combattimento, sia terrestre che spaziale. Il bello è che il tipo continua a darmi missioni ancora adesso, e per me potrebbe continuare tutta la vita.
Anche System Alistair si è fatto una sua gavetta, per esempio provando a sopravvivere con le missioni dei terminali nei bar. C'è un motivo per il quale si trovano dove la gente solitamente si ubriaca: sono lavoretti prevalentemente per disperati. Non è detto però che non nascondano buoni affari, specialmente se si vuole arrotondare e il lavoro, come si dice, è di strada. Inoltre, alcune di queste missioni mi hanno portato in posti che era opportuno visitare e non le solite ambientazioni riciclate. Da grande esploratore, però mi ha dato molta più soddisfazione il terminale nel piano interrato della Loggia di Costellation: è tutta roba incentrata sul classificare sistemi e pianeti, e diverse missioni pagano oltre i diecimila crediti. Peccato averla scoperta dopo così tante ore di gioco; in realtà non avevo proprio preso in considerazione che ci fossero terminali simili, ma con missioni diverse. System Alistair nasce come sbruffone, ma è in fondo uno a cui piace girovagare tra i sistemi e così facendo si è costruito una certa esperienza: ad oggi ne sa molto più di botanica e di scanner che di armi.
Da Firefly a The Expanse
Proprio sui pianeti di Starfield, ho ritrovato il mio amato Daggerfall. Attenzione: l'ho ritrovato sentendone l'assenza, non la presenza. Daggerfall era il trionfo della proceduralità, e quale gioco se non Starfield poteva decretare il ritorno di quell'anarchia matematica che offriva dungeon dai quali a volte non si poteva nemmeno uscire, ma dannazione che avventure. Il problema di Starfield a mio parere non è essersi affidato a contenuti procedurali, ma che non l'abbia fatto fino in fondo. Non c'è nessun problema ad esplorare cento centrali chimiche se queste saranno sempre diverse almeno nella struttura, no? Bethesda ha fatto enormi passi in avanti nelle quest procedurali e radiali, ed è un peccato che queste missioni simili ma sempre diverse, chiaramente un riempitivo ma utile a diversi sistemi di gioco, non possa sfruttare location sempre nuove.
Superato questo enorme limite di Starfield, e capito che gran parte degli avamposti sui pianeti servono più per darci una direzione che altro, il tempo passato camminando su queste superfici aliene è già stato sufficientemente ripagato, sia in crediti per Alistair che in soddisfazioni personali. La generazione del suolo dei pianeti è davvero di primissimo livello, mancano però come al solito fiumi e cascate che rappresentano la bestia nera di questa tecnologia. Però che panorami: ancora non riesco a togliermi dalla testa il primo bosco che si estendeva all'infinito sotto la collina sulla quale mi ero arrampicato. Momento da veri Luke Skywalker. Indimenticabile anche quando dall'erba alta ho visto dozzine di pinne sollevarsi, iniziando ad avvicinarsi: erano le graziose pinne posizionate sulle teste di fameliche creature che non è stato facile lasciarmi alle spalle. I diversi biomi sono da brividi e poco importa se non si può fare il giro del mondo a piedi, una pazzia che non ho mai tentato di fare in ogni gioco dove questo è al contrario possibile.
Tribakt 73
Queste cento e passa ore sono volate anche grazie alle astronavi. La prima mi ha servito diligentemente per un periodo tutto sommato breve, è infatti stata sostituita velocemente da un'altra nave che sicuramente molti di voi avranno casualmente trovato giocando. Questo bel vascello mi ha accompagnato molto più a lungo del precedente, ma a un certo punto anche lui ha iniziato a mostrare evidenti limiti. Fortunatamente avevo già passato diverso tempo a smontare e rimontare le navi per capirne la logica e la differenza tra le varie parti, quindi nel momento in cui le finanze lo hanno permesso sapevo già dove mettere le mani. Il risultato è la Tribakt 73, una nave ideata prendendo ispirazione dai grossi scafi paralleli dei catamarani, che rappresenta la summa di quanto era possibile fare utilizzando un reattore di tipo A, il meno potente. Dopo tante missioni e battaglie, anche per questa fedele nave è giunto il momento di riposare in garage, sono infatti già iniziati i preparativi per sostituirla con un nuovo e più dispendioso progetto. Visto che mi piace girare prevalentemente da solo, non è detto che non costruisca anche un caccia veloce, letale e con il minimo indispensabile in quanto a moduli.
