Durante gli scorsi mesi ci siamo soffermati molto sui personaggi, gli eventi e le tradizioni dietro la fantasmagorica ricostruzione della mitologia norrena nella nuova saga di God of War. Durante le nostre elucubrazioni, spesso abbiamo fatto riferimento a due testi fondamentali per la comprensione e lo studio di questa branca mitologica, l'Edda in prosa e l'Edda poetica, ma senza mai soffermarci più di tanto sull'argomento, meritevole di un'analisi a parte. Noi le abbiamo lette, le abbiamo analizzate, studiato ciò che si trovava sul web, ma non ci sembrava abbastanza. Così, abbiamo preso un volo diretto per Reykjavík con l'intento di andare a vedere in prima persona queste fonti inestimabili e farci raccontare da chi vi si trova a contatto tutto il giorno cosa significa tramandare questo tipo di conoscenza.
Ebbene, è arrivato il momento di andare alla scoperta dei manoscritti che hanno ispirato Santa Monica Studio per God of War, oltre che, nei secoli, decine di altri autori, da Tolkien in giù.
Un’infarinatura storica
Le fonti riguardanti miti e leggende nordiche non sono innumerevoli, anzi. La gran parte della conoscenza a nostra disposizione deriva principalmente da due scritti: l'Edda in prosa, firmata da Snorri Sturluson intorno al 1220, e l'Edda poetica, della quale non si conosce l'autore (o gli autori) e risalente, più o meno, al 1270. Le date della loro "pubblicazione" mettono in primo piano un contesto storico molto particolare: quello dell'Islanda medievale. Sì, perché, a differenza di quanto si potrebbe pensare, le uniche fonti scritte pervenuteci provengono tutte da un contesto islandese e non scandinavo-continentale. Viene da domandarsi perché questo strano concentrato di tradizione letteraria non sia sparsa più equamente per tutto il fu territorio norreno.
Gísli Sigurðsson, ricercatore e professore presso l'Istituto Árni Magnússon di Reykjavík, ci ha raccontato che l'Islanda, nata come avamposto, è la regione dei possedimenti vichinghi che più è riuscita a rendersi indipendente e, grazie al grande peso dato al commercio, a includere molto velocemente idee, usi e costumi provenienti da diverse parti del mondo conosciuto, specialmente anglosassoni.
Così, il cristianesimo ha attecchito in maniera molto più repentina e radicale rispetto ad altri territori nordici e, con esso, anche l'impellenza di tradurre in forma scritta il proprio sapere e le proprie tradizioni. Inoltre, è interessante notare come questa spinta letteraria corrisponda quasi a una moda contemporanea. Infatti, con tutta probabilità, tali scritti, specialmente i componimenti poetici cantati da scaldi e bardi, venivano commissionati da figure di spicco del panorama sociale locale, spinti dalle voci e testimonianze provenienti dalle terre inglesi, dove tale pratica denotava un certo prestigio.
Così, nacquero opere come le due Edda, ma anche diverse saghe scritte (per la maggior parte perdute o estremamente frammentarie), in un momento in cui, ricordiamo, la lettura non era pratica comune e la stampa a caratteri mobili era ben lontana dall'essere inventata. Tuttavia, ciò non impedì a molti di creare la propria "edizione", trascrivendo i testi in forme, dimensioni e contesti differenti.
All'istituto abbiamo avuto modo di vedere tre versioni delle due Edda: una era la più completa e antica, priva di orpelli visivi, per lo più realizzata a scopo educativo, mentre le altre due le potremmo definire "illustrate". Quelli che abbiamo visto sono solo alcuni degli esempi di ciò che è diventata una vera e propria tendenza, spinta principalmente (anche nei momenti in cui la stampa e l'editoria iniziarono a portare la letteratura al livello di tutti, o quasi) dalla mancanza di denaro a sufficienza per possedere una propria copia, usanza che si è protratta fino agli inizi del Novecento.
