Un gruppo di cittadini del Connecticut ha seguito la via tracciata dalla National Rifle Association lanciandosi contro i videogiochi violenti in seguito alla sparatoria di Newtown. Durante una manifestazione, che si terrà il 12 gennaio, alcuni abitanti di Southington si dimostreranno cittadini responsabili bruciando, come fecero quei simpaticoni dei nazisti, i videogiochi che ritengono troppo violenti.
In sostanza, secondo l'illuminato pensiero di persone che si esprimono con violenza e pretesa di ragione assoluta senza essersi informati prima, non è la cultura della violenza, della difesa assoluta dei propri diritti e della quasi totale mancanza di empatia ad aumentare la violenza e a far sentire le persone sole e disperate. Non è la troppa confidenza con le armi ad aumentare il rischio di incidenti e di stragi. Non è l'abbandono dei figli di fronte allo schermo che aumenta l'alienazione. No, è la violenza mostruosa nascosta dentro al videogioco che combina tutto questo disastro.
Eppure i videogiochi al novanta percento parlano di eroi, di soldati americani, di giustizia e via dicendo. Anche il multiplayer è sempre più contestualizzato ed è sicuramente meno violento delle guerre con i sassi che combattevano da bambini i nostri nonni. Ma forse andrebbero rivalutate anche quelle guerre quasi vere (come se non l'avessero già fatto autori importanti con La Guerra dei Bottoni e I Ragazzi della Via Pal) insegnavano che la vita fa male e che questo non si può impedire censurando, nascondendo e fingendo che non esiste. Bisogna invece affrontare la debolezza dei figli, dei parenti e di noi stessi, intervenendo quando ancora si può e senza negare. Perchè è proprio quella negazione a consentire che persone sofferenti non solo guidino o siano in posti amministrativi importanti, ma si ritrovino, in momenti di difficoltà, vicine a fucili, ordigni, ordini religiosi, sette, partiti ultranazionalistici e via dicendo.
Fonte: Polygon