"La fedeltà grafica non è mai un elemento che mettiamo fra le priorità dello sviluppo".
Hidetaka Miyazaki, FromSoftware (Elden Ring).
"Abbiamo trovato una soluzione nella grafica semplice: le forme affilate e stilizzate hanno consentito di migliorare drasticamente il level design".
Wesley Martin, Mobius Ditigal (Outer Wilds).
"La maggior parte delle compagnie vanno nella stessa direzione, utilizzano tecnologie identiche. Stanno semplicemente cercando di essere migliori dei rivali. Noi cerchiamo di essere unici, diversi, senza dipendere dalle tecniche degli altri".
Shigeru Miyamoto, Nintendo (Super Mario Galaxy).
"Sono convinto che i nostri giochi andrebbero bene anche con una grafica peggiore. L'arte, lo stile artistico è la cosa importante. [...] Quando è uscito World of Warcraft, tutti gli altri MMO erano più realistici, invece il nostro gioco era diverso".
Sam Didier, Blizzard Entertainment (World of Warcraft).
Il dirompente ingresso sul mercato di The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom, e soprattutto la valanga di punteggi perfetti che l'opera di Nintendo EPD è riuscita a raccogliere, hanno riacceso un dibattito che riemerge con cadenza regolare fin dall'alba della discussione attorno ai videogiochi. Quanto è importante la fedeltà grafica? Quanto incidono la qualità delle texture e quello che viene impropriamente definito 'comparto tecnico' sul valore di un'opera? Delle risposte corrette e insindacabili a queste domande probabilmente non esisteranno mai, perché l'importanza che si attribuisce a questi elementi è strettamente dipendente dalla sensibilità e il metro di giudizio di ciascun osservatore.
Ma c'è un'altra domanda - ancor più importante e attuale - che merita la dovuta attenzione: possibile che l'inseguimento della fedeltà grafica e del fotorealismo stia danneggiando l'evoluzione dei videogiochi, e limitando il settore nell'insieme? Se da una parte è un fatto che - nel contesto dei titoli AAA - stia diventando sempre più difficile incontrare produzioni che propongano qualcosa di nuovo sul piano del gameplay e delle meccaniche, capita sempre più di frequente d'imbattersi in prodotti male ottimizzati, talvolta addirittura al di sotto della soglia della giocabilità. E mentre questa situazione stava iniziando a prender piede nel mercato di prima fascia, il sottobosco indipendente si è tramutato in una fucina d'innovazione capace di vivere un decennio di qualità paragonabile all'età dell'oro dei '90.
L'evoluzione della grafica e l'asintoto tecnologico
Per decine di anni al progredire della tecnologia è corrisposta anche un'inevitabile maturazione delle idee e della creatività: il balzo fra le due e le tre dimensioni - che ovviamente ha rappresentato un unicum irripetibile - ha permesso a centinaia di artisti di mettere in scena meccaniche di gioco che fino ad allora si potevano solamente immaginare; l'esordio di Ultima Underworld e la sua evoluzione in System Shock, che proprio in questi giorni è tornato in forma di remake, impiantarono il seme delle grandi rivoluzioni poi avvenute su console. Se The Legend of Zelda: Ocarina of Time posizionava gli appassionati nel cuore di una Hyrule da esplorare in modo semi-libero, osservando da lontano la vetta della Death Mountain con la consapevolezza di poterla raggiungere, l'affinamento degli hardware ha reso possibile per case come Rockstar Games mettere in scena intere metropoli riprodotte in maniera fedele in cui muoversi senza soluzione di continuità. Probabilmente Nintendo con la prima avventura tridimensionale di Link avrebbe voluto costruire la medesima architettura, ma semplicemente le possibilità offerte dal Nintendo 64 non avrebbero mai consentito un simile approccio.
Questa è stata la corrente che ha segnato l'interezza degli anni '90 e la prima metà dei 2000: l'avvento delle nuove tecnologie, nella maggior parte dei casi, modificava prima di tutto il modo di giocare, per poi incidere sulla scala e sull'ambizione delle produzioni. Grand Theft Auto III metteva in scena una città? Bene, San Andreas ne avrebbe introdotte tre nei confini di una regione interconnessa. The Legend of Zelda: Ocarina of Time era un eccellente collage di mappe separate? The Wind Waker per GameCube sarebbe stato costruito in mezzo a un oceano nel quale navigare in libertà. Anche la lenta evoluzione delle tecnologie più giovani, come ad esempio il gaming online, portava sempre all'emersione di correnti creative inedite, stravolgendo di volta in volta le sorti del mercato. Ci fu il boom degli sparatutto in multigiocatore, quello dei MMORPG, quello dei videogiochi open-world, l'esordio dei controller con sensori di movimento, la nascita delle grandi avventure cinematografiche in tempo reale. Insomma, fu una lunga era durante la quale all'avvento delle macchine next-gen corrispondeva sempre la comparsa di videogiochi nuovi, talvolta persino di nuovi modi di giocare.