L’Edda poetica
L'Edda poetica è una raccolta di poemi nordici di origine orale, riportati in forma scritta solo verso la fine del XIII secolo. Uno dei manoscritti meglio conservati è quello che abbiamo avuto l'onore di vedere dal vivo, inviato al re di Danimarca nel XVII secolo e riconsegnato all'Islanda nel 1971. Questa versione contiene i ventinove canti canonici che compongono l'Edda (il più famoso è la Vǫluspá, ovvero "La profezia della Veggente"), con anche una lacuna di diverse pagine, il cui contenuto può essere in parte ricostruito solo attraverso la comparazione con altri scritti del periodo.
Data la semplice impaginazione, senza orpelli o ornamenti di alcun tipo, è ipotizzabile che questa edizione fosse stata realizzata principalmente per lo studio di tali testi, tanto che è anche indicizzata molto scrupolosamente. Infatti, il manoscritto è diviso in due parti ben distinte: la prima contiene i poemi mitologici, mentre la seconda i poemi eroici (comparabili con quelli del Nibelungenlied tedesco).
Da questa "prima versione accreditata" dell'Edda poetica ne sono state tratte molte altre nei secoli. Il professor Sigurðsson ci ha mostrato, ad esempio, un manoscritto risalente al XVIII secolo scritto da un contadino islandese, Jakob Sigurðsson, contenente una grande quantità di immagini disegnate a mano. La presenza di diversi nomi all'interno della precedente rilegatura ha permesso di seguire il percorso di questo volume lungo i secoli, che ha concluso il suo viaggio in Canada verso la fine del XIX secolo, per poi tornare sul territorio islandese solo alla fine del Millennio. Al suo interno, oltre all'Edda poetica, si trova anche l'Edda prosastica di Sturluson, assieme a tutta una serie di elementi dal carattere enciclopedico che potevano tornare utili al contadino Jakob per gestire la sua fattoria nell'est dell'Islanda.
L’Edda in prosa
Di carattere totalmente diverso è l'Edda in prosa, scritta intorno al 1220 da Snorri Sturluson, uno storico e politico, nonché figura di spicco nel panorama sociale islandese del XIII secolo. A spingere Sturluson a comporre questo testo fu probabilmente la voglia di spiegare in modo semplice e immediato il significato celato dietro i componimenti poetici con i quali era cresciuto. Fu uno dei primi ad avanzare l'idea, seguendo il principio evemeristico, che le divinità di questi racconti fossero in realtà guerrieri e re che, con il tempo, assunsero agli occhi della gente un'aura divina.
L'Edda in prosa è divisa in quattro parti: un prologo (dove Sturluson avanza l'ipotesi della provenienza degli Æsir da Troia), il Gylfaginning (Inganno di Gylfi), lo Skáldskaparmál (Dialogo sull'arte poetica) e l'Háttatal (Trattato di metrica). L'opera di Snorri è stata senz'altro una delle principali fonti di studio e ricerca riguardanti la mitologia norrena, data la relativa semplicità con cui l'autore ha scelto di riportare in forma prosastica i famosi canti orali degli scaldi, quasi sicuramente con un intento che potremmo definire pedagogico.
God of War e il dilemma dell’adattamento
Per quanto ci piaccia andare a scavare nella storia, dobbiamo anche tornare al presente per vedere quali implicazioni si vengono a creare nel nostro settore, quello videoludico, quando questo si ritrova a fare i conti con un patrimonio culturale ampio e stratificato come quello norreno.
Quella di God of War è sempre stata una saga videoludica che ha suscitato amore e indignazione per il modo in cui si approccia alle mitologie, quella greca prima, quella nordica adesso. L'idea di un assassino di dei che dilania spettacolarmente mezzo pantheon ellenico ha esaltato molti, ma infervorato altrettanti, delusi (quando non proprio furiosi) della mancata adesione alle fonti letterarie e storiche dalle quali tali personaggi emergono. La nuova saga di God of War ha acuito tali risentimenti, dato che Santa Monica ha attuato un processo di adattamento e scrittura veramente colossale, quasi da andare a creare una mitologia alternativa. Gli dei che abitano il gioco sono praticamente l'opposto di quelli raccontati da Snorri e dagli scaldi. Basta prendere come esempio Baldur, una sorta di Cristo norreno nella mitologia (i riferimenti cristologici sono talmente tanti da aver indotto qualche studioso a credere che si tratti di un'aggiunta avvenuta dopo la conversione al cristianesimo dei territori islandesi), tramutato da Santa Monica nell'antagonista principale del primo capitolo della nuova saga.
