59

Fuori la politica dai videogiochi? Cosa ci raccontano i mondi distopici virtuali

Gaia Amadori ci ha parlato di scenari videoludici distopici e del loro impatto su riflessioni politiche che riguardano il nostro mondo.

INTERVISTA di Giulia Martino   —   05/11/2023
Fuori la politica dai videogiochi? Cosa ci raccontano i mondi distopici virtuali

Distopìa, s. f. [comp. di dis-2 e (u)topia]. - Previsione, descrizione o rappresentazione di uno stato di cose futuro, con cui, contrariamente all'utopia e per lo più in aperta polemica con tendenze avvertite nel presente, si prefigurano situazioni, sviluppi, assetti politico-sociali e tecnologici altamente negativi (equivale quindi a utopia negativa): le distopie della più recente letteratura fantascientifica.

Definizione di "distopia", da Vocabolario Treccani

"Non stiamo solo giocando. Distopia e videogiochi si parlano molto bene". Lo dice Gaia Amadori nel corso della sua conferenza "What-if videoludici tra distopia e politica", tenuta lo scorso 27 ottobre nell'ambito degli IVIPRO DAYS, a Trieste. Amadori è dottoranda presso l'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, si occupa di sociologia della comunicazione e, in particolare, dell'impatto dei media digitali - incluse le console di gioco - nelle famiglie con bambini tra 0 e 8 anni.

Gaia Amadori aveva già partecipato agli IVIPRO DAYS qualche anno fa, in veste di vincitrice del premio dell'associazione alle migliori tesi di laurea sul videogioco. "La mia tesi, dal titolo 'Videogiochi e comunicazione ambientale: il caso della campagna To the last tree standing' per Greenpeace" verteva sulle conseguenze della decisione del governo polacco di disboscare la foresta di Białowieża, in Polonia", racconta, "i cittadini e le organizzazioni non governative diedero vita a varie forme di protesta, di cui una all'interno del mondo virtuale di Minecraft: venne realizzata una copia in scala 1:1 della foresta nel titolo, e quando la mappa divenne un successo nella comunità di gioco venne rimossa e sostituita con una copia delle stesse dimensioni. Solo che tutti gli alberi erano stati abbattuti, eccetto uno: quello che dà il nome alla campagna".

Il successo delle distopie

Il panel di Gaia Amadori, dal titolo 'What-if videoludici tra distopia e politica' si è concentrato, in particolare, su Wolfenstein: The New Colossus e sull'espansione Gathering Storm di Sid Meier's Civilization VI
Il panel di Gaia Amadori, dal titolo "What-if videoludici tra distopia e politica" si è concentrato, in particolare, su Wolfenstein: The New Colossus e sull'espansione Gathering Storm di Sid Meier's Civilization VI

"To the last tree standing" è solo un esempio di come i videogiochi possono essere utilizzati per dare forti messaggi legati alla comunicazione ambientale, parlando di deforestazione e crisi climatica, mostrando scenari distopici - il contrasto tra le foresta precedentemente esistente e l'ultimo albero rimasto è terrificante per chi ha un minimo di sensibilità per il mondo naturale - come avviene nell'espansione Gathering Storm di Sid Meier's Civilization VI, uno dei due videogiochi su cui Gaia Amadori si è concentrata nella sua analisi svolta in occasione degli IVIPRO DAYS.

"Le distopie videoludiche sono molto numerose", spiega, "basti pensare quelle urbane e cyberpunk di Cyberpunk 2077, Deus Ex o Half-Life, ma anche Fallout e Bioshock, o alla distopia della città totale di Mirror's Edge, per capire come questo modo di raccontare la società sia riuscito ad allargarsi nella cultura popolare". È indubbio che vi sia una prevalenza nel discorso letterario, cinematografico, videoludico delle distopie rispetto alle utopie, ossia narrazioni che propongono un assetto politico e/o sociale che non trova riscontro nella realtà, ma che viene proposto come ideale. Perché?

La Night City di Cyberpunk 2077 è ambientazione di una distopia urbana di carattere cyberpunk, a dimostrazione di quanto gli scenari distopici siano diventati popolari anche nel campo videoludico
La Night City di Cyberpunk 2077 è ambientazione di una distopia urbana di carattere cyberpunk, a dimostrazione di quanto gli scenari distopici siano diventati popolari anche nel campo videoludico

"È più facile immaginare la fine del mondo piuttosto che il mondo perfetto", risponde Amadori, "innanzitutto va detto che l'essere umano cova un desiderio inconscio di morte: basti guardare al filone psicoanalitico portato avanti da Sigmund Freud e Carl Gustav Jung. È la stessa pulsione che ci porta a fare la guerra: siamo l'unica specie a sterminarsi internamente in maniera sistematica e, per così dire, globale. Inoltre, in Occidente cresciamo in una società che ci propone racconti articolati per mezzo del conflitto. L'utopia è priva di conflitti, e non permette di evolvere le storie. La distopia è parte della nostra immaginazione: tutte le narrazioni con cui cresciamo hanno un elemento distopico".