Tale spinta ha iniziato a rallentare a partire dalla settima generazione di console, in seguito al lancio di PlayStation 3 e Xbox 360, momento in cui è risultato chiaro che non ci sarebbero più stati enormi balzi successivi all'epoca dei 128 bit. O meglio, ci sarebbero sempre e comunque state delle impennate, ma prevalentemente nel contesto della fedeltà grafica. Ed è stato allora che ha preso forma l'asintoto tecnologico, nel momento in cui la crescita ha assunto i connotati di una curva tendente all'infinito, confine oltre il quale per ottenere miglioramenti sempre più leggeri bisogna investire una quantità sempre crescente di risorse.
Se l'esborso necessario per restare competitivi nella grafica aumenta costantemente, gli altri fattori di produzione restano pressoché invariati, incappando in quella che in economia viene definita la legge dei rendimenti decrescenti. Solamente nel corso degli ultimi cinque anni i costi di sviluppo dei titoli AAA hanno avuto un incremento medio fra il 100% e il 150%, al punto che le software house contattate dalla CMA durante l'indagine Microsoft-ABK hanno dichiarato che i videogiochi previsti per la pubblicazione nel biennio 2024-2025 possono contare su budget di produzione generalmente superiori ai $200 milioni. A margine, se a metà dei 2000 The Elder Scrolls: Oblivion fu realizzato da circa 70 persone e la creazione dell'originale Assassin's Creed coinvolse 150 sviluppatori, Assassin's Creed: Origins ha impiegato più di 1000 persone, mentre Cyberpunk 2077 ne ha messe all'opera oltre 500 - senza contare l'outsourcing - in modo da rispondere prevalentemente alla crescita della quantità di asset e all'incremento del dettaglio grafico.
Quello della fedeltà grafica è diventato un segmento imprescindibile dell'industria AAA, tanto da assorbire spesso la maggior parte dei fattori produttivi dei grandi studi di sviluppo. Ciò non significa assolutamente che l'investimento nella grafica costituisca uno spreco; in primo luogo perché una preponderante fetta del pubblico di massa riserva grande attenzione alla qualità dell'estetica e al "realismo", e inoltre perché numerose software-house spingono il comparto tecnico vicino al limite della propria epoca nel perseguimento di filosofie ben precise. Due esempi virtuosi sono Red Dead Redemption 2 dei Rockstar Studos e The Last of Us Parte 2 di Naughty Dog: se il primo non conosce comparativi nella messa in scena di un mondo aperto che sia funzionale al racconto, grazie alla rappresentazione della natura, alle routine dei personaggi e a dozzine di altri elementi fuori dalla portata dei piccoli sviluppatori, il secondo si cimenta in un romanzo interattivo che sfrutta al massimo le caratteristiche del medium videogioco rendendo la fedeltà grafica una tessera indispensabile per la soluzione del puzzle.
Fedeltà grafica, estetica e direzione artistica
I diversi studi dei ricercatori che hanno provato ad analizzare l'impatto della fedeltà grafica - ad esempio The Effects of Graphical Fidelity on Player Experience (Gerling, Birk, Mandryk, Doucette) e la tesi Impact of graphical fidelity on a player's emotional response in video games - hanno dimostrato che sì, questa ha un impatto nella valutazione dei prodotti, ma un impatto molto marginale, di per sé incapace di generare una risposta psicologica o di far preferire una particolare esperienza rispetto a un'altra dotata di meccaniche più efficaci. È altresì importante specificare che quando si parla di "fedeltà grafica" e più in generale di grafica, nella maggior parte dei casi, si fa riferimento alla qualità e alla complessità dell'immagine, assumendo come benchmark quello del fotorealismo. Si tratta ovviamente di una definizione fallace, dal momento che nel mercato contemporaneo esistono opere come il Cuphead dei fratelli Moldenhauer, l'insieme di oltre 50.000 frame disegnati a mano per comporre un'opera graficamente impeccabile, seppur estremamente distante dal grezzo concetto di grafica che si è insediato nella psicologia del mercato di massa.