Quando un appassionato, uno studioso oppure un ricercatore si trova a contatto con una rimodellazione così radicale del proprio oggetto d'interesse è normale provare un certo senso di straniamento, non riuscendo a collegare immediatamente la propria conoscenza a quanto viene mostrato su schermo. Eppure, un processo del genere è forse ancora più interessante che una conversione perfetta della fonte originale. Questo perché dà nuova vita a tali conoscenze, crea un nuovo mondo a partire da esse, cementificando su fondamenta solide e riconosciute (più che mai negli ultimi anni), in grado di alimentare l'interesse per la propria opera. Il giocatore vi trova una reminiscenza, un frammento di memoria che lo inizia a un processo di riconoscimento "nostalgico", legato a echi del passato che si sono sedimentati nella forma del ricordo affezionato, scaturito da un legame potente con altre iterazioni di quei personaggi, di quei luoghi, di quegli eventi. La familiarità è la forza motrice della gioviale sperimentazione sensoriale, che spinge ognuno di noi a reagire diversamente a quanto ci circonda e ci colpisce.
Il professor Sigurðsson ci ha fatto notare (anzi, ci ha ricordato) un concetto tanto scontato quanto fondamentale: questi miti, queste leggende, sono stati inventati da contadini, cantastorie, persone comuni spaventate dal mondo che li circondava, desiderosi di spiegare i fenomeni all'apparenza più inspiegabili, dal sole che sorge ogni giorno fino all'acqua che fluisce dalle montagne. Sono creazioni della mente, nate singolarmente e poi unitesi in credenze comuni, tradizioni, riti. Ma prima dell'istituzionalizzazione, ognuno modellava il proprio credo a seconda delle proprie necessità, raccontando una versione diversa delle storie che aveva sentito da un viandante o chicchessia.
Ciò che troviamo scritto oggi, nero su bianco, è solo una delle tante interpretazioni di quei miti, di quelle storie. Molte altre ne esistevano e sono state dimenticate col tempo, sepolte insieme a chi le aveva create, credendo magari ciecamente alle loro visione di quel mondo magico e formidabile, dove la morte è solo un passaggio, una transizione, una rinascita. Non può esistere una versione giusta o sbagliata di un mito perché siamo noi stessi a definire quanto valore attribuire a questa o a quell'altra fonte. Non siamo al cospetto di un'opera dell'ingegno, nata dalla mente di un solo essere vivente attraverso un processo egoistico di messa in mostra, bensì di un costrutto collettivo, plasmato dall'unione di diversi punti di vista sul mondo. È da qui che scaturiscono, poi, le singole operette egoistiche dell'uomo, propulsione della mente alla messa in forma di un concetto considerato rilevante dal suo autore. Lo è l'Edda di Snorri, ma anche le altre testimonianze scritte, versioni contratte, frammentarie di una storia collettiva molto più vasta e stratificata. Ma alla base di questa struttura apollinea troviamo niente più che ingredienti; ingredienti della percezione umana. Sta al singolo unirli per trovare la propria verità; il proprio Valhalla.
Speriamo che questo speciale dedicato alla scoperta dei manoscritti che hanno ispirato God of War sia stato di vostro gradimento. Per noi è stato un onore poter vedere dal vivo e così da vicino delle testimonianze fondamentali che hanno contribuito alla costruzione di una società civile complessa come quella contemporanea. God of War Ragnarok uscirà veramente a breve, il 9 novembre, ma noi abbiamo ancora qualche viaggio all'interno della mitologia da compiere prima di mettere le mani sul nuovo titolo di Santa Monica Studio. Nel frattempo, vi aspettiamo nei commenti.