A volte le storie dell'orrore sono favole piene di speranza. Poche volte, a dirla tutta, ma questa sì. È la storia di Christa Castro e Bryan Singh, marito e moglie, fondatori e unici membri dello studio di sviluppo Cozy Game Pals. Lei è stata art director a Nickelodeon; lui ha lavorato con Naughty Dog. Insieme decidono di dar vita a un piccolo progetto horror che intitolano Fear the Spotlight. Un omaggio a film e videogiochi da brivido degli anni '90, con due adolescenti come protagoniste che organizzano una seduta spiritica e fanno i conti con i demoni che evocano.
Il gioco ha un buon successo e viene notato da Blumhouse, la leggendaria casa di produzione cinematografica di Hollywood che, proprio in quel periodo, sta mettendo in piedi una nuova divisione dedicata a piccole esperienze videoludiche horror. A Christa e Bryan arriva una proposta di publishing e poi dei fondi extra per perfezionare ed espandere Fear the Spotlight. D'altronde il loro è l'araldo di Blumhouse Games, il primo titolo ad arrivare sul mercato. Il biglietto da visita.
Ed eccoci qui: marito e moglie, un piccolissimo progetto personale, un colosso del cinema horror. Ci manca solo un finale. Dopo le circa cinque ore di gioco necessarie per portarlo a termine, sarà riuscito Fear the Spotlight a dimostrarci che questa storia ha anche un lieto fine?
La tavola Ouija
C'è un momento, proprio all'inizio di Fear the Spotlight che ci è piaciuto moltissimo. Amy e Vivian sono due adolescenti che si intrufolano a scuola, in piena notte, per trafugare un artefatto dall'esposizione dedicata all'occulto e cercare di evocare un fantasma. Vivian ha una cotta per Amy, e ha deciso che glielo confesserà quella sera, quindi è pronta a tutto pur di impressionarla. Anche a prestarsi a un'avventura così rischiosa, lei che è un vero e proprio topo da biblioteca, sempre diligente, sempre attenta a non contravvenire alle regole della scuola.
Le ragazze accendono le candele, sistemano la tavola ouija e mettono le mani sul puntatore che, in teoria, dovrebbe essere mosso dalla forza ectoplasmatica del fantasma. Ma è a questo punto che Fear The Spotlight ci fa l'occhiolino e ci concede un piacevole fuorionda. Ci dà la possibilità di barare e dare una spintarella al puntatore per ingannare Amy e convincerla che ci sia davvero un'entità che intende parlarle. È una domanda che ci siamo fatti centinaia di volte nei film in cui abbiamo visto questa identica scena: e se qualcuno muovesse volontariamente il puntatore? Lo facciamo, e Amy si prende un accidente. La cosa ci fa capire nuovamente che siamo in totale complicità con Fear the Spotlight e che il gioco aveva previsto anche il nostro scherzo. Vivian è troppo buona (e troppo innamorata) per ingannare fino in fondo Amy, e così le confessa il nostro dispetto. La situazione, in ogni caso, è stata molto divertente.
Alla fine però lo spirito c'è davvero, d'altronde questa è una storia dell'orrore. E, non appena si manifesta, si porta via Amy, lasciando Vivian in una dimensione spettrale. Cercando una via d'uscita da questo strambo mondo sospeso, che ci ha ricordato quello dei primi capitoli di Insidious (una delle pellicole simbolo di Blumhouse), ci troviamo davanti a un enorme quadro che raffigura le vittime dell'incendio che ha devastato la scuola negli anni '90.
Tanti piccoli occhietti gialli che, come fanali nella notte, bucano la tela spuntando dai volti emaciati di ragazzi e ragazze. La parete alle spalle del quadro si apre, e noi entriamo all'inferno, per scoprire il mistero dell'incendio e per salvare Amy.
Un horror vecchia scuola
Entrati nella crepa scopriamo di non esserci mossi poi troppo: siamo sempre nella scuola, la Sunnydale, ma una ventina di anni prima, negli anni '90. Gli stessi in cui il terribile incendio l'ha devastata e si è portato via tante vite innocenti. I corridoi vuoti sembrano non essere cambiati affatto: gli armadietti azzurri, le luci ronzanti al neon, i trofei delle squadre di nuoto e di pallacanestro. Non c'è anima viva se si fa eccezione per degli strani esserini che ci seguono, un po' defilati, nascondendosi nell'ombra. E che hanno gli stessi occhi gialli degli adolescenti nella foto di commemorazione delle vittime.