Cuphead, come anche Hades di Supergiant Games, Return of the Obra Dinn di Lucas Pope e tantissime altre opere, può vantare una precisa identità estetica nei confini della quale è in grado di brillare come un'eccellenza. Ma il discorso è ancora diverso per tutte quelle opere che, pur risultando graficamente carenti nel proprio sottobosco di riferimento, scommettono esplicitamente sulla direzione artistica, mettendo l'arte e l'immaginario su un gradino molto più alto rispetto alla qualità delle texture, alla distanza di rendering, o alla complessità degli shader. Uno degli esempi più celebri quando si tratta del primato della direzione artistica è FromSoftware, studio che ha fatto del design dei suoi mondi, delle creature che li abitano e delle armi che ospitano il reale cavallo di battaglia. Hidetaka Miyazaki - oggi leader dello studio - si è sbottonato spesso sull'argomento, affermando addirittura quanto segue ai microfoni di Edge: "Mi dispiace dover dire questo per il team dedicato alla grafica e per i programmatori, che [in Elden Ring] hanno lavorato a tantissimi sistemi per creare il gioco visivamente più bello del portfolio. Ma per me a livello personale e complessivamente per i nostri videogiochi la fedeltà grafica non sarà mai una priorità".
Inoltre, a differenza degli altri media, i videogiochi sono soggetti a un invecchiamento tremendamente rapido. Un film, un romanzo, una canzone risalente a trent'anni fa, percepisce indubbiamente il peso dello scorrere del tempo, ma mai quanto un videogioco. L'autore e giornalista Clive Thompson si è occupato spesso dell'argomento, realizzando anche un vademecum dedicato alle condizioni di invecchiamento dei videogiochi, tenendo in considerazione anche gli immensi guadagni derivanti dall'obsolescenza programmata dei software. Non è una sorpresa, a tal proposito, che l'ultimo lustro sia emerso come un'età dell'oro per le operazioni remake, spesso volte a rendere fruibili le grandi opere del passato anche per le generazioni più giovani.
C'è però un dettaglio che vale la pena notare: quanto detto si applica esclusivamente ai videogiochi che al momento dell'uscita perseguivano il fotorealismo, o quantomeno piantavano profonde radici in una fedeltà grafica che nell'arco di dieci anni si sarebbe dimostrata obsoleta. Oggi sembra quasi assurdo pensare che The Legend of Zelda: The Wind Waker, The Elder Scrolls III: Morrowind e Hitman 2: Silent Assassin siano stati tutti quanti pubblicati nel 2002: la scelta di Eiji Aonuma di realizzare l'avventura marittima di Link in cel shading - stile grafico inizialmente criticato persino da Shigeru Miyamoto - l'ha resa un'opera tecnicamente immortale. Anche se è impossibile prevedere quello che sarà il futuro dei videogiochi, e forse un giorno avrà luogo un improbabile balzo tecnologico che porterà all'obsolescenza persino i titoli di nona generazione, produzioni come il sopracitato Cuphead di StudioMDHR non necessiteranno mai di rifacimenti di sorta.
Questione di soldi?
L'inseguimento della fedeltà grafica e l'ossessione verso il fotorealismo sono maturati fino a diventare standard per la maggior parte dei videogiochi AAA, finendo per essere interpretati come condicio sine qua non del grande successo internazionale. Negli ultimi due anni, tuttavia, i titoli AAA in giocatore singolo che si sono posizionati in vetta alle classifiche dei software più venduti non ne hanno fatto la propria bandiera: tanto Elden Ring quanto The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom - che hanno sfondato con assoluta facilità il muro dei 10 milioni di copie piazzate e viaggiano verso risultati che non s'incontravano da anni - trovano il più grande tallone d'Achille proprio nel comparto tecnico, che non solo si risolve in un livello di dettaglio molto inferiore rispetto alla concorrenza, ma anche in una performance al di sotto dello standard diffuso.
Se già di per se questa constatazione sembra contravvenire l'idea che la grafica sia un elemento necessario per raggiungere il successo, le classifiche dei videogiochi più redditizi in assoluto raccontano una storia ancor più interessante. Minecraft, Fortnite, League of Legends, Genshin Impact, Counter Strike: Global Offensive: praticamente tutti i videogiochi che possono contare sulle basi installate più massicce - nell'ordine delle centinaia di milioni di giocatori - e che generano le più elevate correnti di ricavi, non puntano sul triangolo della "graphical fidelity" e scelgono di ancorarsi a stili estetici molto distanti dal realismo, preferendo un approccio che possa garantire longevità e mettere in secondo piano l'evoluzione della grafica.
Il rapporto inverso fra fedeltà grafica e innovazione
Viste e considerate tutte le implicazioni del crescente dispendio di risorse nel comparto grafico delle produzioni, resta da trattare quello che probabilmente rappresenta il più preoccupante contraccolpo di questa deriva: la carenza d'innovazione nel mercato AAA. In questi giorni l'attenzione è monopolizzata da The Legend of Zelda: Tears of the Kingdom e dalle sue innovative meccaniche di gioco - sostanzialmente capaci di riscrivere le regole dell'approccio sandbox e della definizione immersive sim - che hanno preso forma su un hardware molto più stringente rispetto agli ecosistemi di nona generazione. Ma a ben vedere sono quasi due decenni che le più grandi spinte innovative, quelle che si potrebbero definire vere e proprie rivoluzioni, prendono forma nell'orbita di opere che scelgono di abbandonare del tutto la corsa alla fedeltà grafica.
