Black Myth: Wukong è un fenomeno a dir poco unico. Trattandosi del primo prodotto di un team cinese praticamente sconosciuto dalle nostre parti, le sue possibilità di farsi notare erano teoricamente ridotte, eppure è entrato all'istante a far parte della lista dei giochi più desiderati del 2024, superando proprietà intellettuali ben più consolidate. In realtà, nonostante l'unicità della situazione, spiegare quanto accaduto non è poi così difficile: i primi video di presentazione erano semplicemente impressionanti e mostravano un'esperienza così esagerata e stratosferica dal punto di vista tecnico da essere difficilmente concepibile al momento del reveal.
Una prima impressione simile, come ovvio, si è portata appresso anche un bel po' di dubbi. Possibile, per un team cinese spuntato dal nulla, raggiungere realmente un livello del genere? E se anche la grafica fosse stata quella presentata, il resto avrebbe realmente raggiunto o superato i migliori titoli in circolazione? Tutte domande più che lecite, specialmente per chi ha tenuto d'occhio proprio l'ecosistema dello sviluppo cinese negli ultimi anni. La Cina, infatti, ormai da tempo ha preso piede anche nel mercato occidentale, sia con sviluppatori come Hoyoverse e i suoi popolarissimi gacha, sia con giganti come Tencent che hanno investito miliardi nell'ambiente. Se si parla di videogiochi in sé, però, quello cinese resta un mercato ancora molto chiuso, in cui non c'è stata una completa "pollinazione culturale" e che per questo motivo conta molti team ancora piuttosto arretrati in termini di game design, comprensione dei generi, e consapevolezza di come il medium si è evoluto. Persino grossi blockbuster come gli ultimi Sword and Fairy hanno enormi problemi di ritmo e struttura, nonostante dimostrino che da quelle parti le competenze tecniche siano tutt'altro che sottovalutabili, per capirci.
Abbiamo quindi approcciato Black Myth: Wukong con la consapevolezza di poterci trovare davanti a una grossa illusione collettiva, un gioco potenzialmente molto inferiore alle aspettative, e ancora lontano dai livelli necessari a consolidarsi sul nostro mercato. La verità? Non è così: l'opera prima dei Game Science è effettivamente eccezionale da molti punti di vista, ma al contempo è un perfetto ritratto dello stato dello sviluppo cinese odierno, con tutte le sue debolezze. Black Myth: Wukong è infatti al contempo uno dei più impressionanti che abbiamo mai giocato e uno dei più imperfetti; si tratta però di un'opera dal fascino innegabile, meritevole di attenzione e, soprattutto, di un'analisi il più approfondita possibile.
Un secondo viaggio
Diversamente da quanto ci si possa aspettare, la narrativa di Black Myth: Wukong non è semplicemente una versione giocabile di "Viaggio in Occidente", opera magna della letteratura cinese su cui ovviamente tutto si basa. L'universo è lo stesso, ma la campagna si svolge in realtà dopo la conclusione di quella storia e voi non controllate la scimmia di pietra che dà il nome al gioco bensì il "prescelto", ovvero un altro scimmione proveniente dalla tribù di Wukong, che si mette in viaggio alla ricerca di alcuni poderosi artefatti allo scopo di risvegliare l'immortale e invincibile guerriero peloso. In verità, la trama potrebbe non sembrare un gran che all'inizio: è chiaramente una lettera d'amore a Viaggio in Occidente, ai suoi miti e ai suoi personaggi e se non si conosce l'opera originale è difficile cogliere le sfumature di molto di quel che accade, o apprezzare gli eventi principali. Eppure i Game Science ci hanno messo del loro, approcciandosi alla campagna come se fosse una sorta di seconda narrazione del romanzo divisa in capitoli, con un discreto numero di sottotrame, personaggi e scontri stuzzicanti. Insomma, nel complesso forse le avventure del prescelto non saranno all'altezza dell'opera su cui si fondano, ma abbiamo apprezzato lo scorrere degli eventi, in particolare grazie a una serie di favolosi filmati di intermezzo tra un capitolo e l'altro (di cui parleremo un po' più approfonditamente poi, una volta passati ad analizzare la direzione artistica). Vi è anche una sorta di piccola enciclopedia legata a miti e creature nel gioco piuttosto interessante da consultare, peccato solo che questa sia completa a metà, con molte descrizioni mancanti e problemi di localizzazione. Sia chiaro, non abbiamo intenzione di penalizzare il gioco per quest'ultima mancanza, dato che gli sviluppatori hanno promesso che la localizzazione verrà completata al lancio e che non si tratta di un difetto terribilmente grave (il focus dell'opera non è certo la narrativa); lo stato dei testi nella versione da noi provata, però, dimostra che forse Black Myth: Wukong è uscito un po' prima di quando avrebbe dovuto, e non è l'unico elemento che ci fa sospettare un'uscita un tantinello affrettata nonostante i tanti anni di sviluppo...