Distopie ed ecocatastrofi

Nella sua tesi di laurea, Gaia Amadori ha indagato sull'utilizzo di Minecraft al fine di lanciare messaggi legati alla tutela dell'ambiente
Nella sua tesi di laurea, Gaia Amadori ha indagato sull'utilizzo di Minecraft al fine di lanciare messaggi legati alla tutela dell'ambiente

Parlando, in particolare, di scenari distopici ecocatastrofici, Amadori propone l'esempio di Sid Meier's Civilization VI: Gathering Storm, in cui il tema dell'innalzamento dei livelli di anidride carbonica nell'aria è preponderante. Stando a Ed Beach, Lead Designer di Civilization VI, questa espansione non va considerata come una dichiarazione politica sulla crisi climatica, bensì come un prodotto che incorpora le conoscenze scientifiche sul tema. Dennis Shrink, produttore di Civilization VI, evidenzia come i giocatori possano scegliere la direzione in cui vogliono giocare, nella consapevolezza di ciò che sta accadendo al mondo.

Gaia Amadori, che si dedica all'analisi dei discorsi intorno ai videogiochi (i cosiddetti "paratesti") ha preso in esame le azioni degli utenti all'interno dell'espansione. "Avvertiamo un vero e proprio desiderio di distopia, capace di parlare ai nostri desideri di morte più inconsci", dice, "come dimostrano tanti utenti su YouTube, che è pieno di video su come portare il mondo virtuale di Civilization VI alla fine nei modi più veloci o originali possibili".

Gli scenari distopici sono molto più popolari di quelli utopici, trattandosi di storie basate sul conflitto e - secondo gli studiosi - anche sul nostro desiderio inconscio di morte
Gli scenari distopici sono molto più popolari di quelli utopici, trattandosi di storie basate sul conflitto e - secondo gli studiosi - anche sul nostro desiderio inconscio di morte

D'altronde, commenta Amadori, ormai la distopia è tutta intorno a noi. "Quando mi sono laureata, non si parlava di cambiamento climatico in maniera urgente come avviene oggi", racconta, "ora assistiamo ad aumenti di temperatura tangibili, incendi e alluvioni assolutamente devastanti. La distopia si vede sempre di più. Ma mi sento distante dagli scenari allarmisti che, in un certo senso, sembrano quasi desiderare la distruzione del pianeta: dobbiamo giocarcela fino all'ultimo". Nella consapevolezza del portato politico degli scenari distopici, anche videoludici. "Potremmo scegliere di ignorare questi segnali d'allarme, certo. Come fanno i negazionisti della Shoah: secondo un'indagine Eurispes, il 15.6 % degli italiani crede che l'Olocausto non si sia mai verificato. Nel 2004, erano solo il 2.4 %".

Wolfenstein e l'alt-right

Uscito qualche mese dopo le elezioni che hanno portato Donald Trump alla presidenza statunitense, Wolfenstein II: The New Colossus è stato al centro di una forte polemica legata all'uccisione dei nazisti all'interno del gioco
Uscito qualche mese dopo le elezioni che hanno portato Donald Trump alla presidenza statunitense, Wolfenstein II: The New Colossus è stato al centro di una forte polemica legata all'uccisione dei nazisti all'interno del gioco

"Molti dei giovani uomini della parte tedesca stavano solo facendo il loro lavoro". Questo è soltanto uno dei tanti tweet portati all'attenzione del pubblico da Gaia Amadori nella parte di conferenza dedicata a discutere della ricezione di Wolfenstein II: The New Colossus, uscito pochi mesi dopo l'elezione di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d'America. La serie Wolfenstein mette in scena quella che in gergo tecnico viene chiamata ucronia, ossia una narrazione basata su un corso alternativo della Storia. Nel caso di Wolfenstein, il "punto di svolta", per così dire, è dato da una domanda: cosa sarebbe potuto succedere se i nazisti avessero vinto la Seconda Guerra Mondiale?

Durante una conferenza stampa tenutasi all'E3 2017, Bethesda presentò Wolfenstein II: The New Colossus con un trailer. Donald Trump aveva vinto le elezioni statunitensi qualche mese prima. "Sul web iniziarono subito a spuntare commenti sul fatto che Wolfenstein II: The New Colossus sarebbe stato certamente razzista nei confronti dei bianchi", racconta Amadori, "ci si lamentava che i nazisti sarebbero stati ammazzati in maniera acritica".