Soldi che avrei potuto investire in una bella penthouse a New Atlantis, se solo avessi la cittadinanza per Jemison. Per il momento ho un loculo a Neon, irrinunciabile, e una base su una luna alquanto inospitale, dove però sto iniziando a stipare tutte le mie cose e dove al momento lavora un collaboratore trovato e assunto al bar di Cydonia. Ho anche un'altra base dove però vengono solo estratti altri materiali. L'obiettivo è trovare il pianeta perfetto dove convogliare tutte le risorse, in modo da creare l'avamposto definitivo che un giorno potrò chiamare casa. In realtà avrei anche un altro alloggio: è la cameretta dai miei, ma è una palla tornarci ogni volta. A parte gli obblighi di Costellation, la vita di System Alistair sarebbe stata prevalentemente composta da esplorazione, trasporto merci e qualche bastardata qui e lì per guadagnare un po' di crediti in più. Se non fosse che, un giorno qualsiasi dei 175 che il personaggio ha passato in Starfield, ho deciso di accettare una proposta di lavoro che avevo in tasca praticamente dall'inizio.
Corporativo per caso
A parte un primo contatto con la Crimson Fleet ma soltanto per accedere ai suoi terminali e avere un porto dove vendere roba che scotta, System Alistair ha firmato un unico contratto nella sua vita in mia compagnia ed è quello con la Ryujin Industries. Non amo fare missioni una dietro l'altra se non quando è la trama a spingere all'urgenza, quindi i lavori proposti dalla Ryujin e le diverse visite in ufficio le ho spalmate lungo tutta la partita ancora in corso. Inizialmente le missioni proposte erano in linea con le mie basse aspettative, ma in un crescendo da cardiopalma questi compiti si fanno sempre più complessi fino ad esplodere in una sorta di inaspettato e decisamente convincente Deus Ex. È l'unica fazione che ho iniziato davvero, l'unica che ho terminato in tutto questo tempo e no, non ne vado affatto fiero ma nemmeno me ne pento.
Nonostante sia composto anche da tantissime quest di poco conto, quelle proposte da Starfield sono tra le migliori mai realizzate dalla Bethesda più moderna. Del resto se analizziamo bene il nuovo gameplay è chiaro come la differenza più sostanziale tra i precedenti giochi della compagnia e il nuovo Starfield, è proprio nel funzionamento dell'esplorazione. Skyrim e Fallout per esempio si sviluppano nel viaggio che porta quest, mentre qui è la quest che porta al viaggio. La dimostrazione è proprio l'ultimo pianeta che ho visitato, dove tra l'altro System Alistair è in questo momento. Non ci ero mai andato prima, a portarmici è stata una missione che mi chiedeva di infilare in una cassa dei documenti segreti; quando atterro mi ritrovo davanti a una sorta di comune per ex carcerati mai vista prima, non procedurale e con un nuovo mistero tutto da dipanare. È un approccio capovolto che Starfield non spiega affatto bene e che si autoesplica solo continuando a giocare.
See you, Space Cowboys…
Tante cose ho preferito non raccontarle per farvele scoprire da soli, tante altre le avrete scoperte prima di me. Sappiate solo che il mio primo contatto con un tempio è avvenuto pochissime ore di gioco fa, quindi solo ora sta iniziando a cambiare in un certo senso tutto. Questa è a grandissime linee la storia del mio alter ego spaziale System Alistair, unico protagonista di un gioco che pensavo di odiare e che invece mi ha conquistato come mai avrei creduto. Al netto dei condivisibilissimi problemi, Starfield è la migliore Bethesda da molti anni a questa parte. Imperfetto quanto volete, ma unico nel suo genere.
Lo sappiamo che avete una gran voglia di raccontare la vostra storia, e magari di leggere quella degli altri. Dai, facciamo finta di essere tutti attorno a un falò su Vega II, chi sarà il primo di voi a farsi avanti?