Tornando momentaneamente alla struttura a capitoli: detta così può sembrare che il gioco sia lineare con livelli non più esplorabili una volta completati, ma in realtà applica una formula non dissimile da quella dei soulslike, con una progressione a checkpoint e la possibilità di teletrasportarsi da una zona all'altra liberalmente una volta scoperti gli altari necessari. E sì, è possibile tornare anche nelle mappe dei capitoli precedenti e completare ciò che è stato lasciato in sospeso, nel caso vi stiate preoccupando. Cosa buona e giusta, dato che le ambientazioni sono molto estese e discretamente piene di segreti.
Tutto torna al grande tao
Prima di addentrarci davvero nella struttura di Wukong e di parlare delle caratteristiche che lo accomunano e/o distinguono dai soulslike, però, vorremmo concentrarci sulle meccaniche di combattimento, perché comunque il gioco alla base è un action piuttosto frenetico con una discreta complessità meccanica, che si regge prevalentemente sulle battaglie. Il lavoro di Game Science, però, è abbastanza unico in questi aspetti e infatti il predestinato può utilizzare solo un bastone come arma, con combinazioni e mosse predefinite.
Non che gli action con una singola arma principale manchino, ma qui iniziano le peculiarità: il vostro alter ego può imparare mosse aggiuntive e posizioni speciali del bastone (gli stili principali sono tre), consuma stamina con gli attacchi più che con gli spostamenti - anzi, schivate perfette gliela fanno recuperare - e colpi caricati non solo si potenziano a forza di piazzare attacchi normali, ma possono ottenere vari effetti aggiuntivi, da una rigenerazione parziale dei punti vita quando partono, a una resistenza temporanea agli urti nemici con tanto di contromossa integrata. Questa varietà permette al sistema di combattimento di non stancare anche solo con le manovre base, perché c'è sempre una discreta strategia nella gestione delle serie di colpi e delle risorse basilari. Il bastone non è però l'unica capacità a disposizione del predestinato e, avanzando nell'avventura, si ottengono una miriade di abilità aggiuntive, da poteri magici estremamente utili, fino alla possibilità di assorbire certi spiriti di nemici e utilizzare le loro mosse speciali (in modo simile a quanto accadeva in Nioh 2, per intenderci). Una delle caratteristiche più interessanti del gioco, ad ogni modo, è la possibilità di trasformarsi in alcuni nemici sconfitti ottenendone temporaneamente il set di mosse e le abilità: queste trasformazioni non usano il mana necessario per le magie né la stamina, e sono uno strumento utilissimo che ringalluzzisce ulteriormente il tutto.
