Dopo l'articolo pubblicato il 29 settembre su Bloomberg da Jason Shreier si riaccende il dibattito sul crunch. Nel mirino stavolta c'é CD Projekt RED che, dopo avere dichiarato per voce del Adam Badowski che mai lo studio avrebbe sottoposto dipendenti a crunch obbligatorio, si è vista costretta a imporre straordinari a tutto il team per terminare in tempo Cyberpunk 2077. Quando si parla di crunch inevitabilmente si accende il dibattito: "è da condannare", "speriamo paghino lo straordinario" ed "è un male necessario" sono le frasi che si rincorrono continuamente in un clima dove puntualmente nessuno affronta la questione seriamente.
Il crunch, infatti, è un fenomeno che riguarda politiche e diritti del lavoro, tutele e vuoti normativi che variano di paese in paese; è un argomento che va affrontato con spirito sociale e una buona dose di materiale legislativo alla mano. Motivo per cui non ci imbarcheremo in questo discorso. È altrettanto vero però che chi scrive trova insopportabile la pratica del crunch e mai sosterrà che una cultura del super lavoro, dove lo straordinario è utilizzato come deterrente psicologico, dove le richieste fatte dal datore di lavoro viaggiano sempre sul limite del mobbing, dove le aspettative verso i lavoratori di settore sono sempre più pressanti, che il crunch è un male necessario. Ma necessario a cosa poi? Beh, a splendidi giochi AAA, a quei capolavori imprescindibili grande vanto dell'industria videoludica. Proviamo allora ad affrontare la questione da un altro punto di vista: se non si possono separare crunch e giochi AAA, visto che il primo è male necessario del secondo, perché non proviamo a togliere dall'equazione i giochi AAA?
Apertura e crescita del mercato
Prima di soppesare tutti i lati negativi dei videogiochi AAA è giusto attribuirgli i dovuti meriti, perché grazie a queste mastodontiche produzioni il mercato dei videogiochi si è espanso, raggiungendo molti consumatori che mai avrebbero toccato un videogioco. Gli AAA insomma hanno spalancato le porte del mercato ad un ampio bacino d'utenza, dimostrando al mondo che i videogiochi sono un medium di intrattenimento che ha molto da offrire.L'apertura del mercato al pubblico di massa è stata senza dubbio molto rapida e che ha trovato nell'evoluzione tecnologica la sua propulsione, perché è grazie a performace migliorate, resa foto-realistica della grafica che lo sguardo del grande pubblico ha cominciato a rivolgersi verso i videogiochi; chiedendo in prestito al cinema interpretazioni attoriali di qualità e sceneggiatori di talento il gioco è fatto, letteralmente. L'afflusso di diverse tipologie di giocatori non è di certo un male, anzi, e molti di quei quei giochi pensati per il grande pubblico sono stati titoli apprezzatissimi anche da coloro con un passato da gamer più consolidato.
Il "problema", sempre che lo si voglia definire così (nell'economia di questo articolo è comodo dargli questa accezione), è che la formula funziona e paga bene. E se funziona così bene perché non farlo più in grande? Il mercato dei videogiochi ha quindi visto in meno di dieci anni un'impennata del suo valore, un'iniezione di denaro che ha portato il valore del mercato, stimato nel 2012 a 52.8 miliardi di dollari, agli attuali 131.23 con una previsione degli analisti di 196 miliardi di revenue per il 2022. Questa vertiginosa crescita, ed è qui la chiave di volta, non è forse stata supportata da una crescita altrettanto rapida dell'infrastruttura a supporto. Diciamo forse perché non abbiamo dati a sostegno della tesi ma è indubbio il fatto che la dimensione dei progetti tripla AAA sia cresciuta ad un punto tale che gli stessi studi si sviluppo lottano per stargli appresso.
Costo umano
The Last of Us Parte II è un caso, tristemente, noto ma significativo, che vale la pena osservare da vicino: sei anni di sviluppo, un costo stimato di produzione di 100 milioni di dollari, 2168 sviluppatori coinvolti, 4 milioni di copie vendute (trasformare questo dato di vendita in valore monetario è davvero difficile ma attestandoci su una media di $50 dollari a copia è lecito pensare ad almeno 200 milioni di revenue) in una finestra di lancio di appena 2 giorni (dal 19 al 21 giugno), a cui sommare poi le vendite successive e il merchandise.
Sappiamo anche, perché lo riportano diverse fonti, che il lavoro è stato estenuante. L'articolo uscito nel marzo 2020 su Kotaku a cura sempre di Jason Shreier, giornalista che ha preso a cuore il tema dei diritti dei lavoratori nel settore videoludico, ha riportato numerose storie da fonti interne al team parlare di orari di lavoro estenuanti, mole di incarichi che non stavano fisicamente nelle ore standard previste da contratto, dipendenti che si intrattenevano fino a tardi perché in attesa di feedback dei superiori bloccati in estenuanti riunioni fiume. "Ti senti obbligato ad intrattenerti fino a tardi, perché tutti gli altri sono lì. Se è necessario inserire un'animazione e tu non sei lì per aiutare l'animatore, vuol dire bloccare il suo lavoro e questo può ferirti. Non deve essere per forza detto, basta solo uno sguardo. 'Amico, mi hai completamente fregato la scorsa notte per non essere rimasto fino alle 23:00.'". Ma come dicevamo il problema dipende proprio da una mancata struttura di supporto adeguata al progetto: non c'è nulla di male a voler sviluppare un gioco impeccabile, e The Last of Us Parte II lo è, ma bisogna anche saper gestire la macchina in base alle proprie risorse.
