Dalla pubblicazione di Remember Me nel 2013, lo studio di sviluppo francese Dontnod ha cercato di definire la propria identità. Life is Strange l'ha portato alla ribalta, grazie a una storia che pur non essendo esente da difetti ha lasciato il segno. I successivi tuttavia, nello specifico Life is Strange 2 e il più recente Tell Me Why (Vampyr non è un'avventura narrativa, perciò lo lasceremo da parte in questo caso), hanno spezzato l'idillio: troppo concentrati sulle tematiche sociali alla base di entrambi, la narrazione ne ha risentito lasciando l'idea che la magia di Arcadia Bay fosse soltanto un colpo di fortuna.
Ora è il turno della recensione di Twin Mirror, ultima fatica di Dontnod che riporta infine lo studio sui vecchi binari dopo un lungo periodo di assenza a seguito dell'annuncio, mescolando la narrativa del primo LiS con alcune delle meccaniche investigative di Vampyr e Remember Me: il risultato è thriller narrativo, che ruota attorno a un'indagine giornalistica e avvicina ancor di più gli sviluppatori alla consolidazione del loro stile. Il mix degli elementi menzionati sopra arriva a sfruttare e migliorare quelli che sono i maggiori punti di forza del team.
La storia
Seguiamo da vicino le vicende di Sam Higgs, ex giornalista che ritorna nella città natale di Basswood (West Virginia) dopo due anni per la veglia del suo migliore amico, scomparso in un incidente stradale. Ci sono delle ragioni per cui Sam si è allontanato, che non vi riveleremo poiché sono uno dei tanti snodi narrativi: vi basti sapere che non è molto benvoluto e lui stesso, per la propria natura misantropa, non intende trattenersi oltre il necessario. La situazione prende una piega diversa e quella che doveva essere una semplice visita per porgere omaggio al suo migliore amico si trasforma in un thriller investigativo dove la realtà cede a volte il passo al mondo interiore di Sam: da uomo incredibilmente pragmatico qual è, egli affronta infatti ogni situazione analizzandola fino a ricavarne la nuda e cruda verità, affidandosi sia al proprio Palazzo Mentale sia il cosiddetto Lui. Trattasi di un altro Sam, se così vogliamo definirlo, la personificazione di quel frammento di coscienza con cui non riesce a conciliarsi ma nondimeno è parte di lui e gli offre spesso un punto di vista più umano, meno rigido e inquadrato rispetto alla sua nichilistica visione del mondo. Personalità contrapposte, dunque, che messe assieme funzionano benissimo e danno spessore alla narrazione.
Nella sua ricerca della verità, Sam interagisce con diversi personaggi in modo più o meno approfondito ed è qui che si sentono forti le radici del primo Life is Strange: essendo un gioco narrativo, la comunicazione è uno dei punti fondamentali e laddove non tutti gli abitanti di Basswood godono di una caratterizzazione a tutto tondo, limitandosi a essere delle macchie di colore sullo sfondo, ce ne sono alcuni che emergono dallo schermo riuscendo a farsi ricordare sia per nome sia per qualche peculiarità che li contraddistingue, posto che ci si attardi a scambiare più chiacchiere del necessario. Laddove gli ultimi progetti di Dontnod non riuscivano del tutto e legare il contesto narrativo ai personaggi, spesso rafforzando uno a discapito dell'altro, Basswood diventa qui un piccolo microcosmo che non sarebbe lo stesso senza i suoi abitanti: meglio detto, in questo caso si percepisce la loro appartenenza al mondo di gioco e senza di loro ne uscirebbe una cittadina probabilmente diversa.
Ambientazione, intreccio e personaggi sono quindi ben amalgamati tra loro, persino a fronte di una durata complessiva piuttosto limitata per gli standard cui Dontnod ci ha abituato - o forse la percezione è falsata dal fatto che è la prima avventura narrativa lineare, senza la suddivisione in episodi. In alcuni momenti lo sviluppo ci è sembrato un po' frettoloso, come semplicistico e un po' cliché è il caso su cui si trova a indagare Sam, ma alla fine emerge piuttosto chiaramente che l'intreccio narrativo è una scusa per affondare nel protagonista, plasmarlo anche e soprattutto in base alle nostre scelte. Non è tanto la storia di Basswood, della sua tragedia, quanto il percorso di rinascita (o stagnazione, in realtà dipende da voi) di Sam che dopo due anni a estraniarsi dal mondo cerca di ritrovare se stesso proprio in quella cittadina che l'ha costretto a "esiliarsi". In tutto ciò, Lui gioca un ruolo fondamentale e pur essendo un personaggio legato al suo subconscio riesce a imporsi con una forza e assieme una delicatezza che più volte ci hanno lasciati incerti su quale decisione prendere.
