Xenoblade Chronicles X ha sempre esercitato un fascino irresistibile sugli amanti dei giochi di ruolo giapponesi, un fascino che ha radici nello storico di uno sviluppatore con un passato sfortunato, un presente radioso e un futuro promettente. Per molti giocatori è stato un titolo desideratissimo, sviluppato in esclusiva per una console poco diffusa quando il nome Xenoblade contava solo l'iterazione precedente per Wii. Ora, a dieci anni di distanza, i possessori di Switch potranno giocare una versione riveduta e corretta, una Definitive Edition pensata per i vecchi fan e per tutti quelli nuovi che si sono avvicinati alla serie sull'attuale console Nintendo.
Xenoblade Chronicles X: Definitive Edition arriva sul viale del tramonto di Nintendo Switch, console destinata a essere sostituita da una nuova piattaforma nei prossimi mesi. Non è la prima volta che un gioco Monolith Soft simbolizza un cambio di passo con i suoi Xenoblade, titoli raramente estranei a metafore e analogie. Mentre i giocatori scoprono - o riscoprono - il pianeta Mira e corrono a comprare i loro mech per combattere ed esplorare meglio, vale la pena ripercorrere la storia di Monolith Soft attraverso i suoi Xeno, una storia che comincia con Final Fantasy....
(Xenogears e) Xenosaga
Prima di fondare Monolith Soft, Tetsuya Takahashi aveva lavorato in Squaresoft a titoli del calibro di Final Fantasy VI e Chrono Trigger: fu proprio in quel periodo che propose un'idea per Final Fantasy VII che aveva sviluppato insieme a sua moglie Kaori Tanaka, in arte Soraya Saga. Ritenuta troppo cupa e complicata per il pubblico dei JRPG, aveva comunque il potenziale per diventare un altro gioco, magari un seguito di Chrono Trigger. Alla fine, però, Takahashi e il produttore Hiromichi Tanaka optarono per un gioco tutto nuovo, che chiamarono Xenogears: la particella Xeno, che stava a significare qualcosa di alieno o di molto bizzarro, era una scelta che avrebbe segnato Takahashi per la vita.
E chi se lo scorda Xenogears. All'epoca - era il 1998 - eravamo tutti meno schizzinosi e si giocava tutto quello che usciva, specie se portava un marchio come Squaresoft. Solo che Xenogears era qualcosa di completamente diverso da ogni JRPG sul mercato: le tematiche adulte, che mischiavano fantascienza, filosofia, politica e religione in una storia apocalittica e al contempo veramente umana, colpivano come un pugno di Fei, il protagonista esperto di arti marziali, che combatteva insieme ai suoi amici a piedi o a bordo di giganteschi mech chiamati Gears.
Peccato solo per quel secondo disco: non potendo completare il gioco nel giro dei due anni previsti a causa della loro inesperienza e del budget limitato, Takahashi e i suoi collaboratori preferirono trasformare la seconda parte della loro avventura in una specie di visual novel che andò di traverso a molti giocatori. Xenogears era un progetto ambizioso: pur autoconclusivo, si chiudeva con un sibillino "Episode V - End" come una specie di Star Wars. Takahashi aveva grandi piani ma Squaresoft non era del suo stesso avviso, preferendo concentrarsi su Final Fantasy.
Così Takahashi fece i bagagli e nel 1999 fondò Monolith Soft insieme al collega Hirohide Sugiura. Per Namco sviluppò un primo gioco, una sorta di sequel spirituale di Xenogears, i cui diritti erano però rimati a Square Enix: Takahashi usò quindi le idee che gli frullavano in testa da anni per imbastire addirittura una potenziale esalogia per PlayStation 2, prima come director e poi come consulente. Il primo titolo della serie, Xenosaga Episode I, uscì nel 2002 e raccontava la lotta di un'umanità dispersa nello spazio contro una misteriosa specie interdimensionale. La storia affrontava tematiche ancora più profonde di Xenogears, affondando le sue radici nella filosofia e nella mitologia religiosa in un contesto fantascientifico fatto di viaggi interstellari, combattimenti tra mech e così via.
