Le ultime indiscrezioni trapelate dai documenti trafugati durante il recente leak che ha colpito Insomniac Games, uno dei team più grandi e importanti dei PlayStation Studios, hanno riacceso le discussioni sulla sempre più palese insostenibilità dei giochi tripla A nel mercato odierno e fatto ulteriore luce su quelle che sono le motivazioni di Sony per virare con tracotanza verso i GaaS per cercare un'alternativa alle produzioni faraoniche che sono ormai diventate parte integrante del fascino del brand PlayStation.
Ora, grazie alla sopracitata fuga di informazioni, i riflettori sono puntati su Sony, ma in realtà si tratta di un problema esteso all'intero mercato. Del resto è cosa ormai nota che i costi dei cosiddetti giochi tripla A stiano lievitando di generazione in generazione, tra tempi di sviluppo sempre più lunghi e tecnologie sempre più esose, una crescita assolutamente non proporzionale a quella del bacino di potenziale consumatori e di conseguenza dei potenziali ricavi. Non è un caso quindi se le nuove IP di grosso spessore scarseggiano e che il rischio che uno studio sia costretto a chiudere i battenti o ridimensionare il suo staff al primo passo falso sia sempre più alto.
Ciò ha messo in moto diverse strategie da parte delle grandi compagnie più e meno conservative, come puntare solo su pochi ma remunerativi brand (vedi Ubisoft con Assassin's Creed), giocare sul sicuro alternando remake a nuove produzioni (vedi Capcom con Resident Evil) o tentare nuove strade come Microsoft che sta investendo molto su IA, cloud e Game Pass.
I live service sono davvero la soluzione?
Sony dal canto suo non può rimanere indifferente a questo fenomeno, per quanto per certi versi si sia un po' scavata la fossa con le sue mani proponendo negli anni giochi in grado di settare ogni volta nuovi standard tecnologici e dagli elevati costi di sviluppo, come ad esempio Marvel's Spider-Man 2, facendoli diventare un vero e proprio marchio di fabbrica del brand PlayStation. Si tratta di una strategia che in passato ha funzionato e che funziona tutt'ora, come dimostrano i roboanti numeri di vendita di PS5, ma è chiaro che è necessario un cambio di rotta e diversificare la propria offerta per renderla sostenibile.
Tra le varie opzioni disponibili Sony ha scelto forse quella più pericolosa, ovvero quella dei GaaS, e lanciandosi a capofitto confermando lo sviluppo di almeno 12 titoli. Da un parte è facile capire il perché: giochi come Fortnite, Genshin Impact e così via dimostrano che un live service di successo può generare introiti stellari, praticamente impossibili da replicare con i tripla A tradizionali. Tuttavia, si tratta anche di un mercato spietato e per ogni titolo di successo ce ne sono decine che falliscono dopo pochi mesi dal lancio o prima ancora di arrivare ai blocchi di partenza.
Parliamo infatti di giochi che richiedono grandissimi investimenti prima e dopo la pubblicazione, una pianificazione dei contenuti certosina e che si affacciano a un mercato selvaggio, dove basta un errore per far svuotare i server e sforzi incredibili per conquistare l'interesse e la fiducia dei giocatori.
Chiaramente solo il tempo potrà dirci se quella di Sony sarà una mossa azzeccata o un completo disastro. Comprensibilmente però molti appassionati nutrono dubbi sulla nuova strada che ha scelto la compagnia giapponese, vuoi per l'attaccamento verso i giochi single player (che comunque non spariranno), vuoi perché per il momento i segnali arrivati non sono stati positivi. Ad esempio gli annunci di Concord e Fairgame$, due dei primi GaaS made in PlayStation, sono stati accolti tiepidamente, The Last of Us Online è stato cancellato e Sony è stata costretta a rinviare la metà dei live service in produzione per motivi qualitativi.