Le chicche non finiscono qui e sinceramente non vogliamo spoilerarvi troppo, tuttavia sappiate che, per quanto Wukong offra un gran numero di opzioni in battaglia, la sua varietà non dipende tanto dalle mosse e dai poteri a disposizione del protagonista quanto dal numero di nemici. C'è una varietà folle di avversari in ogni capitolo, ben superiore a qualunque nostra aspettativa, e la cosa più assurda? Il gioco contiene decine e decine di boss secondari, così tanti che capita di combatterne tre o quattro praticamente di fila in alcune fasi della campagna. Quelli primari, peraltro, sono spaventosamente curati sia dal punto di vista degli schemi in combattimento che da quello stilistico, e i loro scontri sono senza ombra di dubbio i picchi assoluti dell'esperienza.
Così descritto il gioco potrebbe sembrare veramente eccelso in termini di gameplay, e va detto che quando tutto si incastra alla perfezione e si iniziano ad usare con la giusta esperienza le capacità del predestinato Black Myth: Wukong scorre davvero a meraviglia, in un turbinio di cloni scimmieschi, scatti invisibili, magie paralizzanti e tutta una serie di altre curiose capacità. Come accennato poco sopra, però, il lavoro di Game Science è tanto sorprendente quanto scarsamente pulito e viene in parte rovinato da alcuni grossolani errori di game design che portano l'azione ad avere alcuni fastidiosi cali qualitativi.
Un primo esempio? Il bilanciamento della difficoltà e la gestione degli elementi GDR. Il vostro alter ego nel gioco può migliorare le sue capacità, sia potenziando alcune caratteristiche fisiche che le magie o i singoli attacchi in serie col bastone. È un sistema nel complesso discretamente elaborato, ma ha dei limiti molto ben definiti per quanto riguarda le capacità offensive e difensive del protagonista, quindi sulla carta dovrebbe essere molto più facile da bilanciare rispetto alla progressione di un soulslike. Peccato che nel gioco vi siano alcuni picchi di difficoltà abbastanza importanti di capitolo in capitolo che una volta superati fanno sembrare gli scontri successivi piuttosto triviali. Non bastasse, la difficoltà di queste battaglie è spesso discretamente artificiale e legata alla presenza nei pattern nemici di mosse davvero mal calcolate (c'è una tendenza quasi imbarazzante a dare ai boss delle prese infamissime che puliscono tre quarti dei vostri punti vita all'improvviso), o ancor peggio a hitbox (le aree tridimensionali degli attacchi o quelle con cui è possibile interagire degli avversari, per intenderci) mal programmate. Un paio di battaglie, in particolare, sono risultate frustranti più per la difficoltà nel "toccare" il nemico che non nell'evitare i suoi attacchi, a causa di aree colpibili ridotte che sparivano a casaccio durante certi attacchi, o risultavano incredibilmente fastidiose da raggiungere con le combinazioni. Avremmo preferito un po' meno cura nelle animazioni e un po' più di efficienza nella gestione degli attacchi veri e propri, perché queste problematiche abbassano sensibilmente la qualità di alcuni degli scontri potenzialmente più esaltanti. Ah, considerando che in qualunque momento è possibile sostituire i punti utilizzati per sviluppare il protagonista, abbiamo tentato di capire se le problematiche legate alle hitbox appena descritte dipendessero dalla necessità di utilizzare uno degli stili di combattimento "alternativi" offerti e... no, non è così, si manca il bersaglio anche con le mosse alternative; ci sono proprio delle strane imprecisioni a tratti, che probabilmente dipendono da un mix di inesperienza e ingenuità degli sviluppatori. Insomma, per farla breve, il combattimento secondo noi è spassoso e merita la promozione, ma qualche riserva c'è; le problematiche si iniziano a fare un po' più significative, poi, quando si vanno a studiare il level design e la struttura del gioco.
Yin e Yang
Alla base infatti Wukong non è un soulslike, ma al di fuori della divisione in capitoli della campagna la sua struttura ricorda molto da vicino quella del sottogenere di GDR action inventato e reso popolare da FromSoftware. La differenza fondamentale? Le mappe qui sono molto più lineari, tendenzialmente prive di scorciatoie e connessioni di alcun tipo e per lo più pensate come "contenitori " per gruppi di nemici e per le numerosissime battaglie con i boss di cui parlavamo prima.