Il gameplay
Dal punto di vista narrativo, il gameplay è bene o male invariato rispetto alle passate esperienze di Dontnod, con l'unica eccezione delle osservazioni che Sam può avere in merito a un po' qualunque dettaglio del mondo di gioco: si tratta di brevissime note sotto l'elemento che stiamo osservando ma concorrono a farci comprendere meglio il personaggio e, pur essendo ininfluenti, viene sempre voglia di sapere cosa ne pensi Sam a riguardo. La vera novità è il Palazzo Mentale, qualcosa che se siete appassionati di Sherlock Holmes (e non solo) non ha bisogno di spiegazioni: in breve, si tratta del mondo interiore di Sam, quello nel quale si rifugia quando vuole analizzare una situazione nel modo più oggettivo possibile. Quel quid in più, diremmo, che in genere gli permette di essere sempre un passo avanti agli altri, a scapito di un'evidente estraniazione dal mondo reale. Poiché si tratta della sua mente e considerato il fatto che Sam è un personaggio molto complesso, spesso afflitto da dubbi riguardanti tanto sé quanto gli altri, non è raro che questa pace, questo rigore interiore, possano essere fortemente influenzati dal suo stato d'animo.
All'atto pratico, il Palazzo Mentale ci permette di analizzare una potenziale scena del crimine e trarne la giusta conclusione formulando ipotesi e smantellandole laddove qualcosa non torni: in tal senso non è davvero possibile sbagliare, o meglio non lo è all'esterno. Mentre siamo immersi nelle nostre riflessioni possiamo combinare più scenari fino a trovare quello giusto e da lì trarre la deduzione che ci porterà più avanti nel gioco. Un percorso guidato, insomma, ma perfettamente logico se si considera la natura del Palazzo Mentale, sfruttato proprio per eliminare l'improbabile e fino a lasciare l'unica verità possibile. Non è quindi davvero possibile far procedere l'indagine verso un punto morto o una direzione sbagliata, questo anche per via di un numero limitato di personaggi che non permette di allargare troppo lo spettro. A esserci piaciuto è il fatto che l'uso di questa meccanica non è mai identico: le indagini, pur adottando uno stesso schema, possono variare nell'approccio anche in base allo stato d'animo in cui si trova Sam - che è sempre guidato dalla storia ma rimane comunque una soluzione piacevole da vivere. A volte capita che la mente si rivolti contro di noi, questo perché Sam è in continua lotta per mantenere l'equilibrio, e spingerci a riprendere il controllo attraverso sequenze interiori frammentarie e lugubri che rimandano con la memoria a una situazione specifica del primo LiS.
Sviluppo
Nel complesso, Twin Mirror elabora ed espande elementi introdotti nei giochi precedenti e, grazie a un taglio più cinematografico, si presenta come un thriller interattivo coinvolgente e ben strutturato per quanto riguarda le decisioni da prendere. Ci sono determinate situazioni in cui le nostre scelte faranno davvero la differenza sia nei nostri confronti sia in quelli di chi ci circonda: l'abbiamo testato su due diverse partite, la prima di pancia e la seconda mirata a prendere decisioni differenti, e ne sono usciti due percorsi, due Sam, differenti. Soprattutto ne è emersa la consapevolezza che non c'è un giusto e uno sbagliato per quanto riguarda la personalità di Sam, il suo sviluppo cresce con noi e il nostro approccio al mondo di gioco - l'uomo che emergerà alla fine è la somma delle nostre scelte. L'intreccio narrativo, l'abbiamo accennato, ci è sembrato un po' affrettato in alcuni punti ma complice è la scelta di una storia piuttosto semplice, un po' cliché, e limitata nel numero di personaggi. Questo porta a una durata che può sembrare ridotta, e in effetti lo è rispetto anche solo al recente Tell Me Why, ma quando ci si rende conto che la trama è solo un pretesto per raccontare il personaggio di Sam si capisce che, a parte qualche accorgimento, allungarla avrebbe solo portato a ristagnare la narrazione.