Fear the Spotlight - come potrete intuire dal suo aspetto- sembra uscito dall'epoca d'oro dei survival horror. Su tutti ci ha ricordato il primo Silent Hill, ma anche Project Zero. Non è solo il suo modo di inquadrare il personaggio, le ambientazioni scelte, il ritmo di gioco, ma anche l'idea di anteporre l'esplorazione e la risoluzione di puzzle ambientali allo scontro. La maggior parte del tempo che passiamo all'interno della Sunnydale ci vede spostarci da una zona all'altra, di volta in volta bloccati da puzzle che richiedono oggetti specifici o codici di accesso. Il gioco ci mette a disposizione un piccolo diario in cui Vivian appunta le cose da fare e i suoi obiettivi primari. Esplorando, riparando e trovando chiavi si accede a stanze dapprima chiuse, si collezionano indizi sui motivi dietro all'incendio e ci si spreme le meningi per mettere appunto le soluzioni agli enigmi, che spesso non sono nemmeno così banali.
A differenza dei suddetti videogiochi dell'orrore giapponesi, però, Fear the Spotlight non mette mai l'accento su un orrore pervasivo, malato, capace di accartocciarti le budella. E nemmeno sull'abusato meccanismo dei jumpscare. Costruisce piuttosto un'atmosfera quasi malinconica, sfruttando molti degli espedienti narrativi tipici degli horror con adolescenti, come l'immortale Carrie di Brian De Palma. Non intende reinventare un genere, quindi il suo è un orrore estetico, suggestivo, occidentale, fatto di sfumature e di spauracchi.
Lo spauracchio in effetti non tarda ad arrivare: un uomo che indossa un enorme copricapo a forma di riflettore, capace di ustionare la povera Vivian se quest'ultima finisce nel suo fascio di luce. In questi frangenti di scontro Fear the Spotlight diventa uno stealth sul modello dei Clock Tower o dell'indimenticato Haunting Grounds. L'incontro con il nemico si risolve correndo, nascondendosi, evitando il contatto visivo.
Una storia dell’orrore romantica
Fear the Spotlight vive di due anime in contrasto: da una parte un'esplorazione coinvolgente, con un posizionamento intelligente degli oggetti necessari a risolvere i puzzle, delle soluzioni a puntino, mai troppo banali o troppo difficili; dall'altra il contatto con l'orrore, che non riesce mai a colpire nel vivo dal momento che manca di pathos.
Questo a causa di un mostro che non fa particolarmente paura, ma anche perché - e questo è l'aspetto in cui la produzione arranca di più - non si riescono a costruire situazioni veramente tese nelle quali percepire il pericolo della morte. In generale gli inseguimenti sono molto blandi, e accucciarsi sotto a un oggetto è più che sufficiente per sfuggire allo sguardo del nemico.
Eppure Fear the Spotlight riesce in un certo senso a costruire situazioni inquietanti, merito di una regia attenta, di una storia che riesce a raccontare ossessioni e perversioni inappropriate, specialmente nell'ambiente scolastico, e che ben si incastra e si scontra con la tenera cotta tra Vivian e Amy. Ecco, forse è proprio questa nota romantica di sottofondo che gli impedisce di divenire abbastanza aspro da sovvertire le aspettative del videogiocatore.
Anche se, proprio alla fine, una sorpresa ci ha lasciati felicemente storditi di fronte a una trovata che non ci aspettavamo affatto e che, in un certo senso, è proprio figlia dell'accordo con Blumhouse. E del budget extra a cui Cozy Game Pals ha avuto accesso.
Conclusioni
Fear the Spotlight regala agli appassionati di film e videogiochi dell'orrore cinque ore piacevoli (forse fin troppo visto che parliamo di un horror) da spendere in una storia semplice, capace di rileggere i classici, con delle trovate visive interessanti e una progressione magnifica. Anche l'estetica è perfettamente a metà tra il ricordo dei titoli PlayStation e una resa moderna. Il suo romanticismo di fondo, e una dinamica degli scontri non proprio a fuoco, gli impedisce di far davvero paura, ma riesce a toccare tematiche fastidiose e a inquietare con qualche immagine azzeccata. È la prima produzione di un progetto ambizioso che è anche una ventata d'aria fresca nel panorama dei videogiochi indipendenti, e non vediamo l'ora di scoprire gli altri titoli che compongono la visione di Blumhouse Games. Questa, intanto, è una storia a lieto fine.
PRO
- Progressione perfettamente riuscita, si gioca che è un piacere
- Regia e narrazione molto interessanti
- C'è più di quello che si pensa all'inizio!
CONTRO
- Non riesce mai davvero a far paura
- Le fasi di scontro con i nemici sono troppo semplici