Il grande piano di Takahashi però si scontrò con un cambio ai vertici di Namco che limitò la libertà creativa di Monolith Soft. A quel punto lo sviluppatore fece dietrofront e riprogettò Xenosaga in una trilogia che si concluse nel 2006 con Xenosaga Episode III: pur tagliuzzando qua e là, Takahashi riuscì a chiudere la storia in modo memorabile, ma rimase profondamente insoddisfatto per non essere riuscito a raccontare tutto quello che voleva come voleva. Così, mentre Monolith Soft si imbarcava in altri progetti paralleli come la serie Baten Kaitos su GameCube - recentemente rimasterizzata - Takahashi trovava in Nintendo l'alleato di cui aveva veramente bisogno.
I primi Xenoblade
Oggi Nintendo possiede il 100% di Monolith Soft, una transazione cominciata nel 2007 e giunta al suo culmine nel 2024. Pur essendo inizialmente contrari a questo tipo di approccio, i fondatori di Monolith Soft avevano trovato in Nintendo e nel presidente Satoru Iwata la comprensione e la fiducia che avevano cercato per anni. Così, dopo aver sviluppato diversi titoli come Soma Bringer e Dragon Ball Z: Attack of the Saiyans, e aver aiutato i team di Nintendo a completare giochi come Super Smash Bros. Brawl, Monolith Soft si imbarcò in un nuovo, grande progetto senza sapere che avrebbe cambiato letteralmente tutto.
Takahashi aveva deciso di essere più cauto: voleva risparmiare ai suoi collaboratori un'altra delusione come quella di Xenosaga, in più riteneva che fosse meglio andarci più leggeri sulla narrativa, favorendo il gameplay secondo la filosofia di Nintendo. Il produttore Hitoshi Yamagami gli diede sostanzialmente carta bianca, più o meno gli disse: "fai come ti pare". Originariamente intitolato Monado: Beginning of the World, il nuovo gioco prese infine il titolo di Xenoblade Chronicles per omaggiare i precedenti lavori di Monolith Soft, cui peraltro si rifaceva in termini di atmosfere, filosofie e suggestioni. Sul fronte del gameplay era un gioco però completamente diverso, con combattimenti in tempo reale e un prototipo di open world, ambientato tutto sul corpo di una gigantesca divinità morta in cui quel che resta dell'umanità si oppone a una civiltà meccanica.
Il successo di Xenoblade Chronicles, uscito per Wii nel 2010, fu imprevisto e straordinario. Il gioco inizialmente non avrebbe dovuto neppure arrivare in occidente ma una mobilitazione di massa dei fan - che prese il nome di Operation: Rainfall e si allargò anche ad altri GDR per Wii come The Last Story e Pandora's Tower - convinse il presidente di Nintendo of America, Reggie Fils-Aimé, a opzionare la localizzazione dei suddetti titoli. Ma il merito di Xenoblade Chronicles era ben altro: in un momento in cui il genere JRPG affrontava una profonda crisi, schiacciato sotto il peso di un'arretratezza tecnologica e concettuale, il titolo Monolith Soft rappresentava una rivoluzione fedele a sé stessa, una rottura col passato senza però tradirlo, e la capacità di riuscire a lasciare i giocatori a bocca aperta anche sulla più improbabile delle piattaforme.
Monolith Soft passa i successivi cinque anni a lavorare a vari titoli, ad aiutare Nintendo sempre più spesso con i suoi progetti interni - lo sviluppatore trasloca anche più vicino a Kyoto per questo motivo - e a progettare una nuova iterazione di Xenoblade Chronicles. Finalmente Takahashi aveva potuto raccontare la storia che voleva e per intero, perciò su Wii U pensò a una sorta di spin-off intitolato Xenoblade Chronicles X: il gioco importa varie dinamiche di gameplay che ne giustificano il titolo ma è una storia completamente diversa, ambientata su un pianeta alieno dove l'umanità trova rifugio da una guerra intergalattica.
Xenoblade Chronicles X era un piccolo miracolo di programmazione che dimostrò, forse troppo tardi, di cosa era veramente capace il sottovalutatissimo Wii U: un titolo vasto, vastissimo, forse persino troppo, che solo pochi appassionati e collezionisti hanno avuto la fortuna di giocare... fino ad ora.