Con i suoi lievi difetti di ritmo, Twin Mirror rimane comunque una storia molto godibile, forte di un protagonista sfaccettato e un alter ego che a tratti ruba la scena con il suo carisma: un viaggio nella psiche umana che ha come obiettivo quello, forse, di imparare ad accettare se stessi e le proprie debolezze. Oppure alzare la guardia, combatterle ferocemente cercando di individuare un nemico che, alla fine, è un inaccettabile se stesso - riducendosi dunque a cercarlo in uno specchio cieco e mirare a vuoto. Dontnod conquista di nuovo quell'amalgama narrativa che ha reso possibile il primo Life is Strange, dimostrando con Twin Mirror di essere tornato su quei binari dai quali i due precedenti giochi lo avcvano fatto deviare, troppo concentrato a puntare il dito su un tema senza considerare che non può più (similmente all'utilizzo di un brand famoso, come nel caso di Avengers) essere l'unico traino dell'esperienza che intende offrire.
Dal punto di vista artistico, abbiamo notato qualche personaggio avere una recitazione un po' piatta se paragonata a Sam e Lui, nulla che vada davvero a intaccare l'esperienza soprattutto se consideriamo la presenza di alcuni come semplice contorno. La colonna sonora è, stranamente, l'aspetto che brilla meno e non c'è stata alcuna traccia in particolare a esserci rimasta in mente. Ancora una volta, i livelli del primo Life is Strange sembrano difficili da raggiungere. Per quanto riguarda infine l'animazione, se prendiamo Twin Mirror e lo mettiamo in un confronto generale con tutti i giochi che popolano il mercato ne esce sicuramente sconfitto. Analizzandolo invece nel microcosmo delle opere Dontnod, si notano ancora una volta i passi avanti con il motion capture, che riescono a dar vita agli abitanti di Basswood e differenziarli quanto basta per renderli riconoscibili. Ancora una volta non tutti godono della stessa cura riservata a Sam ma notiamo con piacere che a ogni gioco l'asticella si alza sempre un pochino di più. Servirebbe un vero e proprio salto di qualità definitivo, che forse con la next gen potrebbe concretizzarsi.
Conclusioni
Con Twin Mirror, Dontnod riprende le redini dello sviluppo narrativo riavvicinandosi ai fasti del primo Life is Strange e accostandogli meccaniche prese sia da Remember Me sia da Vampyr. Si pone come la somma di più parti, il punto di arrivo in un percorso iniziato anni fa e che sembrava essersi perso a un certo punto. L'intreccio narrativo è un po' cliché, a tratti frettoloso, ma si rivela il pretesto per raccontare il personaggio di Sam: le sue fragilità, i suoi dubbi, il conflitto interiore che lo tormenta e affronta anche grazie al supporto di Lui - altro personaggio davvero ben gestito. Pur con qualche difetto di ritmo, il gioco si dimostra un thriller coinvolgente che fa un uso particolare del Palazzo Mentale, legando questa meccanica a doppio filo con la storia al punto da esserne influenzato e portare a situazioni sempre diverse. Le decisioni di fronte alle quali siamo messi colpiscono più nel segno, lasciandoci nel dubbio su quale sia la migliore perché non sembra esserci un distinguo tra giusto e sbagliato - è tutta una questione di prospettive. Proprio su questo aspetto si appoggia Dontnod, sul punto di vista di Sam ma soprattutto nostro che lo guidiamo, lasciandoci la responsabilità dell'uomo che diventerà.
PRO
- Un thriller interattivo semplice ma coinvolgente
- Ottima la caratterizzazione di Sam e del suo alter ego
- Finalmente una narrazione lineare, senza divisione episodica
- La meccanica del Palazzo Mentale è molto ben gestita e legata alla storia
CONTRO
- L'intreccio narrativo risulta a tratti un pochino frettoloso
- Non a tutti i personaggi è stata dedicata la stessa attenzione