Ad aver parlato in termini piuttosto caustici è stato, sempre nella primavera del 2020, Jonathan Cooper, ex dipendente di Naughty Dog con un'importante esperienza lavorativa alle spalle. Ovviamente è la parola di Cooper contro quella del suo ex datore di lavoro ma a detta dello sviluppatore, The Last of Us Parte II non è fallito grazie alla continua benevolenza di Sony che ha dovuto sopperire economicamente alla cattiva gestione del personale: in breve, pare che buona parte degli animatori senior del team, meno legati ai progetti rispetto ai game/narrative designer, abbia lasciato il loro posto portando ad una mancanza di figure professionali, lacuna sopperita arruolando giovani, ma meno esperti, animatori. Questo è doppiamente sconfortante: da una parte una storia che assolutamente non ritrova nessun riscontro nella bellezza del gioco al quale appartiene e dall'altra un messaggio davvero poco rassicurante per il futuro dei giovani sviluppatori. Quindi lavorare nel settore AAA significa questo? Lavorare fino al burnout? È questo che i futuri team di sviluppo si aspettano dalle nuove leve?
Si può fermare il moto perpetuo?
Arrivati a questo punto è doveroso fare una precisazione. Se parliamo di cattiva gestione di risorse, come personale e/o budget e/o tempo, qualsiasi team può fallire, che sia un gigantesco studio avvezzo a produrre tripla A che il piccolo gruppo indie composto da una dozzina di persone. È ragionevole affermare però che più le cose vengono fatte in grande e più è facile commettere errori, procrastinare problematiche meno urgenti di altre o diventare il target per qualche mal intenzionato alla ricerca di soldi, gloria o vendetta. Insomma, parliamo di una difficile sostenibilità di grandi progetti, che può degenerare nel crunch per i motivi più disparati, pompata in negativo da marketing e hype della fanbase, a fronte però di guadagni sempre crescenti e scommesse sempre ben ripagate: se funziona perchè fermarsi?
Volendo usare una metafora l'industria AAA è come lo Snowpiercer, il treno del fumetto francese da cui hanno tratto film e serie tv. È una macchina lanciatissima, abitata da un variegato gruppo di persone che vivono forti disparità; la metafora non vuole soffermarsi sulla catena alimentare dell'industria videoludica ma sul fatto che, e se conoscete la storia lo sapete, lo Snowpiercer non può fermarsi, il suo stesso movimento genera l'energia che rende possibile sopravvivere a bordo. L'industria AAA è nella stessa posizione perché finchè tutto funziona nessuno fermerà la locomotiva per rivedere i processi di produzione, siamo sopravvissuti così da sempre e per sempre andremo avanti. Almeno, finché i Fondai della coda non si stancano. Ovviamente non arriveremo mai all'esagerazione di dire che i giochi AAA devono scomparire, che rovinano l'industria di settore e causano lo scioglimento di ghiacciai. È un business consolidato, necessario e, come dicevamo in apertura, quello che tiene attira il pubblico di massa.
D'altro canto però, partendo dai due grandi assunti affrontati finora (ovvero che la macchina non intende fermarsi e che il crunch è un male necessario), viene spontaneo chiedersi se non esistono davvero altre soluzioni. Un messaggio forte potrebbe e dovrebbe arrivare dagli sviluppatori in primis ma sono numerosi i casi di ambiente di lavoro tossico, legati al crunch o problemi anche più seri, che fanno fatica ad emergere ed è lecito pensare che ciò che l'opinione pubblica conosce sia solo la punta dell'iceberg. Un supporto extra potrebbe arrivare dal pubblico che dovrebbe sfruttare i diritti del consumatore e chiedere più informazioni sui propri acquisti, proprio come leggere la lista degli ingredienti al supermercato. Se il consumatore chiede trasparenza, il produttore che si rifiuta di fornirla rischia di fare una brutta figura. Un'altra soluzione ancora potrebbe essere puntare sempre più sui cosiddetti giochi AA o Indie AAA, ovvero titoli prodotti da team con organici più snelli e che dispongono di finanziamenti inferiori ai grandi competitor, e che in questa generazione hanno dimostrato le loro potenzialità; Hellblade: Senua's Sacrifice, Control o The Outer Worlds sono ad esempio tutti titoli più contenuti (e per questo meno longevi) rispetto alla concorrenza AAA ma non per questo qualitativamente inferiori.
Questo, come si sottolineava prima, non esclude a priori il crunch, ma è altrettanto vero che un progetto meno è grande più ha libertà di manovra, meno rischi di investimento, più sperimentazione sul lato dello sviluppo che si traduce, si spera, in un' offerta più varia per il pubblico. Qualsiasi sia il futuro dell'industria videoludica, la speranza più viva è che il problema del crunch, e in modo più esteso le tutele ai lavoratori, diventi uno dei grandi focus del futuro più prossimo, che si instaurino dialoghi seri nell'industria a beneficio anche si altri settori. Perché "meglio del crunch oggi che un riinvio domani", non può e non deve diventare la norma.