La Definitive Edition appena uscita non solo apporta notevoli migliorie a gameplay e comparto tecnico, ma conclude anche la storia che Takahashi aveva lasciato incompiuta nella speranza di proseguirla in un secondo momento, quando ancora non sapeva che per anni sarebbe stato impegnato sulla serie principale.
L'era Nintendo Switch
Uscito nel 2015 su Nintendo Switch, e per la prima volta in contemporanea mondiale, Xenoblade Chronicles 2 ha rappresentato una piccola rivoluzione interna sotto molti aspetti. Non solo aveva un look anime molto diverso rispetto ai giochi precedenti che erano, volendo, più realistici, ma apportava significativi cambiamenti a vari aspetti del gameplay che restava più o meno quello, con il mondo aperto e le battaglie in tempo reale, ma assumeva caratteristiche uniche. La storia vedeva il giovane Rex e una sgangherata compagnia di eroi esplorare il mondo di Alrest, costituito da continenti galleggianti in un mare di nuvole: un'ambientazione bizzarra e ispiratissima che nasconde tantissimi misteri e in men che non si dica mette in mezzo religione, politica e filosofia, i temi tanto cari a Monolith Soft.
Xenoblade Chronicles 2 - cui sarebbe seguita insolitamente un'espansione intitolata Torna - The Golden Country - faceva però anche qualcosa di diverso proprio sul finale: suggeriva che ci fosse un collegamento narrativo tra i titoli della serie, fino a quel momento rimasti completamente autonomi. Delineava, cioè, le rinnovate ambizioni di un Takahashi pronto a raccontare una nuova storia interconnessa che alimentò l'entusiasmo dei fan vecchi e nuovi di Xenoblade Chronicles. Per questo motivo, mentre gli altri team di Monolith Soft si intrecciavano sempre più con Nintendo, collaborando allo sviluppo di titoli come Animal Crossing: New Horizon, Splatoon 3 e, soprattutto, The Legend of Zelda: Breath of the Wild e Tears of the Kingdom, quello di Takahashi si premurava di rimasterizzare nella sua prima Definitive Edition proprio lo Xenoblade Chronicles del 2010.
Era importante rigiocarlo per affrontare il presunto capitolo conclusivo, annunciato praticamente a sorpresa nel febbraio del 2022, tipo sei mesi prima dell'uscita: una pratica decisamente insolita per un mercato in cui di solito i grandi giochi vengono svelati addirittura anni prima di essere pubblicati. Xenoblade Chronicles 3 riproponeva il gameplay collaudato con l'aggiunta di funzionalità inedite contestuali - come classi intercambiabili e trasformazioni - ma era ambientato in un mondo tutto nuovo, in cui due fazioni si scontrano eternamente per il controllo di una fonte di energia soprannaturale. Sorpresa sorpresa, alla fine il mondo non era esattamente così nuovo: con un colpo da maestro, Takahashi intrecciava i giochi della serie in un terzo capitolo sorprendente, con un memorabile gran finale rappresentato dall'espansione Un futuro riconquistato. Così arriviamo al presente. A un passo dall'uscita di Nintendo Switch 2, Monolith Soft saluta la console che l'ha davvero consacrato con una riedizione del suo titolo più ambizioso ma meno giocato, Xenoblade Chronicles X: uno spin-off che diventa simbolicamente un crocevia, un ponte tra il passato e il futuro non solo di questa serie, che ora potrebbe essersi davvero conclusa, ma del suo sviluppatore e, forse, anche dei JRPG che Tetsuya Takahashi ha involontariamente rivoluzionate, dandogli quella spinta di cui avevano bisogno per rigenerarsi e cercare l'innovazione senza rinunciare all'autenticità. È scontato che rivedremo questa talentuosa software house su Switch 2, e chissà che ad aprile non ci sia già qualcosa di Takahashi tra i primi giochi ad essere annunciati per la nuova console, ma siamo convinti che sapranno ancora stupirci, in un eterno ritorno che non stanca mai.