L'esplorazione, in realtà, è comunque parte integrante dell'esperienza: vi sono missioni da completare legate a personaggi vari, forzieri nascosti qua e là, spiriti ben occultati da recuperare dopo alcune battaglie, e tutta una serie di interessanti primizie derivanti dalla arguta osservazione di ogni mappa; detto ciò, non aspettatevi un particolare capolavoro in termini di level design.
Quando parlavamo di scarsa pollinazione culturale e di potenziale arretratezza intendevamo proprio questo: le ambientazioni di Wukong non sono spiacevoli da svelare ed esplorare, ma non vi sorprenderanno di certo per la loro morfologia o la brillantezza si certi passaggi; sono per lo più corridoi molto estesi con bivi piuttosto lunghi e qualche peculiare variazione sul tema, pensate per spezzare un po' la monotonia tra una rissa e quella successiva. Anche qui, infatti, si nota come i Game Science abbiano applicato un po' superficialmente alcune strutture viste altrove, e siano inciampati in quei momenti in cui hanno tentato di fare qualcosa di realmente diverso. Un esempio piuttosto lampante è il capitolo 3, una parte davvero estesa della campagna, dove dopo una mappa verticale a spirale discreta si raggiunge una pianura innevata dalle dimensioni così estese da sembrar presa da un open world, a cui segue un tempio altrettanto inutilmente enorme. Nel capitolo gli sviluppatori hanno inserito un espediente per esplorare il tutto più rapidamente, ma la mappa risulta comunque piuttosto vuota, dispersiva, e le deviazioni discretamente tediose, nonostante il capitolo contenga alcune delle migliori battaglie dell'intera campagna (tra cui forse il boss che abbiamo preferito in assoluto per complessità ed estetica).
La mancanza di esperienza del team si rifà rapidamente sotto altrove. Ad esempio, molti pezzi della campagna sarebbero risultati molto più godibili e riusciti riducendo le dimensioni di alcune mappe, concentrando il contenuto con maggior furbizia, o sperimentando con qualche struttura atipica... gli sviluppatori invece in questo caso hanno voluto puntare tutto sulla spettacolarità dell'impatto grafico e sulle dimensioni, trascurando altri aspetti. Per la cronaca, esattamente come in altre produzioni provenienti dalla Cina, anche qui si ha la tendenza a tirare certe situazioni e certi filmati un po' troppo per le lunghe, o a concentrarsi sul macroscopico invece che sui dettagli. La cosa impatta persino gli scontri con i boss: i boss secondari, infatti, sono così tanti da risultare in larga parte dimenticabili e, seppur il loro numero abbia perfettamente senso in un gioco la cui base sono la miriade di racconti e incontri di Viaggio in Occidente, un po' di fedeltà in meno in favore di un miglior studio delle mappe sarebbe stata una scelta oculata. Se non altro, le scivolate in termini di design non sono mai realmente devastanti e il numero di combattimenti, unito alla generale solidità delle meccaniche, rende comunque Wukong un action godibilissimo e divertente, sia chiaro. Il problema è che poteva a nostro parere essere tranquillamente molto di più.
Bellezze celesti
La cosa che in primo luogo ci porta a tale conclusione è la grafica del gioco. E forse non lascerà a bocca aperta quanto i primissimi trailer mostrati, ma va detto che Black Myth Wukong è un prodotto con un comparto tecnico e artistico spaventoso, tra i più impressionanti in circolazione.
Il livello di dettaglio dei modelli tridimensionali e delle ambientazioni è altissimo, le mappe splendide, la varietà di ambienti notevole, e l'impatto di ogni nuova zona lascia a bocca aperta, grazie a una visione fantasy dell'Asia imponente e d'effetto come non mai. Anche il lavoro fatto sulle animazioni è di altissimo livello e certe arene in cui si affrontano i boss sono realmente fuori di testa. Tutto impressiona, dagli effetti particellari al movimento dei peli di certi nemici bestiali, senza contare la varietà estetica degli avversari (comunque sempre ben contestualizzati) e dell'equipaggiamento del protagonista. Se poi aggiungete a questo ben di dio il fatto che tutto è ottimizzato in modo più che degno (qualche calo c'è, ma il gioco viaggia benone anche su configurazioni PC medio alte) e la validità anche del comparto sonoro, si ottiene un lavoro davvero ben oltre qualunque previsione, specie se si considera che questa è un'opera prima (escludendo un paio di giochi mobile)!