World of Warcraft del 2004 ha creato il moderno mercato degli MMORPG posizionandosi nettamente al di sotto dell'asticella della sua epoca; lo stesso è accaduto con Demon's Souls nel 2009, che ha dato il via alla corrente dei soulslike; il medesimo anno è emerso League of Legends di Riot Games, dopodiché è toccato al Minecraft di Notch nel 2011, e poi nel 2015 a H1Z1, che ha dato ufficialmente i natali al sottogenere degli FPS Battle Royale. Proprio durante quegli anni il segmento della ricerca e sviluppo ha perso molto terreno nel contesto dei videogiochi AAA; ciò è accaduto in ragione della crescita dei costi di sviluppo e soprattutto a causa dell'incertezza economica che accompagna qualsiasi nuova idea, trasformando ogni ipotetica novità meccanica in rischio finanziario molto difficile da accollarsi.
Questa sorta di paralisi creativa ha avuto come effetto collaterale l'esplosione del sottobosco indipendente, che proprio in ragione dell'insostenibilità dei costi legati alla grafica fotorealistica ha scelto - a partire dalla fine dei 2000 - di investire tutto sulle idee, sull'arte e sulle meccaniche di gioco. Il seme della grande rivincita impiantato nel 2008 da Jonathan Blow con il suo Braid è germogliato nella moltitudine di produzioni che oggi continuano a scommettere dove i titoli AAA mancano di farlo; opere come Kenshi, Outer Wilds, Dwarf Fortress, Papers Please, Immortality e tutti gli altri piccoli e grandi esponenti della corrente che fugge dalle regole del mercato di prima fascia.
Quale futuro?
Fra le pubblicazioni più ispirate appartenenti alla nona generazione spicca Returnal di Housemarque, una produzione molto particolare proprio perché ha recuperato un'idea maturata nel sottobosco indipendente - quella del roguelite sotteso all'anello temporale - al fine di regalarle i grandi valori produttivi che sono sempre mancati dai confini del genere. Nonostante sia riuscita a catturare l'attenzione di una piccola nicchia, questa esclusiva console PlayStation ha segnato l'incontro fra un'ispirazione fresca e un comparto tecnico impeccabile, dimostrando come la fedeltà grafica e la solidità delle prestazioni possano arricchire qualsiasi progetto; l'importante è che non si trasformino nell'elemento a cui viene riservata maggiore attenzione, magari a discapito della componente meccanica, della direzione artistica e degli altri fattori che - come dimostrato dai successi degli ultimi anni - necessitano di ricoprire i ruoli dei protagonisti.
La meraviglia generata dal colpo d'occhio grafico e dalla cura riservata al dettaglio estetico non morirà mai, opere come i God of War di Santa Monica Studio, Death Stranding di Kojima Productions, i succitati Red Dead Redemption 2 e The Last of Us Parte 2, sono dimostrazioni lampanti dell'enorme potenziamento dell'esperienza che deriva dall'appagamento della vista. Ma ciascuna di queste opere sfrutta la nuda grafica per potenziare un'offerta saldamente ancorata ad altri elementi, riuscendo a sfruttarla in maniera funzionale alla propria identità senza che si trasformi in un limite creativo; e questo, probabilmente, è possibile anche e soprattutto perché i budget a sostegno di tali progetti vanno ben oltre la media del mercato.
A destare maggiore preoccupazione è il trend che ha preso piede negli ultimi tre anni, portando all'emersione di titoli che, oltre a rivelarsi carenti sul fronte tecnico, si dimostrano aridi anche nel territorio delle idee. Come spesso accade nel mondo dei videogiochi, per indovinare il futuro servirebbe una sfera di cristallo: ormai il potenziamento della grezza grafica assorbe tantissime risorse restituendo una crescita molto lenta, mentre l'avvento delle nuove tecnologie difficilmente riesce di per sé a stravolgere il modo di giocare. Torna alla mente quello che disse l'ingegnere Mark Cerny parlando delle novità sottese alle specifiche di PlayStation 5: "Senza SSD gli sviluppatori hanno dovuto 'imbrogliare' i giocatori mascherando le fasi di caricamento". Ed eccoci qui oggi, a distanza di tre anni, ancora di fronte a quei caricamenti mascherati da corridoi e ascensori, perché le nuove risorse sono state consumate per rispondere alle stesse antiche domande di natura tecnica.