La campagna pubblicitaria di lancio di Wolfenstein II: The New Colossus riprese alcuni slogan dei seguaci di Donald Trump per promuovere il gioco, facendo così adirare gli esponenti dell'alt-right
La campagna pubblicitaria di lancio di Wolfenstein II: The New Colossus riprese alcuni slogan dei seguaci di Donald Trump per promuovere il gioco, facendo così adirare gli esponenti dell'alt-right

Il lancio di Wolfenstein II: The New Colossus avvenne nell'ottobre successivo, e la campagna marketing prese spunto da uno slogan trumpiano per promuovere il gioco: in una pubblicità pubblicata il 6 ottobre 2017, si legge "Make America Nazi-Free Again". "Molti utenti ritennero che si trattasse di un messaggio per incitare all'uccisione dei supporter di Trump", spiega Amadori. Dieci giorni dopo, un altro messaggio pubblicitario: "There is only one side". "E anche in questo caso non mancarono esponenti dell'alt-right che interpretarono il messaggio come una minaccia di morte nei loro confronti", commenta la sociologa.

"Il fatto curioso", prosegue Gaia Amadori, "è che queste polemiche dimostrano l'inconsapevolezza di gran parte del pubblico circa i lunghi tempi di lavorazione dei videogiochi. Wolfenstein II: The New Colossus è stato accusato di essere il prodotto di una campagna anti-Trump, senza rendersi però conto di quanti anni siano necessari per produrre un videogioco di questo tipo. Per inciso, la storia di Wolfenstein II: The New Colossus era stata scritta nel 2014".

Gamergate e discorsi politici

La campagna d'odio del Gamergate prese avvio dalle polemiche intorno al videogioco Depression Quest creato dalla sviluppatrice Zoë Quinn: molti utenti consideravano la depressione come un tema 'inadatto' a un videogioco
La campagna d'odio del Gamergate prese avvio dalle polemiche intorno al videogioco Depression Quest creato dalla sviluppatrice Zoë Quinn: molti utenti consideravano la depressione come un tema "inadatto" a un videogioco

E il 2014 è stato anche l'anno del Gamergate, campagna di molestie, violenze online e minacce di morte e stupro volte a fermare la cosiddetta "politicizzazione dei videogiochi", con una risposta fermamente contraria a videogiochi come Depression Quest della sviluppatrice Zoë Quinn, rea - a detta di utenti di piattaforma come Twitter, Reddit e 4chan - di aver privato i videogiocatori del divertimento parlando di tematiche come la depressione. Stessa sorte toccò alla critica Anita Sarkeesian, fondatrice di Feminist Frequency e autrice della serie video Tropes vs. Women in Video Games, volta ad analizzare gli stereotipi connessi alla rappresentazione dei personaggi femminili all'interno dei videogiochi.

"Fenomeni come il Gamergate hanno dimostrato che non stiamo solo giocando", afferma Gaia Amadori, "distopia e videogiochi si parlano molto bene. Il crinale tra immaginario e reale sta diventando sempre più sottile". Come avverte la studiosa, però, il fatto che gli utenti violenti del Gamergate siano riusciti ad arrivare alle nostre orecchie non sta nei mondi di gioco, bensì nelle piattaforme social. "Il Gamergate è stata la semplice esposizione di un qualcosa che è stato sempre latente nel mondo videoludico", dice, "del razzismo, del sessismo e dell'inclinazione alla violenza che sono presenti in certe frange del pubblico, ma anche degli sviluppatori e della stampa che gravitano all'interno del mondo dei videogiochi".

La critica femminista Anita Sarkeesian fu presa di mira nel corso del Gamergate per aver prodotto una serie di video dedicati alla discussione degli stereotipi legati ai personaggi femminili all'interno dei videogiochi
La critica femminista Anita Sarkeesian fu presa di mira nel corso del Gamergate per aver prodotto una serie di video dedicati alla discussione degli stereotipi legati ai personaggi femminili all'interno dei videogiochi

Tentare di intercettare gli estremisti e dialogare con loro può avere senso? "Sarebbe troppo facile ragionare per poli opposti, pensando di raggiungerli tutti o ignorarli completamente", afferma la sociologa, "questa è una delle sfide legate alla pericolosa complessità della nostra società, e dimostra come il videogioco sia sempre di più un ambiente politico, di confronto. Le cose cambieranno con un processo molto lungo che passerà dalle scuole e dall'educazione, in particolare". L'aspirazione massima di Gaia Amadori con i suoi studi? "Far riflettere. Creare delle crisi esistenziali della durata di un'ora". Per tentare di trovare una strada, una piccola feritoia che possa permettere di guardare fuori e gettare uno sguardo critico e consapevole sul mondo contemporaneo, iniziando, prima di tutto, a concepire i videogiochi in una maniera più ampia, riconoscendo la complessità e la ricchezza del medium.