Dato che avevamo accennato agli intermezzi tra i capitoli a inizio recensione, è il caso di tornare sull'argomento: riteniamo seriamente che siano alcuni dei momenti migliori della campagna, visto che si parla di filmati d'animazione artisticamente magnifici, creati con vari stili, e perfettamente integrati all'avanzamento della storia. Meritano a tal punto che il gioco contiene una sorta di galleria per riguardarseli una volta sbloccati e non possiamo che approvare.
Anche davanti a uno zenith del genere, comunque, subentra il problema di scarsa attenzione ai dettagli già descritto. Il gioco è infatti tecnicamente mostruoso, ma non privo di magagne: durante certe scene si notano alcuni strani artefatti nell'interfaccia o attorno ai modelli tridimensionali (anche se la seconda eventualità è più rara) o sbalzi nella gestione dell'illuminazione, inoltre abbiamo osservato qualche strano bug e instabilità (e un singolo crash, anche se prima di una patch correttiva che ha reso generalmente il gioco più solido). Peraltro, sempre tornando agli strani errori di calcolo del team, non capiremo mai perché all'apertura dei forzieri e al superamento di alcuni passaggi ristretti la telecamera si blocchi per qualche istante. Dovrebbe dare alla scena un taglio più cinematografico, e in realtà semplicemente infastidisce fino al punto di diventare una scelta ridicola, perché rischia seriamente di bloccare la visuale in momenti concitati o durante l'esplorazione. È un baco trascurabile, dato che basta entrare nel menu per eliminarlo all'istante (senza contare che verrà probabilmente sistemato a breve), ma riteniamo sia l'ennesima dimostrazione che forse all'opera di Game Science qualche altro mese di pulizia e ricalcolo non avrebbe fatto male.
Poche lamentele invece in termini di longevità. I capitoli e le mappe del titolo sono, come detto, estese e ricche, e crediamo sinceramente che un giocatore possa impiegare ben più di trenta ore per completare tutto, o anche più di quaranta se cerca attivamente di scoprire ogni singolo segreto. Non è un gioco breve questo, e riesce a reggere il colpo fino alle fasi finali, nonostante i difetti.
Conclusioni
Black Myth Wukong si è rivelato un'esperienza ben al di sopra delle nostre aspettative e riesce incredibilmente ad esserlo pur presentando tutti i difetti che ci aspettavamo a causa dalla scarsa esperienza del team di sviluppo e della parziale immaturità dell'ecosistema dello sviluppo cinese. Questo è un gioco che più che mai rappresenta il suo mercato: è imponente, impressionante, a tratti eccezionale, ma al contempo si concentra troppo sull'impatto tecnico e sugli elementi macroscopici, tralasciando dettagli importanti e cadendo in ingenuità che non ci si aspetterebbe da un team con tali capacità tecniche. Resta un action estremamente variegato e divertente, con qualità uniche e alcuni momenti altissimi. Siamo lontani dal capolavoro, ma non dubitiamo che farà parlare di sé e, se questo è l'inizio della storia dei Game Science, non vediamo l'ora di scoprire cosa combineranno in futuro.
PRO
- Tecnicamente e artisticamente impressionante, oltre che ottimizzato
- Ricchissimo di contenuti e dotato di una varietà folle di boss e nemici
- Combat system solido e divertente, con numerosi poteri e abilità
CONTRO
- Qualche grossolano errore di design e map design non eccelso
- Problemi di bilanciamento
- Alcuni bug e imperfezioni